Sappiamo che uno degli esercizi fondamentali donatoci dal Dottore è relativo all’equilibrio che il discepolo deve trovare fra gioia e dolore, fra piacere e sofferenza. In I sei esercizi di Rudolf Steiner (ed. Antroposofica, da O.O. N° 13, 95, 145 e 245) troviamo scritto: «Si badi a non farsi trascinare da una gioia, o abbattere da un dolore, a non farsi trasportare dall’ira o alla collera smisurata da alcuna esperienza, a non farsi riempire d’angoscia o di paura da nessuna attesa, che nessuna situazione ci sconvolga, e cosí via».
Ho in mente una sequenza tratta dallo sceneggiato Tv “La vita di Leonardo da Vinci”, in cui si vede il giovane Leonardo che assiste all’impiccagione pubblica, eseguita in piazza della Signoria, di Bernardo de Baroncelli, che ha preso parte alla congiura dei Pazzi avvenuta a Firenze nel 1478. Il regista ci fa vedere i volti inorriditi e sconvolti dei popolani che assistono alla crudele esecuzione e ci fa udire le loro urla, mentre Leonardo con tutta calma osserva la scena e pazientemente gira il foglio del suo taccuino per annotare con estrema freddezza la scena che sta contemplando. L’anima del maestro è imperturbabile e lui può quindi analizzare ciò che vede senza farsi prendere dall’emozione del momento, mentre le anime degli altri vengono sopraffatte dall’evento ed è come se si perdessero in esso. Leonardo non è insensibile, ma domina la situazione sperimentando anzi un sentimento piú profondo e reale.
Si potrebbe pertanto considerare l’esercizio dell’arte come una sorta di preparazione all’equanimità. Il pittore di solito mentre dipinge si concentra restando in silenzio davanti all’opera che sta nascendo, allontanando da sé le convulsioni del mondo. Il musicista che compone la sua sinfonia cerca la pace del suo studio per poter generare un brano armonico. L’architetto medita silente davanti al foglio bianco per poter concepire un edificio che sia anche un’opera d’arte. E cosí via.
L’artista pertanto deve restare calmo, imperturbabile, il corpo rilassato, la bocca chiusa, spesso chiude anche gli occhi per poter “vedere” l’opera nascere in lui.

Arturo Nathan «Autoritratto a occhi chiusi»

Arturo Nathan «Il contemplatore solitario»
Diverse opere di Arturo Nathan (Trieste 1891 – Biberach an der Riß 1944), pittore ebreo tragicamente morto in un campo di concentramento nazista, ritraggono lo stesso artista ad occhi chiusi, fermo, silenzioso, in meditazione.
Sembrano proprio le rappresentazioni dell’anima “immobile” di chi deve creare l’opera.
Quasi diametralmente opposto è invece l’atteggiamento interiore, e quindi esteriore, di numerosi sportivi dei nostri giorni, laddove basta una vittoria in una competizione per scatenare la loro irrefrenabile gioia manifestata da urla animalesche, bocche spalancate, denti esibiti, gesti spasmodici, tra l’altro senza alcun riguardo e comprensione per l’avversario che in quel momento sta sperimentando la delusione della sconfitta.
E mi viene in mente quanto scritto da Rudolf Steiner in Storia dell’Arte, Specchio di impulsi spirituali – vol. IV (ed. Antroposofica, O.O. N° 292): «Il Greco aveva la sensazione che il corpo eterico, con le sue forze vitali e la mobilità delle forme e dei movimenti, fosse alla base del corpo fisico, che nelle forme del corpo fisico si manifestasse il corpo eterico, che dai movimenti del corpo fisico trasparissero le forze attive del corpo eterico. La ginnastica e l’atletica greche erano fatte in modo da dare a chi vi partecipava veramente una sensazione di ciò che di invisibile vivesse nella parte visibile dell’uomo». E poi ancora: «Guardando in profondità a tutti gli impulsi tesi al progresso della nostra civiltà e anche a tutti quelli che la impediscono, di quegli ostacoli fa parte quella che si potrebbe chiamare una tendenza scimmiesca della nostra civiltà e che di solito è detta sport. Lo sport è il risultato della concezione materialistica del mondo che, si potrebbe dire, è l’altro aspetto della concezione scientifica dell’uomo. Da un lato si lavora per comprendere l’uomo solo come una scimmia piú perfetta, e dall’altro si tende a farne una scimmia carnivora, grazie alle esigenze che per molti aspetti si designano come sportive. Le due cose vanno comunque parallele. Anche se ovviamente oggi si vede negli sport un grande progresso, e in alcuni casi persino il rivivere dell’antica Grecia, pure le esigenze sportive nella loro essenza altro non sono che una tendenza a rendere il genere umano simile alla scimmia. Grazie agli sport l’uomo diventa a poco a poco scimmiesco, e lo si distingue dalla vera scimmia perché questa è vegetariana, mentre l’uomo scimmiesco diventa una scimmia carnivora. Occorre a volte indicare in modo grottesco gli ostacoli che si oppongono al progresso della civiltà, altrimenti non si presentano in modo abbastanza forte, e tali da fare un po’ di impressione sull’uomo di oggi».
Ovviamente una cosa è lo sport, l’agonismo cosí come viene inteso oggi, ed un’altra una sana attività fisica che tende a mantenere in salute il nostro corpo. Di questo brano del Maestro mi ha sempre colpito la forza, quasi la violenza verbale con cui critica l’atteggiamento sportivo contemporaneo, mentre di solito lui era sempre molto “diplomatico” nell’esposizione delle sue critiche. Infatti nelle ultime sue frasi, che ho qui sopra riportato, quasi si giustifica affermando che per far comprendere come l’attività sportiva, intesa in senso odierno, possa essere un serio ostacolo allo sviluppo spirituale dell’essere umano, occorre essere “grotteschi” e decisi. Lo sport quindi, a differenza dell’arte, quella vera, inteso come attività contro-iniziatica!
Carmelo Nino Trovato