La Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner

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La Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner

Questo scritto è la trascrizione di una riunione di gruppo tenuta dall’Autore, Mario Iannarelli, piú di 10 anni fa. Fin dove è stato possibile, si è cercato di conservare la sua semplicità espositiva, che la fece accettare con un serio interesse.

 

Leggiamo dalla conferenza tenuta da Rudolf Steiner a Stoccarda nel 6 Febbraio 1923, nell’anno terribile per la storia dell’antroposofia. Sono brani che, a mio arbitrio, ho scelto per questa occasione:

 

 

Trasmissione orale dell’insegnamento

Trasmissione orale dell’insegnamento – Elaborazione grafica

 

«Vi sono talvolta delle persone che diffondono l’Antroposofia con un entusiasmo del tutto comprensibile. Tuttavia esse rilevano come in questa opera di diffusione si trovino a trasmettere un insegnamento che si sottrae a tutta prima alla loro esperienza, poiché accessibile soltanto all’indagatore spirituale di quanto parla in seguito a ciò. Si genera un conflitto nei confronti del­l’atteggiamento spirituale dell’attuale civiltà, la quale non approva si sostenga una qualche concezione del mondo fondata in un certo modo su di un’autorità» (O.O. N° 300).

 

Quante volte io personalmente mi sono sentito dire: «Sí Mario, quello che hai detto appare giusto, ma in fondo ci riferisci solo ciò che Steiner ha scoperto, ma lui era un Iniziato, lui ha potuto percepire, pensare, conoscere i mondi spirituali». E ancora: «Tu ci riferisci ciò che lui ha descritto, ma noi possiamo solo crederlo, facciamo un atto di fede, perché questo mondo spirituale non lo conosciamo, e tu stesso ci riferisci cose che non hai conosciuto direttamente, quindi, anche tu ti fondi su un atto di fede, anche tu credi a quello che ha detto Steiner».

 

Vedete, molti antroposofi vivono immersi in questo stato della loro interiorità, per cui coscientemente o incoscientemente stanno in questo atteggiamento fideistico nei confronti dell’Antropo­sofia. Si fidano di quello che ha detto il Maestro, e questo è infinitamente comprensibile. A volte cercano coraggiosamente di ridare quanto hanno conosciuto, e meno male che c’è qualcuno che lo fa, però si trovano in una specie di contraddizione con loro stessi, perché posti di fronte a questa obiezione hanno una grave difficoltà interiore, devono prendere atto che quello che gli viene posto di fronte come obiezione ha il suo fondamento. Allora come se ne esce? Io ne sono uscito, ho questo convincimento, salvo ricredermi fra mezz’ora, però io ne sono uscito attraversando questo territorio di dubbio, che è un dubbio reale, concreto. Ci sono riuscito grazie a questa risposta di Steiner: «Questo rimprovero che alcuni fanno a coloro che espongono con entusiasmo la Scienza dello Spirito, questo rimprovero verrebbe a cessare se si volesse ammettere, grazie ad un esame approfondito, che i risultati dell’indagine spirituale, quali sono intesi dall’antroposofia, possono venir sperimentati con metodi, metodi di cui il singolo può appropriarsi seguendo vie diverse, ma che una volta dati, possono realmente venir riconosciuti dall’intelletto umano del tutto spregiudicato. Tuttavia, non sempre ciò che può essere sperimentato sul terreno comune per un intelletto umano spregiudicato conduce a qualcosa di fecondo, ove non subentri, proprio sul terreno dell’Antroposofia, un atteggia­mento diverso da quello posseduto da molti di coloro che la diffondono».

 

In estrema sintesi, Steiner ci dice questo: guardate, è vero che voi ricevete quanto io ho indagato, però, quanto riferisco è del tutto oggettivo, e non frutto di una mia opinione personale. Quante volte si sente dire: «Ma questa è l’opinione di Steiner, oppure il punto di vista dell’Antroposofia». La piena realtà è che non esiste l’opinione di Steiner, né un punto di vista dell’Antroposofia, ma seguendo il senso delle parole del Maestro, nella Scienza dello Spirito da lui donataci, è fluito un riferire oggettivamente e impersonalmente le realtà del mondo spirituale. Il problema sarebbe da porsi in questo senso; colui che ci ha riferito infinite notizie dei Mondi superiori, era sicuro di essere stato sempre oggettivo e impersonale nel farlo, o non ha per caso tradito anche se stesso inconsapevolmente? Però lui ci ha assicurato che quanto ci ha trasmesso è pienamente comprensibile, perciò totalmente controllabile e accettabile da un sano senso della verità e da un sano intelletto scevro di pregiudizi, e oggi non c’è essere umano che non abbia una super intelligenza. Siamo divenuti tutti anche troppo intelligenti, e questo ci sta gettando nelle braccia di Ahrimane, quindi ognuno di noi ha assolutamente le armi per poter comprendere tutta la Scienza dello Spirito, solo che voglia essere spregiudicato e non cada vittima dei preconcetti.

 

Il dubbio

Il dubbio

 

Occorre che ognuno si ponga, di fronte a queste rivelazioni di Steiner, anche con l’intento di scoprire se in esse c’è qualcosa che cozza contro il proprio senso della verità, o contro il proprio senso logico, al che giustamente si farà le proprie obiezioni dicendosi: “Questo aspetto del mondo spirituale, cosí come è stato riferito non mi quadra”, o anche: “Qui avverto una contraddizione”. Quante volte ci è successo? Tutto questo dovrebbe essere frutto di un’attivazione del nostro sano intelletto, che ha tutti i presupposti e tutte le prerogative per poter conoscere ciò che ci è stato dato come rivelazione oggettiva, secondo il metodo accettato dalla scienza della natura, e non come interpretazione o come opinione di Steiner. In effetti, anche io a volte mi sono chiesto se Rudolf Steiner abbia sempre percepito, pensato e riferito tutto oggettivamente, o se inconsapevolmente sia stato influenzato dalla sua personalità. È una domanda che noi dobbiamo porci, non possiamo esimerci dal farci questa domanda, perché sembra quasi impossibile che un uomo riesca a distaccarsi in maniera cosí totale dalla sua natura, per riuscire a ridarci tutto in forma completamente oggettiva.

 

Allora la risposta, già un po’ anticipata, è che questo è un problema che ogni Io dovrebbe darsi quando si pone di fronte a queste conoscenze. Poi, postasi la domanda si dovrebbe dire: visto che qui mi trovo di fronte a un campo infinitamente vasto di notizie nuove, in piú non verificabili normalmente, ora decido di tuffarmici pienamente dentro con la massima dedizione, ma anche pronto a rilevare punti dove una contraddizione me la renda inaccettabile. Quando l’avrò trovata veramente, io mi potrò porre di fronte allo spirito di Steiner per dirgli: purtroppo qui non sei stato obiettivo! Ora, sono piú di 100 anni che molti studiosi – con piena diligenza, fedeltà a se stessi e alla verità – fanno questo, e l’esperienza è stata sempre la stessa: laddove qualcuno ha trovato contraddizioni, esse erano solo apparenti, perché sorgevano dal fatto che il campo delle conoscenze già acquisite era ancora troppo limitato, non permettendogli ancora il raggiungimento di quanto segue: nella Scienza dello Spirito è assolutamente necessario riunire fra loro sempre piú elementi, creando fra essi, col pensare attivo, molti nessi e rapporti, perché solo cosí si supera realmente, e col giusto tempo, ogni apparente contraddizione. Nell’intero campo della Scienza dello Spirito, cosí come ci è stata data dallo Steiner, non v’è un fallo, un buco, un vulnus rintracciabile, perché ogni tessera delle infinite che lui ci ha dato, trova il suo precisissimo posto nello sconfinato puzzle dei tre mondi, raccordandosi con le altre tessere con una perfezione logica di molto superiore a quella attualmente umana. Non v’è nessuna possibilità di poter giudicare altrimenti questa Scienza dello Spirito, che ci è stata data come frutto della libera volontà morale e creativa di un essere umano. Essa è sí un prodotto umano, ma è stata resa comprensibile all’umano grazie al sacrificio dell’intera vita di un uomo.

 

Questo è il mio giudizio, questo è quanto io voglio dire per la mia esperienza. È chiaro che nessuno deve prendere questa risposta come una verità. Ognuno, se vuole, si darà il compito di incamminarsi su questo sentiero e trovare le eventuali contraddizioni, o alla fine dire a se stesso, no, qui c’è una logica che è sovrumana, che è sovramatematica, è sopra tutto, qui c’è la logica di ogni logica, qui c’è il Logos, perché qui c’è il vero linguaggio del Cristo, quel linguaggio di cui si è letto all’inizio. Ma, ripeto, io qui parlo di mie esperienze e le esperienze non possono e non devono essere trasferibili. Ognuno, se vuole, deve fare le sue, e facendo le proprie dovrà cercare di svincolarsi da ogni condizionamento palese o no, e porsi sempre di piú in una forma supercritica di fronte a tutto ciò che viene incontro, perché solo cosí si acquisisce la sicurezza poggiante su se stessi. Altrimenti si continuerà a sostare in quella fede che non chiede di conoscere, ci si crogiolerà in quella fede che poggia sul­l’affidarsi a qualcun altro, umano o divino, che ci darà la verità da acquisire passivamente, perché solo data, non conquistata lottando con il pensare.

 

Spostare le montagne

Spostare le montagne

 

Ma noi no! Noi vogliamo edificarci quella fede che sarà capace di “spostare le montagne”, perché sorge da una conoscenza che ogni uomo, se vuole, può acquisire e dare a se stesso. Il prodotto c’è, chiamiamolo cosí, il dato c’è, quest’opera dello Steiner è a disposizione dell’umanità oramai da piú di cento anni. Finora non c’è mai stato nulla di simile sulla Terra, mai l’umanità ha posseduto una dettagliata descrizione dei mondi sovrasensibili, edificata con pensieri fruibili dal nostro sano intelletto, perché prima esisteva solo in forma segreta, trasmessa solo attraverso veri simboli. I veri simboli sono tali perché agiscono come porte per quei mondi, essi sono sempre stati il linguaggio che gli Iniziati hanno usato fra di loro, ma oggi sono divenuti solo oggetto di speculazioni intellettuali, interessantissime, ma nulla di piú. Un simbolo, se è vero, è una chiave per sperimentare direttamente il fenomeno o l’essere del mondo spirituale, ma è una chiave che funziona solo per gli Iniziati e non per chi non lo è. Quindi, per la prima volta nella storia umana, qualcuno ha fatto l’infinito sacrificio di darci, con un linguaggio intelligibile dal nostro sano intelletto, un grandioso contenuto di esseri, azioni e fenomeni dei mondi superiori.

 

Un sacrificio immenso, che gli è stato possibile realizzare grazie a ciò che, grazie a una singolarissima biografia plurimillenaria, portava in se stesso. Ma ora rileggiamo quanto ci ha detto: «Tuttavia, non sempre ciò che può essere sperimentato sul terreno comune dell’intervento umano spregiudicato conduce a qualcosa di fecondo, proprio sul terreno dell’antroposofia c’è bisogno di qualcosa d’altro, un atteggiamento diverso da quello posseduto da molti di coloro che la diffondono».

 

Cos’è questo atteggiamento diverso che deve subentrare? Egli cosí continua: «Vorrei rimandare al mio libro La Filosofia della libertà, pubblicato tre decenni orsono, e in proposito vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che in questo libro avevo già indirizzato a un tipo di pensiero diverso da quello oggi comunemente ammesso».

 

Vedete, ora comincia a diventare minimamente indirizzante l’esperienza iniziale sul pensare che abbiamo cercato di fare insieme, cioè il pensiero passivo che prende solo atto dei dati, e un altro tipo che, invece, li rielabora sinteticamente e va oltre, producendo attivamente un terzo che li conclude con un giudizio.

 

Quando oggi si parla di come l’uomo conosce, proprio quando se ne parla nelle cerchie piú influenti, come filosofi, psicologi, fisiologi ecc., si descrive come l’uomo osservi fenomeni, esseri e cose fuori e dentro di sé, e poi come questi vengano collegati razionalmente col pensiero, giungendo cosí a formulare ipotesi e leggi naturali. Poi si discute anche sulla loro validità, sul loro significato fisico o anche metafisico, ma vi è una differenza tra l’avere questi pensieri che ci si forma sugli oggetti e fenomeni della natura esteriore e interiore, e il chiarirsi veramente come l’uomo si rapporti con essi. Chiediamoci una volta seriamente, che rapporto c’è tra me e un qualsiasi oggetto fuori di me? Come arrivo a conoscerlo se esso è, e rimane, fuori di me? Come fa il mio pensare a entrare in rapporto con quell’oggetto? Se volessimo seguire fino in fondo tali domande, cercando le risposte ne scopriremmo delle belle, perché arriveremmo a doverci dire che, in realtà, noi conosciamo gli oggetti del mondo e le sue leggi, ma non sappiamo come ci riusciamo.

 

La percezione della natura

La percezione della natura

 

Con il nostro pensare ci siamo conquistati una scienza della natura, ma la possediamo solo da pochi secoli, infatti i pensieri sulla natura di un’epoca piú antica, ancora fino ai secoli undicesimo e dodicesimo dell’era cristiana, erano del tutto diversi, perché c’era una condizione animica del tutto dissimile dall’attuale. Dovremmo renderci conto che, se la legge dell’evo­luzione è vera, allora dovremmo chiederci, l’uomo fa parte di questa legge? E anche, l’uomo partecipa del­l’evoluzione o no? Se, ragionevolmente, dobbiamo porre l’uomo all’interno della legge d’evoluzione, che è una legge universale per ogni stato dell’essere e per ogni stato di coscienza degli esseri, allora dovremmo anche ammettere che le facoltà umane sono soggette al cambiamento, cioè all’evoluzione. Sarà mai, che anche la facoltà del pensare e della nostra coscienza pensante hanno assunto nel tempo forme differenti del proprio manifestarsi in noi?

 

Se questo è vero, e logicamente appare vero, si può anche aggiungere che, fino al quindicesimo secolo, segnatamente fino al 1413 d. C. – senza pignoleggiare sul mese o il giorno – l’umanità aveva una facoltà del pensare molto differente rispetto a quella che si è poi formata dopo, da quando è nata una scienza della natura fondata per la prima volta sul pensare umano, e non sulla Rivelazione divina. Tale facoltà fece nascere l’Umanesimo, il Rinascimento e l’anelito alla scienza. Mai fino allora l’umanità era stata in grado di forgiarsi pensieri sulla natura partendo dall’uomo. Prima si era sempre appoggiata sulla Rivelazione dei Libri Sacri. L’uomo, da quel tempo in poi, ha sentito l’esigenza assoluta di conoscere quali sono le leggi che governano i fenomeni, e ha cominciato a usare i propri sensi e la propria ragione. Ci riuscí facendo anche molti esperimenti, e mettendo in rapporto le tante osservazioni trovò le leggi che governano la natura. Vero! Ma tali leggi di natura non stanno mica in giro per l’aria, non sono assolutamente percepibili dai sensi. Chi le ha viste mai? Esse sono un prodotto di conoscenza del pensare umano, soprattutto di quello degli ultimi secoli. Perché solo degli ultimi secoli? Perché solo a partire dal quindicesimo secolo l’umanità, soprattutto quella piú avanzata, diciamo “civile” tra virgolette, ha potuto avere a propria disposizione questa facoltà nel pieno della sua potenzialità. Perché prima, l’uomo ha sempre avuto dei pensieri ispirati dagli Dei, dagli Spiriti superiori e inferiori, o si è poggiato sulle rivelazioni dei Testi sacri.

 

Prendiamo atto, però, che il pensare associante le percezioni dei sensi ai concetti pensati, ha portato l’uomo di oggi a seguire con osservazioni scientifiche sempre piú esatte i fenomeni sensibili, a immagazzinarne mnemonicamente le relative rappresentazioni, in sintesi a privilegiare sempre piú il dato percettivo, l’osservare piuttosto che il pensare. Quindi, ora il pensare non si muove quasi piú per proprio impulso, ma è posto in attività dalle percezioni, da ciò che i sensi fanno penetrare in noi. Quando ci addormentiamo e chiudiamo le porte dei sensi, che succede? Il pensare si ferma!

 

Mentre dormiamo non pensiamo, solo quando ci destiamo e riapriamo esso si rimette in moto. Osserviamo cos’è che genera la noia, è dovuta all’affievolirsi di stimoli percettivi, che infine portano il pensare a fermarsi, cosí la nostra coscienza si spegne e subentra il sonno. Steiner ci dice che spesso, anche di giorno, noi dormiamo, perché in certi momenti il pensare è poco mosso da stimoli sensori, e la coscienza scende al livello sognante, anche se siamo a occhi aperti. E Steiner ci dice ancora parole che devono imprimersi con forza nella nostra anima: «Il pensare è applicato al mondo, studia i fenomeni della natura, ma in una forma passiva, si lasciano in un certo senso comparire i pensieri accanto ai fenomeni, si lascia che essi siano presenti passivamente nell’animo. ….Nella mia Filosofia della Libertà ho messo in rilievo l’elemento attivo del pensiero umano. Ho messo in rilievo come la volontà penetri nell’elemento del pensiero, se io voglio attivare qualsiasi cosa devo dargli una forza, in questo caso la forza della volontà. Se seguo un fenomeno col pensare passivo, vuol dire che nel mio pensare non c’è la mia volontà. Di fronte a ciò, nella mia Filosofia della Libertà ho messo in rilievo l’elemento attivo, nel pensiero umano ho messo in rilievo come la volontà penetri nell’elemento del pensiero. …Ho quindi cercato di descrivere l’inserimento della volontà nel passivo mondo dei pensieri e il conseguente risveglio di questo».

 

Abbiamo sentito delle espressioni nuove, alcune proprio incomprensibili. Infatti, chi ha avuto un minimo di esperienza di questa realtà del pensare puro? Chi ha in sé la possibilità di discernere, di differenziare il pensare puro in cui fluisce la volontà dell’Io, da quello che normalmente segue i processi e i fenomeni del mondo passivamente? Non lo possiamo differenziare perché non lo conosciamo. Com’è vero che l’umanità ha cominciato a fruire di un pensare autonomo da pochi secoli, altrettanto vero è che l’uomo non è ancora quasi per nulla capace di un pensiero attivo, autonomo, mosso dalla volontà dell’Io, non solo dalle percezioni dei sensi. Steiner ha voluto indicarci l’elemento radicalmente piú importante del suo libro, ci ha descritto cos’è il pensare attivo, il pensare libero dai sensi, però non l’ha descritto in una forma comprensibile dal solito pensare passivo, meccanicamente associativo, ma l’ha posto nel testo in forma tale che ognuno deve dimostrarlo a se stesso, e solo cosí può farne esperienza. Perché il sottotitolo di questo libro è: Risultati di osservazione animica secondo il metodo scientifico. Queste parole rimandano a tutto ciò che sta a fondamento del metodo scientifico, della scienza. Tutti i processi nel mondo, le ricerche e le sperimentazioni, tutto quello che appartiene al campo della noetica o scienza della conoscenza, bene, a tutto questo deve essere applicata la giusta osservazione su cui poi si pensa. Ora è giunto, e siamo già in ritardo, il tempo di comprendere e decidere sull’assoluta necessità di fare altrettanto con l’oggetto del pensare. Dobbiamo imparare a prendere come oggetto di osservazione e di studio il nostro pensare, perché se c’è una cosa al mondo che noi non conosciamo è il nostro pensare. Non è affatto un paradosso, lo usiamo per conoscere tutto, ma non sappiamo cosa esso sia, quali sono le leggi su cui si basa, come esso funzioni, non lo sottoponiamo mai a un’analisi pensante. E sapete perché è l’oggetto piú inosservato nel mondo? Perché non è un dato, il pensare è l’unica cosa del mondo che produciamo noi, e per questo non ci chiede mai di essere conosciuto.

 

 

Mario Iannarelli (2. continua)