Cosa ci dice l’astronomia sull’origine del mondo?

Antroposofia

Cosa ci dice lastronomia sull’origine del mondo

Guardare il cielo stellato

 

Chi potrebbe dubitare che, parlando della creazione e dello sviluppo del mondo, dobbiamo guardare con giustificata speranza alla scienza che chiamiamo astronomia? Perché l’astronomia è giustamente una scienza per la quale non solo l’intel­letto umano deve avere un’alta considerazione, perché ci conduce nella vastità del mondo con importanti intuizioni, ma l’astronomia è qualcosa che, no­nostante tutta la sua astrattezza e rozzezza, parla nel modo piú intenso anche alla nostra anima, a tutto il nostro Spirito. Si può cosí dire: c’è qualcosa di com­prensibile nel fatto che quest’anima umana, in ultima analisi, speri di conoscere i segreti piú profondi dell’esistenza guardando il cielo stellato, che parla cosí profondamente alle nostre menti quando di notte gli permettiamo di influenzare la nostra anima con la nostra comprensione.

 

Oggi vogliamo affrontare la questione dal punto di vista della scienza spirituale: che cosa ha da dirci questa astronomia sull’origine del mondo? Forse il risultato finale di queste considerazioni apparirà a qualcuno come se un fiore di speranza potesse essere colto in un certo modo. Chiunque dovesse avere questa impressione potrebbe, d’altra parte, consolarsi con il fatto che, negli ultimi decenni, alla fine del XIX secolo, questa astronomia ci ha portato dei risultati cosí meravigliosi che – anche intellettualmente–- abbiamo motivi sufficienti per rallegrarci di questi risultati in quanto tali. Pure se la conoscenza piú approfondita in questo campo degli ultimi tempi ci induce a credere che proprio l’approfondimento della scienza astronomica negli ultimi decenni ci rende meno fiduciosi quando, nel momento in cui si pone di fronte a noi come scienza nel mondo esterno, cerchiamo direttamente attraverso di essa di ottenere delle intuizioni sulle grandi questioni relative all’origine e allo sviluppo dell’universo. Possiamo innanzitutto sottolineare che, oltre a tutto ciò che è accaduto dal momento in cui la scienza naturale è stata enormemente approfondita da Copernico, Keplero, Galileo, dalle osservazioni di Herschel o dalle ardite speculazioni di Kant e Laplace, nel corso dell’Ottocento si è aggiunto qualcosa che ci ha fatto conoscere il carattere materiale del mondo celeste in un modo prima inimmaginabile. Mentre in passato, con l’audacia del pensiero umano, ci si doveva, per cosí dire, limitare ad affermare che, quando guardiamo verso i mondi stellari, vediamo mondi che dovremmo considerare simili al nostro. Mentre ci si doveva limitare a questa audacia dell’intellettualità umana, nel XIX secolo, una cosa come l’analisi spettrale dei geniali ricercatori Kirchhoff e Bunsen, attraverso uno strumento fisico, ci ha dato la possibilità di penetrare direttamente nella natura materiale delle stelle. Da allora si può cosí azzardare l’affermazione, basata sull’osservazione diretta, che nei vari soli che brillano dallo spazio verso di noi, nelle nebulose e le altre formazioni che si profilano nello spazio celeste, abbiamo da riconoscere essenzialmente le stesse sostanze, con le stesse proprietà materiali, che troviamo anche sulla nostra Terra.

 

Si può quindi affermare che dalla metà del XIX secolo la scienza è stata conquistata dalla nostra conoscenza. Noi restiamo qui, come esseri umani della Terra, all’interno di un mondo materiale con le sue leggi, con le sue forze. Dall’effetto che queste leggi materiali della Terra mostrano nel cosiddetto spettroscopio, che conosciamo solo dalla metà del XIX secolo, e poiché gli stessi effetti vengono inviati nello spettroscopio dagli spazi celesti piú lontani, per quanto riguarda il mondo materiale si può concludere che la stessa materialità e le stesse leggi di questa materialità hanno invaso l’intero spazio mondiale. In passato esaminare i moti degli astri era per certi versi solo una sorta di calcolo geometrico, ma la bella e geniale combinazione dell’analisi spettrale con il cosiddetto principio di Doppler ci ha permesso di osservare, diciamo cosí, i moti che avvengono davanti a noi in modo tale da riconoscerli come i moti delle stelle disegnati su una superficie, ma non solo questo, da allora possiamo includere nel nostro giudizio anche i movimenti delle stelle che si allontanano da noi e si dirigono verso di noi, perché il principio di Doppler ha reso il piccolo spostamento delle linee nello spettroscopio significativo per il percorso di una stella nella misura in cui si allontana o si avvicina alla nostra Terra, mentre prima era possibile calcolare solo cosa accadeva a un livello perpendicolare alla nostra traiettoria. In tale principio, che è la combinazione del principio di Doppler con l’analisi spettrale, risiedono le enormi conquiste della scienza astronomica. Ciò che la mente umana può ora concepire come una sorta di immagine del mondo, come risulta quando pensiamo allo spazio pieno di soli, pianeti, nebulose e altre formazioni e consideriamo i loro movimenti intrecciati e la loro legittima interazione, di questa immagine del mondo, cosí come si presenta e come possiamo trattenerla nei nostri pensieri, noi diciamo che, allo Spirito umano che si sforzava di conoscere, quando si trattava di inglobare la realtà con il pensiero, possiamo trovare comprensibile che una simile immagine sia apparsa come un modello di chiarezza, di solidità interiore.

 

astronomia

 

Visualizziamo cosa significa inglobare, calcolare con il pensiero un oggetto che riempie lo spazio: ecco come si muovono gli oggetti, il grande e il piccolo, come l’uno influisce sull’altro. Visualizziamo cosa significa poter pensare un pensiero cosí chiaro nello spazio, visualizziamolo confrontandolo, ad esempio, con qualche altro effetto della natura che vediamo nell’ambiente circostante, ad esempio con il rinverdire delle foglie degli alberi in primavera o con lo sbocciare del fiore di una pianta. Chiunque sia o sia stato un vivente partecipante della scienza sa quanto diventi amaro per l’animo umano quando, sulla base di un’osservazione puramente esterna, è costretto a ricorrere sempre a concetti che non possono assolutamente essere pensati fino in fondo, ad esempio quando si tratta di immaginare una pianta in via di sviluppo, oltre a fenomeni piú complicati come gli organismi animali. In effetti, anche nei fenomeni della chimica e della fisica del nostro sviluppo terrestre, negli effetti del calore e cosí via, ci rimangono parecchi residui se vogliamo comprendere con chiari concetti ciò che i nostri occhi vedono e ciò che le nostre orecchie sentono. Se ora volgiamo lo sguardo verso l’esterno e vediamo ciò che vedono i nostri occhi e riusciamo a riassumere ciò che vediamo in un quadro di questo tipo, che si esprime in chiari cambiamenti di posizione, in relazioni reciproche di movimento, allora è comprensibile che questo abbia un effetto calmante dentro di noi, tanto che ci diciamo: queste spiegazioni, che possiamo dare del movimento degli astri nello spazio e del loro effetto reciproco, sono cosí infinitamente chiare di per sé che possiamo vedere in esse un modello di spiegazione in generale. Non c’è da stupirsi, quindi, che l’idea dell’affascinante chiarezza della visione astronomica del mondo abbia fatto presa su molte menti. Per chi ha seguito la scienza teorica del XIX secolo è stato straordinariamente istruttivo vedere come le menti piú brillanti dell’Ottocento abbiano imboccato strade segnate dall’affascinante percezione appena descritta.

 

Atomo

 

Ecco cosa pensavano le menti eccelse dell’Ottocento: «Guardiamo fuori nello spazio, nei rapporti reciproci e nei movimenti degli astri, se lo trasformiamo in pensiero, vediamo un’immagine di meravigliosa chiarezza». Ora cerchiamo di sbirciare in quel piccolo mondo, in cui però può indagare solo il pensiero speculativo, che nell’Ottocento si costruí in modo sempre piú ipotetico: il mondo degli atomi e delle molecole. Nell’Ottocento si pensò sempre piú che ogni sostanza consistesse in parti piccolissime, che nessun occhio o microscopio può vedere, ma che comunque devono essere ipotizzate. Cosí si presuppone che – come si hanno molte stelle nell’universo – dappertutto sono presenti gli atomi come, per cosí dire, le piú piccole stelle. Dalla disposizione reciproca degli atomi, da come sono raggruppati, deriva poi – ma solo per ipotesi – ciò che può darci la seguente immagine su piccola scala: qui si ha un certo numero di atomi, stanno in un certo rapporto l’uno con l’altro e si muovono l’uno intorno all’altro. Se gli atomi stanno in relazione tra loro e si muovono, significa che la sostanza che li compone è, per esempio, idrogeno o ossigeno. Tutte le sostanze possono essere ricondotte ai piú piccoli atomi che le compongono. Questi piccoli atomi vengono nuovamente raggruppati e alcuni gruppi poi costituiscono le molecole. Ma se si potesse guardare in questi atomi e molecole, si avrebbe un’immagine della chiarezza che abbiamo all’esterno quando abbiamo riempito lo spazio celeste di stelle. Per alcuni pensatori del XIX secolo c’era qualcosa di stimolante quando potevano dire a se stessi: tutti i fenomeni che vediamo all’esterno, la luce, il suono, l’elasticità, l’elettricità e cosí via, ci riconducono in ultima analisi a tali effetti condizionati dai movimenti e dalle forze degli atomi, che, quando guardiamo fuori nello spazio celeste, si verificano su larga scala come le forze e i movimenti.

 

Sí, una strana immagine è sorta in molte menti: «Se guardiamo nel cervello umano, esso è costituito anche dalle sostanze e dalle forze che troviamo nel mondo esterno; e se potessimo vedere nelle piú piccole strutture del cervello umano, nel sangue in circolazione dell’essere umano, alla fine riconosceremmo ovunque qualcosa come i piú piccoli mondi atomici e molecolari, che in piccola scala sono un’immagine del grande mondo celeste». Si credeva che, se si avesse seguito matematicamente ciò che risulta dagli atomi e dai loro movimenti, si sarebbe potuto riconoscere come un certo tipo di movimento atomico – agendo sul nostro occhio – produca l’impressione della luce, altri l’impres­sione del calore. In breve, si pensava di poter ricondurre tutti i fenomeni della natura a una piccola, minuscola astronomia: l’astronomia degli atomi e delle molecole. Fu coniato il termine “mente di Laplace”, che ebbe un ruolo importante nelle sensazionali conferenze che Emil Du Bois-Reymond ha tenuto negli anni ‘70 su “I limiti della conoscenza della natura”. Questo termine era diventato una sorta di slogan e non significava altro che l’ideale di una spiegazione della natura doveva essere quello di ricondurre tutto ciò che vediamo intorno a noi a una conoscenza di tipo astronomico dei movimenti di atomi e molecole. Laplace fu la mente in cui si affermò una visione d’insieme del nostro universo stellare. E la mente che riusciva a portare questa visione d’insieme delle stelle del­l’universo fino alle piú piccole strutture molecolari e atomiche si avvicinava, per cosí dire, all’ideale di riconoscere la nostra natura astronomica.

 

Per questo oggi possiamo dire – giustamente – che c’era chi credeva: «Quando ho l’impressione di sentire il rumore del ghiaccio o di vedere il rosso, in realtà c’è un movimento in atto nel mio cervello; se potessi descrivere questi movimenti nello stesso modo in cui gli astronomi descrivono i movimenti delle stelle nel cielo, allora capirei cosa c’è dietro la comprensione dei fenomeni naturali e anche dell’organismo umano». Avremmo quindi un fenomeno nella nostra coscienza: Sento il ghiaccio, vedo il rosso. Ma in realtà sarebbe cosí: quando percepiamo il rosso, abbiamo in noi un piccolo cosmo atomico e molecolare; se sapessimo come sono i suoi movimenti, avremmo capito perché percepiamo il rosso e non il giallo, perché con il giallo entrerebbe in gioco un movimento diverso.

 

Die allgemeine Bewegung

 

Nel corso del XIX secolo, la conoscenza astronomica è diventata cosí un ideale che permea tutta la conoscenza della natura con gli stessi concetti chiari che si applicano all’astronomia. Si può dire che è molto interessante seguire lo sviluppo delle scienze naturali teoriche sotto l’influenza di questa idea. Se posso fare riferimento a un episodio che ho vissuto io stesso molti anni fa, potrebbe essere qualcosa di simile a quanto segue. Conoscevo un preside che era un uomo eccellente, anche come preside. Già all’inizio degli anni Settanta dell’Ottocento – durante le altre attività scolastiche – si era occupato di ideare un sistema della natura in cui si potesse fare a meno della forza di attrazione e repulsione valida fin dai tempi di Newton; quel preside – Heinrich Schramm – le cui idee sono in fondo molto significative, nel suo libro Die allgemeine Bewegung der Materie als Grundursache aller Naturerscheinungen (Il moto generale della materia come causa fondamentale di tutti i fenomeni naturali), ha cercato di eliminare tutto ciò che era già stato eliminato dalle conoscenze astronomiche, compresa quella che fino ad allora è stata chiamata la forza di attrazione con cui la materia si attrae nello spazio.

 

È stato molto interessante ciò che, per la prima volta in modo ingegnoso, quest’uomo ha tentato di fare e che è stato poi imitato molte volte. Infatti, se crediamo che la luce non sia altro che il movimento delle piú piccole particelle di massa, se crediamo che il suono e il tono, cosí come il calore, non siano altro che il movimento delle piú piccole particelle di massa, se la conoscenza astronomica può risplendere ovunque, perché dovremmo ancora accettare quelle strane, mistiche forze dal Sole alla Terra attraverso lo spazio vuoto? Perché non dovremmo essere in grado di supporre che al posto di questa mistica forza di attrazione, in cui prima credevamo come qualcosa di immutabile, ci sia ora anche una forza simile tra atomi e molecole? Perché non dovremmo essere in grado di smuoverla? Quest’uomo riuscí infatti a comprendere l’attrazione dell’uno verso l’altro dei corpi del mondo e degli atomi senza l’ausilio di una forza di attrazione speciale, dimostrando che se due corpi si trovano l’uno di fronte all’altro nello spazio, non c’è bisogno di supporre che si attraggano l’un l’altro, perché una tale attrazione – pensava Schramm – non è supposta da nessuno che non creda in un qualcosa come le mani che si raggiungono attraverso lo spazio. L’unica cosa che si può supporre è che ci sia una materia piccola e in movimento, come piccole sfere, che spinge da tutti i lati in modo che le piccole sfere spingano le altre grandi sfere.

 

Se ora si procede con precisione nel calcolo e non si commettono errori, si scopre che, per il semplice motivo che c’è una differenza fra la collisione tra le due sfere e quelle provocate dall’esterno, le forze che altrimenti si supponevano essere forze di attrazione dall’esterno possono essere sostituite dalla spinta dall’esterno, per cui al posto del termine forza di attrazione si dovrebbe mettere forze di spinta che attraggono la materia.

 

Troverete questa idea realizzata con grande ingegno nello scritto sopra citato. Potrei citare scritti successivi dello stesso tenore, ma Schramm ha affrontato la questione per primo. Ogni volta che si presenterà un nuovo fenomeno, lo citerò dove è apparso per la prima volta. Schramm ha potuto cosí dimostrare come, in base alla stessa legge, due molecole esercitano forze di attrazione esattamente come i piú grandi corpi del mondo. In questo modo, la conoscenza astronomica è diventata qualcosa che ha preso piede nel piú grande scenario mondiale e ha avuto effetto fino nelle piú piccole, presunte parti della materia e dell’etere.

 

Julius Robert von Mayer

Julius Robert von Mayer

 

Ai pensatori del XIX secolo questo si presentava come un grande e potente ideale. Chiunque abbia fatto i suoi studi in quel periodo sa come questo sia stato elaborato per i piú diversi fenomeni dell’epoca, come la conoscenza astronomica fosse un ideale fondamentale. E si può dire che – all’inizio degli anni Settanta – tutto era adatto a promuovere questo ideale, perché – sulla scia delle grandi conquiste delle scienze naturali – a tutto ciò che veniva messo in evidenza in quel periodo si aggiungeva allora ciò che veniva alla luce attraverso l’indagine piú precisa dei rapporti del calore con le altre forze della natura. Negli anni Sessanta è stato sempre piú riconosciuto ciò che, con uno spirito geniale, Julius Robert Mayer aveva già dimostrato negli anni Quaranta dell’Ottocento: il calore può essere trasformato in altre forze naturali secondo rapporti numerici ben precisi. Lo vediamo, ad esempio, quando facciamo scorrere il dito su una superficie: la pressione si trasforma in calore. Quando riscaldiamo un motore a vapore, il calore si trasforma nelle forze motrici del motore. Come qui il calore si trasforma in forza motrice o la forza di pressione in calore, cosí anche le altre forze della natura, l’elettricità e cosí via, si trasformano in forze della natura che si pensava fossero trasformabili. Se questo pensiero fosse collegato alle leggi della conoscenza astronomica, allora si potrebbe dire: ciò a cui ci troviamo di fronte differisce rispetto alla realtà solo in quanto una certa forma di movimento all’interno del mondo degli atomi e delle molecole si trasforma in un’altra. Abbiamo una certa forma di movimento nelle molecole, un piccolo e complicato sistema astronomico, per cosí dire, in cui i movimenti si trasformano in altri movimenti, il sistema in un altro sistema. In questo modo, il calore si trasforma in forza motrice e cosí via.

 

Emil Du Bois-Reymond

Emil Du Bois-Reymond

 

Si credeva di poter vedere attraverso tutto. E l’impressione della conoscenza astronomica era cosí grande e potente da poter fornire un tale obiettivo. Ora, dobbiamo dire che all’inizio, grazie a tutti questi pensieri, si è ottenuto ben poco per una teoria dell’origine del mondo. Perché? Per evitare fin dall’inizio di cadere nella trappola di ciò che la Scienza dello Spirito ha da dire, che può essere facilmente contestato dai suoi oppositori, dobbiamo guardare piú da vicino le idee che avevano queste persone, che erano al centro della vita spirituale di quel tempo e di questi ideali. Possiamo convincerci nel modo piú semplice di come si svolgevano le cose se guardiamo piú da vicino il discorso “Sui limiti della conoscenza della natura”, che Emil Du Bois-Reymond tenne il 14 agosto 1872 all’As­semblea dei naturalisti di Lipsia. Du Bois-Reymond lodò questo ideale di conoscenza astronomica in tutti i modi e disse che la vera scienza naturale esiste solo dove siamo in grado di ricondurre i singoli fenomeni della natura a un’astronomia degli atomi e delle molecole, tutto il resto non è da considerarsi una spiegazione della natura; cosicché si sarebbe spiegata scientificamente la vita mentale umana se si fosse riusciti a dimostrare come, per far apparire un cervello umano, gli atomi e le molecole dell’uomo debbano essere raggruppati secondo lo schema dei movimenti astronomici. Ma allo stesso tempo Du Bois-Reymond ha sottolineato che, con una tale spiegazione astronomica, non abbiamo ancora fatto fondamentalmente nulla per spiegare l’anima e i suoi aspetti. Ha detto infatti: «Supponiamo che si realizzi l’ideale di poter davvero dire che i movimenti degli atomi all’interno del cervello avvengano in tale e talaltro modo secondo lo schema dei movimenti astronomici. Per esempio, nella percezione della qualità ghiaccio si potrebbe osservare questo complesso di movimenti, nella percezione del colore rosso se ne vedrebbe un altro, allora avremmo soddisfatto il nostro bisogno scientifico di causalità». Ma nessuno – sottolineava Du Bois-Reymond – poteva capire perché un certo tipo di movimento si trasformi nella nostra vita animica nell’esperienza “percepisco il rosso, sento il suono di un organo, annuso il profumo delle rose, o simili”.

 

Cervello umano gigantesco

 

Du Bois-Reymond richiamò l’attenzione su un aspetto che già Leibniz aveva sottolineato e che non trova obiezioni: «Immaginiamo che il cervello umano venga ingrandito fino a raggiungere proporzioni gigantesche, in modo da poterlo avere davanti a noi in modo tale da poter camminare al suo interno come in una fabbrica, dove potremmo osservare tutti i movimenti delle ruote e delle cinghie, e sottolineare, se si trattasse solo di movimento, che esiste un certo movimento; potremmo quindi disegnarlo e calcolarlo nel modo piú bello possibile, cosí come possiamo calcolare i movimenti dei pianeti intorno al sole». Ma se non lo sapesse da altre cose, nessun uomo saprebbe che questo movimento che sto osservando corrisponde nell’anima all’esperienza: “vedo rosso”. Egli non sarebbe in grado di farlo emergere, ma potrebbe solo scoprire le leggi del movimento e dire a se stesso: questo è il modo in cui il movimento procede, questo è ciò che accade nello spazio, ma non sarebbe in grado di trovare la connessione tra questi movimenti, concepiti secondo lo schema dell’astronomia e l’esperienza peculiare “vedo il rosso, sento il suono di un organo, sento il profumo delle rose”. Se non sapesse da dove provengono queste esperienze, non potrebbe mai dedurle dai movimenti degli atomi.

 

Du Bois-Reymond disse addirittura senza mezzi termini: «Quale connessione concepibile c’è tra certi movimenti di certi atomi nel mio cervello da un lato e dall’altro i fatti che sono fondamentali per me, che non possono essere ulteriormente determinati, che non possono essere negati quali – sento il dolore, sento il piacere, assaporo la dolcezza, sento il profumo delle rose, sento il suono di un organo, vedo il rosso – e la certezza che scaturisce altrettanto direttamente da tutto ciò che dunque io esisto? È assolutamente e sempre incomprensibile che un certo numero di atomi di carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno ecc. non sia indifferente. Gli atomi non dovrebbero essere indifferenti a come giacciono e si muovono, a come giacevano e si muovevano, a come giaceranno e si muoveranno».

 

 

Rudolf Steiner (1a parte, continua)

 




 

Conferenza tenuta a Berlino il 16 marzo 1911 – O.O. N° 60.

Risposte della Scienza dello Spirito ai grandi problemi dell’esistenza.

Traduzione di Angiola Lagarde. Da uno stenoscritto non rivisto dall’Autore.