L’“Umarell” non è sempre cartapesta

Considerazioni

L’“Umarell” non è sempre cartapesta

Non mi piace il grande condottiero, che, tutto impettito, incede a gambe larghe e fa sfoggio dei riccioli che gli fuoriescono dall’elmo. Preferisco un comandante piccolo, anche mingherlino, pure con le gambe storte, ma che abbia il cuore pieno di coraggio.

 

Archiloco, poeta greco, VII sec. a.C.

 

 

Com’è strana la vita: non avrei mai pensato di scrivere un giorno qualcosa su questo nomignolo. Anche perché, fino a poco fa, non sapevo nemmeno cosa fosse un “Umarell”: ignoravo la sua esi­stenza, almeno in quanto a definizione.

 

Ora invece, edotto in merito da recenti studi trendy & social e da un’ attualità sempre pronta a darti una versione dei fatti diversa dalla precedente, mi risulta piú facile capire. Aprendo cosí i miei circuiti mnemonici un po’ arrugginiti dagli anni, ho potuto ricordare con obiettività, i vecchi tempi (era finita da poco la guerra) in cui le strade della città erano piene di lavori da compiere, a seguito di danni dovuti a bombardamenti, case crollate, selciati squarciati, fognature danneggiate e macerie da rimuovere: lavori che si protrassero per decenni.

 

Ricostruzione

 

In quelle circostanze rivedo apparire – puntualmente – un personaggio strano, anonimo, apparentemente innocuo: un si­gnore di mezza età, se non piú, abito bor­ghese, baffetti, cappello floscio e il quo­tidiano locale piegato in quattro che spor­geva abbondantemente fuori dalla tasca del vestito stazzonato: misteriosamente era lí durante l’apertura di qualche can­tiere, e, mani dietro la schiena, passava ore ed ore ad osservare accuratamente i lavori svolti; di tanto in tanto, borbottava commenti, o addirittura si spingeva a da­re consigli agli addetti, i quali, un po’ per rispetto, un po’ per diffidenza, e un po’ anche perché a quei tempi gli operai non disponevano della reattività di cui invece al giorno d’oggi sono ben forniti, gli prestavano ascolto, ritenendolo forse un esperto appartenente a qualche gerarchia del working in progress, se non addirittura un inviato speciale con mandato di sovraintendere sui piccoli cantieri, a garanzia del buon esito.

 

Il che, nella maggior parte dei casi, non era assolutamente vero; ma a quel tempo, nessuno badava a ipotizzare sui futuri disegni di un improvvisato assessore all’urbanistica cittadina. I lavoratori ac­cettavano in silenzio la sua discreta ma incombente turbativa; del resto erano del tutto ignari di chi fosse l’“Umarell”, non sapevano cosa volesse, e pertanto lo sopportavano scambiandolo vuoi per un’afflizione sindacale di basso profilo, vuoi per una modesta variante alla monotonia del compito ufficiale, fisicamente gravoso.

 

In seguito ebbi altre occasioni per ritrovare quel particolare tipo di attitudine verso cose o fatti che in altri casi avrebbero soltanto richiesto la presenza di uno spettatore capace di restare dentro i limiti di spettatore. Ma si sa, a volte l’esuberanza dell’anima, non tiene conto dell’età, né dell’esperienza, ma solo della voglia di essere per un breve tempo, protagonisti coram populo, di un discorso, di una ri­sposta, di un evento, anche a costo, se fosse proprio necessario, e in quei casi lo è, di farsi coinvolgere, o travolgere, in un esibizionismo plateale non richiesto. Perché, a differenza dell’esibizionismo suc­cedaneo, quello non voluto è sempre occasionale e innocente, checché se ne dica; l’altro, un po’ meno.

 

Non sono particolarmente appassionato di gare ciclistiche, ma qualche volta mi è capitato di assistere in Tv a dei programmi sportivi riguardanti le gare di montagna, quelle in salita su tornanti terribili, in cui i concorrenti sembrano arrancare restando fermi.

 

Ciclista e tifosi

 

A parte la turbativa di una folla di pseudosportivi, festosa, allegramente sparsa alla rinfusa ai lati della strada (tortuosa e già di per sé stretta), con i manifestanti che agitano striscioni esul­tativi e gridano per incitare i loro beniamini, pure qui, immancabilmente, compare un tifo­so (anzi, piú di uno) che, nel vedere arrivare l’idolo affannato sulla bici (pedalante a fatica col corpo sollevato dal sellino, per imprimere maggior forza sui pedali, quindi sbilanciandosi in un destra-sinistra che la dice lunga sulla fatica prodotta), si mette a corrergli appresso a piedi, lo affianca per pochi ma interminabili metri, urlandogli nelle orecchie tutto il suo amore di tifoso, convinto che una simile dabbenaggine possa rinnovare nel concorrente forze sopite di volontà e residuo vigore agonistico.

 

Tutto ciò per raccontare, o per meglio per ricostruire, come la figura dell’“Umarell” non abbia età, genere o nazionalità: essa s’incentra in un particolare afflato d’intrepido inopportunismo, ap­pena avvolto in una scia di protagonismo, sciatto e ingenuo, ma non troppo, piú banale che buffo; protagonismo forse involontario, che non vorrebbe lasciar traccia di sé, ma che invece ha creato, e crea ancora, danni collaterali e indiretti, che per l’intanto si ammucchiano al suo passaggio.

 

L’“Umarell”, una volta scoperto nei suoi limiti minimali, da qualche intervistatore a caccia di scoop (uno di quelli tosti che con la scusa delle esigenze di stampa, ti rivoltano pure le tasche) trova sempre varie giustificazioni a difesa della sua scarsa consistenza, anche se sul momento riveste l’abito della festa, o altre uniformi o paludamenti piú prestigiosi; e risponde con parole misurate, talvolta disarmanti, alle domande insidiose che un cercatore di pettegolezzi si può immaginare.

 

Nello scontro dialettico, le punturine di quanti vorrebbero smascherare l’“Umarell” (e magari fargli ammettere cose mirabolanti e fantasiose di cui i ficcanaso sono ghiotti) si smussano, s’in­foscano, si afflosciano contro le difese naturali subito erette del nostro neo-homunculus; il quale, sem­pliciotto sí, ma non ottuso, stupirà sempre tutti mediante affermazioni di verità proverbiali, fatte di slogan, di adagi preconfezionati, secondo una vena di saggezza popolare alla Frate Indovino, che sul momento sono incontrovertibili, ma talmente qualunquistici da svelarsi in seguito gusci inerti privi di contenuto.

 

Fra Cristoforo e don Rodrigo

 

Tuttavia va bene cosí, non si può pre­tendere da un “Umarell” di trasformarsi di colpo in un leone ruggente, dal m­omento che non lo è, né intende diven­tarlo; e neppure in un pugnace Padre Cri­stoforo, di manzoniana memoria, in grado di ribattere, papale papale, agli ospiti della cena di don Rodrigo, che, a suo parere, non ci dovrebbero essere piú lizze, tenzoni, duelli e botte né tra servitori né tanto me­no tra cavalieri.

 

Col benestare del grande scrittore e poeta milanese, poniamo per assurdo che a Padre Cristoforo, in quella occasione, fosse saltato il ghiribizzo di trincerarsi dietro un prudente: «Sono soltanto un povero frate: non spetta a me giudicare quel che accade nel mondo».

 

Nessuno dei presenti avrebbe ribadito, perché, in fondo, la risposta del religioso era allineata al senso del saio indossato e del cordone che lo cingeva. Semmai eventuali repliche dei commensali avrebbero espresso il rammarico e il fastidio del fatto che il frate, intravista la trappola, aveva abilmente scantonato e la disputa, pregustata in partenza, svaniva lí.

 

Quindi bisogna andarci piano con l’“Umarell”, specie, se ad ogni confronto, egli si prodiga nel­l’accentuare la sua umiltà e l’impotenza che l’accompagna; mormora sommesso di essere un Umarell al pari di tutti noi; e magari sarà pure vero, ma accuratamente evita tentativi di approfondimento da parte di chi vuole, o deve, intrattenersi con lui. O di quanti, fiduciosi e fedeli, gli chiedono di compiere degnamente l’incarico assegnato dall’alto e accolto in basso nella grande riserva delle risorse umane.

 

L’antico poemetto greco ricordato in apertura, è condivisibile in ogni epoca: ma quando, al di là delle apparenze interpretative , “il cuore pieno di coraggio” latita, allora bisogna pensarci su un paio di volte, prima di criticare o di osannare.

 

Antonio

 

C’è però anche un altro tipo di “Umarell”, in cui la sostanza nasce invece cosí spontanea e vivace, da rendere la propria forma una pura veste accessoria. Non è facile tuttavia accorgersi di questa variante, perché, come tutti sanno, quel che si perce­pisce, seppur oggettivo, non è determinante. La stoffa, per sape­re se è buona, non basta guardarla: bisogna anche indossarla.

 

Conobbi Antonio, lo scorso anno, durante la degenza in cli­nica riabilitativa, dopo gli interventi alle anche. Fu il mio primo compagno di stanza: alto, magro, taciturno, pressappoco della mia età. Aveva gli occhi chiari e sereni e portava una lunga chioma di capelli grigi, legata dietro la nuca a coda di cavallo; il che lo rendeva ai miei occhi un vecchio hippie, e quindi, da buon tradizionalista, mi chiesi subito se mi sarei trovato bene con un tipo cosí.

Da bravo Umarell, anch’io ho ben desto il pre-concetto del “non si sa mai”…

 

Al mattino, Antonio s’ alzava di buon’ora, verso le 5.30; si vestiva di tutto punto e usciva alla chetichella, movendosi agilmente sulle grucce, per rientrare dopo circa mezz’ora. Quando gli do­mandai la ragione, mi confidò quasi timidamente di scendere nella pineta della clinica (che non per nulla si chiama “Pineta del Carso”) per portare un po’ di briciole di pane raccolte la sera prima e darle agli uccellini.

 

Un giorno, dopo la colazione (caffelatte d’orzo con qualche biscotto), m’era scappato di dire che rimpiangevo un buon espresso. Silenziosamente Antonio mi aveva guardato con un lampo di simpatia ed era uscito dalla stanzetta; dopo pochi minuti era riapparso con un vero caffè caldo e gustoso.

 

Al contrario del mio armadietto, in cui regnava sovrano il disordine (distinguevo ad olfatto la roba pulita da quella da lavare e qualche volta mi sono ritrovato ai piedi un calzino rosso e uno blu) il suo stipetto era sempre meravigliosamente a posto; ogni indumento, biancheria compresa, erano impilati con un ordine millimetrico. Di suo, aveva aggiunto sul fondo dei ripiani un foglio di carta protettiva; e dal bastoncino d’appoggio per gli appendini, pendeva un deodorante discreto e profumato.

 

Quando dopo sette giorni venne dimesso (era stato operato prima di me) lo salutai stringendogli la mano, ma lui senza parlare mi abbracciò con delicatezza e dalla porta mi rivolse un cenno d’intesa che era un saluto e un augurio di buon proseguimento.

 

Seppi poi, dal personale di servizio, che Antonio abitava in una casa della mia città, al sesto piano, priva di ascensore, e che sua moglie da tempo era ammalata e costretta a letto. Non avevano figli né parenti; in famiglia si occupava di tutto lui e lo faceva bene, con impegno e dedizione.

 

Oggi, riflettendo sulla figura dell’ “Umarell”, credo d’aver capito che la forza d’animo non si può sdoppiare in due: quella di chi percorre la Via non è la stessa di chi accompagna a tratti la fatica e l’impegno altrui, incitando e spronando al compito, in modo a volte cosí banale e festaiolo, da ingan­nare qualche osservatore distratto; che sul momento, viene indotto a vedere nel manifestante una forma cooperatrice dello spirito umano.

 

Come non si devono scambiare lucciole per lanterne, altrettanto non si può attribuire a certe bonarietà esibite l’importanza che pretendono ostentare; la modestia, la prudenza, l’umiltà, non bastano per essere virtú fondanti di un cammino ascetico; sollevate come scudo a protezione del­l’inerzia, o dell’inettitudine, possono divenire ostacoli irremovibili.

 

Uomo caduto sotto il peso della croce

 

Chi sostiene di voler portare il peso della Croce sulle sue spalle, non lo dichiara; lo fa senza parlare; lo fa, anche se vecchio, stanco o ammalato; non ha da celare ciò che gli manca, se quel che manca gli è ancora sconosciuto; infatti appartiene al mondo superiore, non a quello in cui le forze del sole e quelle dello Spirito, ora sorgono e ora tra­montano. Certo, potrà cadere: ma si può cadere a tutte le età e per mille motivi. Prima o dopo tutti cadiamo. Cadere sotto il peso della Croce, forse è il piú fecondo di tutti i motivi. L’unico che possa farci proseguire sulla Via.

 

E non sta scritto da nessuna parte che il corpo debba sempre rialzarsi.

 

 

Angelo Lombroni