Se in Galileo vediamo l’apripista calmo e sicuro sul suo cammino, in Giordano Bruno, un po’ piú anziano – Galileo è nato nel 1564, Giordano Bruno nel 1548 – ci troviamo di fronte all’uomo che nella sua personalità, nella sua interezza, rifletteva in modo diretto tutte le grandi verità che viaggiavano attraverso gli altri Spiriti, in Copernico, in Galileo stesso e in generale attraverso le anime umane di quel tempo. Dallo Spirito di Giordano Bruno, tutto questo si riflette su di noi come in una potente e completa filosofia degli stati d’animo. Qual era l’atteggiamento di Giordano Bruno nei confronti del mondo che percepiva totalmente dallo Spirito del suo tempo come il suo essere piú profondo?

Le sfere cosmologiche di Aristotele
Per esempio, Giordano Bruno diceva: «Aristotele – ossia colui che lui conosceva, cioè l’incompreso Aristotele – ha detto anche che c’era una sfera che arrivava fino alla Luna, poi c’erano le varie sfere stellari, poi veniva la sfera del divino-spirituale, e che si doveva cercare il Dio in movimento al di fuori delle sfere stellari». Nel senso di Aristotele, Giordano Bruno aveva quindi davanti a sé prima la Terra, poi la sfera della Luna e delle Stelle e solo dopo – fuori da questo mondo e da quello in cui vive l’uomo, tutto un mondo che ruotava e girava nella massima circonferenza – c’era lo Spirito divino che girava letteralmente nelle rotazioni e nei movimenti delle stelle. Un pensiero che Giordano Bruno non riusciva a conciliare con ciò che l’umanità stava sperimentando. Quello che i sensi umani ora vedevano, quello che la mente vedeva quando guardava le piante, gli animali e gli uomini, quando vedeva le montagne, i mari, le nuvole e le stelle, gli appariva come una manifestazione mirabile di ciò che vive nel divino-spirituale stesso. E voleva vedere in ciò che si muoveva come le stelle, che si muoveva come le nuvole nell’aria, non una semplice scrittura dell’Essere divino, ma qualcosa che appartiene all’Essere divino allo stesso modo in cui le dita o le altre membra appartengono a noi stessi. L’idea di fondo di Giordano Bruno non era un Dio che agisce sul sensibile dall’esterno, dalla sua circonferenza, ma un Dio che è dentro ogni singolo essere sensibile, il cui corpo, il cui organismo plasmato è quello dei sensi. Se vogliamo capire come sia arrivato a un’idea cosí fondamentale, dobbiamo dire: è stata la gioia, la beatitudine di quel tempo di allora tutto nuovo! Era passato il tempo in cui la gente si limitava a rovistare tra i vecchi pensieri di Aristotele. Quando i principali studiosi camminavano per i boschi e i prati, non avevano occhio per i regni della natura e le sue bellezze, ma solo un sentimento di ciò che era scritto sulle pergamene che provenivano dal vecchio Aristotele. Ora era giunto il tempo in cui la natura parlava all’uomo, il tempo delle grandi scoperte, in cui menti potenti come Galileo ci esortavano a riconoscere faccia a faccia il divino nella natura stessa. Tutto il fascino di questo divino, in contrasto con la natura divinizzata del Medioevo, era arrivato! Questo era ciò che viveva in ogni fibra dell’essere di Giordano Bruno.
«Ovunque – egli diceva – lo Spirito ci viene mostrato dalla ricerca sensoriale, e quindi ovunque incontriamo un elemento sensoriale ci viene mostrato un elemento divino! C’è solo una differenza tra il sensibile e il divino: il sensibile ci appare nello spazio e nel tempo perché siamo esseri umani limitati». Ma per Giordano Bruno lo Spirito divino sta dietro al mondo dei sensi, non come Aristotele o i popoli del Medioevo credevano che stesse, ma in modo indipendente, ma solamente la natura era il suo corpo, che proclamava tutte le sue glorie. L’uomo non può però vedere l’intero Spirito nella natura, ne vede ovunque solo un pezzo. Ma in tutte le cose però, in tutto il tempo e in tutto lo spazio c’è lo Spirito divino. Per questo Giordano Bruno si domanda: Dov’è il divino? In ogni pietra, in ogni foglia, ovunque c’è il divino, in ogni forma, ma soprattutto negli esseri che hanno una certa indipendenza nell’esistenza. Egli chiama tali esseri, che percepiscono la loro indipendenza, monadi. Per lui, una monade è ciò che, per cosí dire, nuota e si diletta nel mare del divino. Tutto ciò che è una monade è anche uno specchio dell’universo. Giordano Bruno pensava quindi allo Spirito Universale come frammentato in molte monadi, e in ogni monade, che era uno Spirito indipendente, qualcosa che percepiva l’universo come uno specchio. Una di queste monadi è l’anima umana, e ce ne sono molte. Anche nel corpo umano ci sono molte monadi, non solo una. Pertanto, se dovessimo esprimere la verità sul corpo umano secondo Giordano Bruno, non dovremmo vedere in esso il corpo umano organizzato carnalmente, ma un sistema di monadi. Solo che non vediamo esattamente queste monadi, proprio come non vediamo le singole zanzare in uno sciame di zanzare. Se vedessimo esattamente, vedremmo il corpo umano come un sistema di monadi, di cui la monade principale è l’anima umana.

Giordano Bruno
Giordano Bruno dice della vita, quando attraverso la nascita inizia a esistere per l’anima umana, che le altre monadi appartenenti all’anima si affollano e rendono cosí possibili le esperienze della monade principale, la monade anima. Quando si verifica la morte, le monadi secondarie si staccano dalla monade principale e si disperdono. La nascita è l’unione di molte monadi attorno a una monade principale. Per Giordano Bruno, la morte è la separazione delle monadi secondarie da una monade principale, affinché questa possa assumere una forma diversa. Ogni monade, infatti, è chiamata ad assumere non solo l’unica forma che riconosciamo qui, ma tutte le forme possibili nell’universo. Giordano Bruno pensava a un passaggio attraverso tutte le forme. È quindi il piú vicino possibile all’idea – nata solo dall’entusiasmo – della reincarnazione dell’anima umana. E per quanto riguarda la concezione della realtà nel suo complesso, Giordano Bruno dice a se stesso: «L’uomo affronta questa verità per la prima volta con la coscienza normale. Ciò che gli si presenta per primo sono le impressioni dei sensi. Questa è la prima facoltà di cognizione. Ma ce ne sono quattro», questo dice Giordano Bruno.
Il primo modo con cui una persona può acquisire conoscenza è attraverso le impressioni sensoriali; il secondo è attraverso le immagini che formiamo nella nostra immaginazione quando non abbiamo piú le impressioni sensoriali davanti a noi, ma solo il ricordo. Poi andiamo piú in profondità nell’anima e cambiano anche le impressioni sensoriali. Egli chiama questa seconda facoltà di cognizione il potere dell’immaginazione, non nel senso moderno del termine, ma nel senso di Giordano Bruno. Dopo che l’essere umano ha recepito ciò che le impressioni sensoriali possono dargli, quello che forma è uno stare all’interno, nelle impressioni. È come un rivoltarsi verso l’interno dall’esterno, non un sognare, bensí una “spinta” dall’esterno verso l’interno. Giordano Bruno ha quindi l’idea che interiorizzando le cose nella mente e poi andando avanti, l’uomo si avvicina alla verità e non se ne allontana. Giordano Bruno riconosce quindi la mente, l’intelletto, come terza facoltà della conoscenza. Egli ha in mente proprio il momento in cui ascendiamo dalle cose sensoriali e cominciamo a pensare, quando qualcosa di piú alto fluisce in noi dal mondo sovrasensibile, qualcosa di piú vero delle impressioni sensoriali. Per Giordano Bruno, il quarto stadio è la ragione. La ragione è di nuovo per lui vita e tessitura nel puro spirituale.
Per Giordano Bruno esiste una sequenza di quattro stadi di cognizione. Tuttavia, egli non li distingue come si può trovare, ad esempio, nel libro Come si conseguono conoscenze dei mondi superiori? come conoscenza oggettiva, conoscenza immaginativa, conoscenza ispirata e conoscenza intuitiva, ma fa una distinzione piú astratta. Dobbiamo quindi intendere questo in modo tale da dire: Giordano Bruno si trova precisamente al punto di partenza dell’epoca che contesta la cognizione per la percezione sensoriale, e quindi usa espressioni che ci ricordano piú le espressioni della cognizione ordinaria per il mondo sensoriale che per il mondo superiore. Ma possiamo vedere come Giordano Bruno guardi verso il mondo spirituale dalla sua potente enfasi quando dice: «Lo Spirito divino, che vive in ogni cosa, che ha il suo corpo in ogni cosa, ha ciò che noi abbiamo come concetti, come idee da considerare prima delle cose. Com’è il mondo in Dio? Com’è lo Spirito in Dio?» chiede, e dice: «Lo Spirito è in Dio come idea, come anticipazione del mondo». E come è per lui lo Spirito nella natura? «Come forma» egli dice, e con questo Giordano Bruno intende che ciò che è presente nello Spirito divino come idea è presente nel cristallo, che ha una forma, nell’animale, che ha una forma, nel corpo umano, che ha una forma. E ciò che è nelle cose esterne in quanto forma, è nell’anima umana in quanto concetti. Anzi, Giordano Bruno dice ancora piú precisamente: «Le cose della natura sono le ombre delle idee divine e le nostre idee sono le ombre dei pensieri divini! Badate: le nostre idee – dice – non sono le ombre delle cose, ma le ombre dei pensieri divini. Quando dunque abbiamo intorno a noi le cose della natura e abbiamo in esse le ombre delle idee divine, le nostre idee vengono nuovamente fecondate da esse. Immaginando, lo Spirito divino gioca con le sue idee, in modo che abbiamo un flusso, si può dire, che ci collega con le idee divine».
Se si guarda alle teorie della scienza naturale, che oggi si affermano come monismo in un modo cosí poco affine a Giordano Bruno, quello che è cosí evidente sui volti, se volessero essere coerenti, queste teorie dovrebbero dire: «Non parliamo di pensieri divini! Non parliamo affatto di pensieri divini!». Ma non è questo che dice Giordano Bruno. Egli è uno spiritualista nel senso piú eminente del termine. Ciò che ha da dire, con il vero entusiasmo dell’uomo rinascimentale, va alla monade, alla sua contrazione attraverso la nascita e alla sua espansione attraverso la morte, a ciò che fluisce nel mondo dell’immaginazione dai pensieri divini, fino all’unica parola: i pensieri umani sono le ombre dei pensieri divini! Se si capisce questo, si è capito qualcosa della spiritualità di Giordano Bruno.
Ma per questo è necessaria una cosa: l’appello a comprendere Giordano Bruno, l’incompreso per quello che Giordano Bruno era veramente. È stato lo Spirito che, con un entusiasmo esuberante, ha trasmesso ai suoi contemporanei ciò che Galileo aveva dato al pensiero scientifico piú intellettualmente. Ecco perché ciò che viene da Giordano Bruno suona cosí potente, come se tutta la gioia, tutto il diletto dello Spirito del tempo, che voleva vedere come la natura si intrecci e viva nel sensibile, gioiva nello Spirito di Giordano Bruno. Questa esultanza diventa essa stessa filosofia, perché lo Spirito divino, che vive ovunque, è consapevolmente risplendente nell’anima di Giordano Bruno. Ecco perché comprendiamo certe parole, che vanno giustamente sottolineate in Giordano Bruno, che suonano come qualcosa che la natura stessa aveva da dire all’uomo di allora.
Ecco solo un paio di parole. Come è grande e meraviglioso quando Giordano Bruno esprime questo pensiero in contrasto con Aristotele: lo Spirito, lo Spirito dell’intelligenza divina, non è fuori, oltre il mondo dei sensi, ma ovunque si guardi. La divina intelligenza non è in qualcosa di esterno, non è in qualcosa di cui si possa poi dire che è qualcosa che spinge in un ampio cerchio. Non può essere qualcosa che spinge, che fa girare, bensí è piú degno del divino essere un principio interiore di movimento che si può vedere in tutto ciò che è nella natura stessa. Questo era il linguaggio che parlava dall’anima stessa di Giordano Bruno, che risuonava in quell’epoca.
Come esprimere nel modo migliore ciò che è stato appena detto, in modo che parli davvero al nostro cuore? Questo è già stato evidenziato da uno Spirito che ha dovuto sopportare di essere definito, tuttavia, un ammiratore troppo entusiasta di Giordano Bruno: Hermann Brunnhofer, che dimostrò cosa si ottiene quando si esprime alla lettera, usando solo bei versi, ciò che Giordano Bruno dice: «Non est Deus vel intelligentia exterior circumrotans et circumducens; dignius enim illi debet esse internum principium motus, quod est natura propria, species propria, anima propria, quam habeant tot quot in illius gremio et corpore vivunt hoc generali Spiritu, corpore, anima, natura animantia, plantae, lapides quae universa ut diximus proportionaliter cum astro eisdem composita ordine, et eadem contemperata complexionum, symmetria, secundum genus, quantumlibet secundum specierum numeros singula distinguuntur» (Non c’è nessun Dio o intelligenza esterna che ruota e guida; perché dovrebbe avere un principio interno di movimento piú degno di sé, che è la sua stessa natura, la sua stessa specie, la sua stessa anima, e tutti coloro che vivono nel suo seno e nel suo corpo hanno in questo Spirito generale, corpo, anima, natura animata, piante, pietre, perché tutti, come abbiamo detto, sono composti in proporzione allo stesso ordine con gli astri, e le stesse simili complessioni, simmetrie, sia secondo il genere, quanto secondo il numero delle specie distinte singolarmente).
Tradotto riga per riga, questo poema goethiano è una traduzione poetica di Giordano Bruno che esce dallo Spirito di Goethe! Non si può essere Goethe e avere accanto Giordano Bruno se, per esempio, si vogliono comporre questi versi; ci deve essere in gioco qualcosa che non potrebbe mai essere in gioco se Goethe si limitasse a riformulare in forma poetica ciò che Giordano Bruno ha detto. Vediamo come lo Spirito di Giordano Bruno è diventato completamente vivo in Goethe.
Ma se vogliamo arrivare da Galileo e Giordano Bruno e lasciar parlare Goethe, non dobbiamo solo tornare indietro di un paio di secoli, ma dobbiamo anche riconoscere, per cosí dire, che ciò che in Giordano Bruno nasceva come da un primo grande stato d’animo entusiasta, da uno stato d’animo filosofico della natura, risveglia in Goethe lo stato d’animo che ora passa di nuovo da una cosa all’altra con piena devozione e ci riporta il Dio che l’uomo ha ormai imparato a sentire nella natura, nelle cose della natura. In Goethe, lo stato d’animo di Giordano Bruno è già tale, è nato con lui.
Era già lí quando, bambino di sette anni, prende e colloca sul tavolo del padre dei prodotti naturali, vi pone dei minerali della collezione paterna e delle piante dell’erbario paterno. Vi pone poi sopra dell’incenso e poi prende un bruciatore, accende l’incenso ai raggi del sole nascente del mattino per offrire un sacrificio alla divinità che vive nei minerali e nelle piante e alla quale ha eretto un altare, che viene acceso dalle forze della natura stessa.
È cosí che Giordano Bruno visse in Goethe a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, ma in modo tale che ciò che viveva in lui come costituzione piú intima dell’anima, trasportò Goethe in tutti i dettagli della natura.

Studi di Goethe sull’osso intermascellare nell’uomo
È proprio a partire da questo Spirito che Goethe non riusciva a capire come – secondo i naturalisti dell’epoca – all’uomo dovesse essere attribuita in modo del tutto esteriore una caratteristica materiale che lo distinguesse dagli animali. Era un modo di pensare del tutto materialista quando i naturalisti del XVIII secolo dicevano che l’uomo non aveva quel piccolo osso che gli animali hanno nella mascella superiore, l’osso intermascellare che contiene gli incisivi superiori. Gli animali ce l’avevano e questo è ciò che distingue gli esseri umani dagli animali. Infatti, non dovrebbe trattarsi di un Dio che sarebbe il principio intimo e operante della natura, ma di un Dio che agisce dall’esterno, di cui Giordano Bruno dice “circumrotans et circumducens”, che prima ha fatto gli animali e poi ha messo l’uomo accanto a loro e – come per mettere un segno che l’uomo è un’altra cosa – ha stabilito che gli animali hanno l’osso intermascellare e l’uomo non ce l’ha!
Perciò Goethe diventa il grande naturalista che si propone di mostrare come ciò che vive in natura secondo la forma possa subire una evoluzione, cosicché non si può trovare la differenza tra l’uomo e l’animale in una cosa esterna come l’osso intermascellare, ma che nell’uomo vive qualcosa che, con le stesse ossa e gli stessi muscoli degli animali, costituisce lo Spirito superiore dell’uomo. Perciò in Goethe emerge in modo meraviglioso non solo l’osso intermascellare e il modo in cui viene fuso nell’uomo, perché è solo un osso subordinato, ma anche il modo in cui le ossa vertebrali dorsali possono essere dilatate quando lo Spirito, che vuole essere attivo in un cervello, ne ha bisogno.
Quando ho lavorato a lungo con gli scritti scientifici di Goethe, mi sono in verità sempre meravigliato e ho cercato di penetrare un principio come quello in cui Goethe immagina le ossa del cranio semplicemente come ossa vertebrali rimodellate, in modo tale che queste si espandono e diventano la cavità cranica. Poi mi è venuto in mente che non c’era altro modo di pensare che questo: Goethe deve aver concepito l’idea che anche il cervello stesso sia un midollo spinale rimodellato dallo Spirito. Cosí che non solo l’involucro bensí anche lo stesso cervello è promosso a un livello superiore, che è quello presente nelle vertebre e nel midollo spinale a un livello inferiore. Per me è stato un momento meraviglioso quando ho trovato sopra un foglietto di Goethe scritto negli anni Novanta a matita quello che poi è stato riportato dal professor Bardeleben nell’Annuario di Weimar in un saggio intitolato “Goethe come anatomista”: il cervello è fondamentalmente solo una parte rimodellata del midollo spinale.
Cosí in Goethe vediamo lo stato d’animo che troviamo per la prima volta in Giordano Bruno applicato alle singole membra degli esseri naturali, vediamo come Goethe cerchi praticamente di introdurre lo Spirito di Giordano Bruno – al quale egli stesso è cosí vicino nelle parole – in tutto il pensiero naturale. Ecco perché era cosí importante per Goethe vedere una trasformazione della pianta originaria nell’intero mondo vegetale. Accanto alle conquiste di Goethe come artista, quelle di Goethe come scienziato naturale sono grandi e possenti, perché in un certo senso lo Spirito stesso che in Goethe era sceso dai livelli di chiaroveggenza a una visione sensuale si incarnò in una personalità che nell’osservare ovunque riportava con devozione lo spirituale nei dettagli. Cosa vedeva Goethe nella singola pianta? L’espressione della pianta originaria. E cos’era per lui la pianta originaria? Lo spirituale, lo Spirito nelle singole forme vegetali.
È significativa la conversazione tra Schiller e Goethe quando entrambi parteciparono a Jena a una riunione della società di storia naturale. Schiller uscí e disse a Goethe: «Tutto ciò che viene detto sulle piante è del tutto insoddisfacente», al che Goethe rispose: «Forse si potrebbe fare diversamente, in modo che ci appaia non solo quali sono le parti che si tengono in mano, ma qual è il loro legame spirituale». Goethe prese allora un foglio di carta e davanti a Schiller disegnò con pochi tratti una struttura vegetale. Era chiaro: questo non è presente solo nel giglio o nel tarassaco o nel ranuncolo, ma in ogni diversa pianta diversificata. Schiller, che non poteva capire questa struttura della pianta originale, disse: «Questa non è una realtà, è un’idea!». Goethe rimase perplesso e si limitò a dire: «Devo essere molto appassionato se ho delle idee senza saperlo e le vedo persino con gli occhi!». Perché Goethe vedeva lo spirituale che si diffonde in tutte le piante, lo vedeva in modo tale da poterlo persino disegnare. Ed era lo stesso per l’animale primordiale in tutti gli animali.
Cosí Goethe cercava il Dio che non spinge dall’esterno, ma che muove tutto nell’interno, cercava lo Spirito divino che tesse e vive in ogni cosa, concretamente da pianta a pianta, ma anche attraverso foglie e fiori e frutti, allo stesso modo da animale ad animale, ma anche da osso a osso, da forma animale a forma animale. Ed è interessante il fatto che Goethe era poco compreso dalla gente del suo tempo, che la gente non sapesse – come non lo sapeva nemmeno Schiller – cosa Goethe volesse veramente. Ma a poco a poco lo Spirito goethiano si insedierà anche nel pensiero della natura. Allora ci si renderà conto che lo Spirito goethiano era di nuovo un passo avanti rispetto a Giordano Bruno, che parlava del Dio che si trova panteisticamente dappertutto, nelle pietre, nelle piante e negli animali, mentre Goethe cercava invece il Dio che non spinge dall’esterno.
Egli diceva anche a se stesso: «Noi non dobbiamo guardare solo al generale, ma dobbiamo anche andare ai singoli fenomeni e cercare lo Spirito nell’individuo. Perché lo Spirito vive in modo diverso nella pianta, in modo diverso nella pietra, in modo diverso in questo oppure in quell’osso. Lo Spirito è l’elemento eternamente in movimento che dà forma alle singole parti della materia. La materia segue lo Spirito in movimento. Questo può essere espresso da uno Spirito, come fa Giordano Bruno, ma può anche essere cercato con devozione in tutti i dettagli, come fa Goethe. Allora l’uomo si avvicina veramente sempre di piú allo Spirito che contiene il tappeto steso dalla natura, cosí che lo Spirito in essa gli si riveli a poco a poco.
Se pensiamo cosí al susseguirsi di questi Spiriti come hanno fatto Galileo, Giordano Bruno e Goethe, ci abitueremo finalmente ad appellarci a quello che è il nervo fondamentale di questi Spiriti e non ci fermeremo ai luoghi comuni, dato che anche le persone amano sentire frasi sui grandi Spiriti. Con riferimento a Galileo, la cui grande idea divina racchiudeva in quel momento tutta la vita in un sistema senza spazio e senza tempo, ci si può chiedere: che cosa sanno i nostri contemporanei dell’effettivo significato di Galileo, a parte l’unica cosa, certamente non corretta, che si suppone abbia detto: «Eppur si muove!»? È certo una bella frase, ma qualcosa che – come potete consultare nelle ricerche dello studioso italiano Angelo de Gubernatis – non è certamente vero. E quanto spesso è citato di Goethe che la sua ultima parola è stata: «Piú luce!», l’unica cosa che non ha detto. È quindi necessario che, attraverso quella che è la Scienza dello Spirito, anche lo Spirito di tali personalità venga illuminato, e che non solo il nostro proprio Spirito, come lo vorremmo avere cosí volentieri, venga trasmesso nei vari tempi.
Possiamo caratterizzare al meglio questi tre Spiriti che, al punto di partenza della nostra età moderna, formano un trifoglio meravigliosamente accordato, che in Galileo e Giordano Bruno si trova lí come un’alba, diventata poi Sole in Goethe, se pensiamo forse a una parola di Goethe stesso. Ci mostra in modo cosí giusto come egli sentisse da parte dello Spirito dell’età moderna che anche il piú piccolo atomo di materia non può esistere senza lo Spirito dietro di sé, che lo avvicina all’altro. Possiamo ricordare la situazione che Goethe stesso descrisse quando, molti anni dopo la morte di Schiller, si trovava presente quando volevano portare le sue ossa nella cripta principesca e si credette di riconoscere il genio di Schiller in un teschio dalla forma particolare. Gli sembrò di riconoscere nel cranio di Schiller una forma molto particolare. Il cranio fu poi trasferito nella cripta principesca. E questo gli ha mostrato davvero proprio quello che abbiamo visto in Galileo: che bisogna trovare lo Spirito nell’umiltà e nella matematica. Esiste ancora oggi la vecchia lampada della cattedrale di Pisa, che ha oscillato avanti e indietro per innumerevoli anime. Ma quando Galileo si sedette davanti ad essa, misurò la regolarità delle oscillazioni della lampada con il proprio battito e scoprí la legge delle oscillazioni del pendolo, che oggi è cosí importante e che per lui era un pensiero della divinità. E molto altro ancora. Sulla tomba di Schiller sorse in Goethe il pensiero che visse in Giordano Bruno grazie al suo entusiasmo filosofico: lo Spirito è in tutta la materia, dappertutto, ma non spingendo e guidando, bensí come Spirito che vive nel piú piccolo atomo!

Goethe osserva il cranio di Schiller
Quando tenne in mano il cranio di Schiller, questa spiritualità di Giordano Bruno si manifestò anche nell’anima di Goethe e – come l’acqua che si trasforma in ghiaccio – lo Spirito di Schiller gli apparve nella forma del cranio di Schiller. L’intera struttura spirituale di base di Goethe è davanti a noi quando consideriamo la bella poesia che scrisse dopo aver contemplato la forma del teschio di Schiller. Soprattutto quei versi che vengono spesso citati in modo errato, che possono essere colti solo nella circostanza, nel senso che dobbiamo immaginare che Goethe abbia visto l’individualità di Schiller viva davanti a sé come se fosse condensata e, come ebbe poi a dire, secondo la struttura dello Spirito affine in Giordano Bruno e Goethe:
«Cosa può ottenere di piú l’uomo nella vita
se non che la natura di Dio si riveli a lui,
come lascia che il solido si sciolga in Spirito,
come conserva saldamente lo Spirito innato!».
Rudolf Steiner (2a parte, Fine)
Conferenza tenuta a Berlino il 26 gennaio 1911 – O.O. N° 60.
Risposte della Scienza dello Spirito ai grandi problemi dell’esistenza.
Traduzione di Angiola Lagarde. Da uno stenoscritto non rivisto dall’Autore.