Questo scritto è la trascrizione di una riunione di gruppo tenuta dall’Autore, Mario Iannarelli, piú di 10 anni fa. Fin dove è stato possibile, si è cercato di conservare la sua semplicità espositiva, che la fece accettare con un serio interesse.
Qualcuno ci ha dato la facoltà del pensare, ma siamo noi a produrre con la sua attività i nostri pensati. I nostri pensati esistono nel mondo solo se noi li produciamo, se non li producessimo, nel mondo non esisterebbero i pensati umani. Il mondo cambia come effetto dei nostri pensati, e noi non sappiamo nulla del processo pensante che li produce. mentre osserviamo che moltissime cose accadono come effetti dei nostri pensati, e ne siamo totalmente responsabili. In realtà, nulla sappiamo del pensare pensante, ci arriva a coscienza solo il prodotto finale di tale attività, cioè il pensato, ma esso, lo dice il tempo del verbo, è participio passato… Siamo coscienti solo del pensare divenuto, cioè passato, ormai privo di vita, non piú mosso dalla vita della volontà cosciente dell’Io, ovvero morto nella forma finale del suo essere, quella forma che sperimentiamo come rappresentazione, e tutto ciò che giunge a morte è accolto nel regno di Ahrimane!
Seguendo questi concetti dovremmo chiederci: i pensati che io ho prodotto e immesso nel mondo, fanno legittimamente parte di esso o no? Sono cose reali di questo mondo, come tutte le altre cose, o no? Studiando questo testo, col tempo ci troveremo di fronte a queste domande. Ma Steiner, come presumeva che noi studiassimo la Filosofia della Libertà? Presumeva che il lettore, durante lo studio del libro, realizzasse una sorta di esperienza interiore, invero paragonabile al risveglio esteriore quale può sperimentarsi al mattino, allorché si passa dallo stato di sonno a quello di veglia.
Quando noi chiediamo cos’è che si mette subito in moto al risveglio, che si era fermato al momento dell’addormentarsi, dobbiamo dirci che è il pensare. Nel sonno c’è stato un intervallo in cui il pensare, in assenza di percezioni sensorie, non si è mosso, ma al risveglio, come si aprono i sensi, ecco che le percezioni rimettono in moto il pensare. Però è chiaro che esso è mosso dalle percezioni, è passivo, è mosso dai dati del mondo che penetrano e modificano la coscienza. Naturalmente possono essere anche dati del mondo interiore, del tipo di un ricordo, una sensazione o un sentimento, ma nulla cambia, si tratta sempre di percezioni date, che mutano lo stato della coscienza e muovono il pensare per essere conosciute. Possiamo percepire interiormente un sentimento mille volte, ma se questa percezione non movesse il pensare, mai sapremmo di quale sentimento si tratta, c’è sempre necessità di unirgli un concetto col pensare, per conoscere se è invidia, odio, amore o quant’altro.
In precedenza ho detto che l’espressione “pensare puro o libero dai sensi” può essere definita in forma ancora piú determinata, infatti, per quello che già ci siamo detto ora è piú comprensibile. Finché io ho un pensare mosso dalle percezioni che nascono per mezzo dei sensi, ho un pensare passivo, quindi dormo a un certo livello dell’essere. Nel momento in cui potessi muovere deliberatamente il pensare con la mia volontà, escludendo i sensi come in concentrazioni e meditazioni, allora il pensare inizierebbe a divenire puro perché libero dai sensi, puro perché voluto solo dall’Io. Tale situazione potrebbe essere descritta all’incirca cosí: osserviamo un bambino di sei mesi, ha dei sensi aperti molto piú dei nostri, è riempito di percezioni del mondo e anche di percezioni interiori, ha fame, ha sete, percepisce altri stimoli che continuamente lo muovono ad agire ed entrare istintivamente in vivo rapporto con l’ambiente, ma a tutto ciò che percepisce non può aggiungere nulla in termini di conoscenza di ciò che i sensi gli danno, e questo perché non ha ancora un pensare che funzioni. Dovrà aspettare di maturare circa fino a tre anni, dovrà prima imparare a parlare, dovrà prima imparare anche a ricordare, perché il pensare funziona facendo sempre confronti e nessi con le rappresentazioni delle esperienze passate, ha bisogno della memoria per potersi sviluppare. La cosa piú pazzesca è che il bambino impara a parlare prima ancora di pensare, lo fa per istintiva imitazione dei genitori. Infine, si deve capire che nell’uomo il processo del conoscere non può essere dato solo da ciò che i sensi gli forniscono – come il materialismo scientifico propone sempre piú dogmaticamente – perché quanto danno i sensi è solo metà della realtà, l’altra metà ce la dà il nostro pensare, aggiungendo alle percezioni i relativi concetti. Finché ci si limita a giudicare reale solo ciò che danno i sensi, ciò che si percepisce fisicamente, ancora non si prende coscienza e conoscenza, che si usa continuamente il pensare per poter comprendere e conoscere ciò che, altrimenti, si sta solo percependo con i sensi. È sperimentabile da tutti che alle percezioni si devono sempre aggiungere i relativi concetti o idee col pensare. Senza l’aggiunta dei concetti o idee alle percezioni, non c’è mai possibilità di reale conoscenza. Quindi, avere solo le percezioni, o avere solo i concetti, significa avere solo metà della realtà, mai vera conoscenza!
Si raggiunge la conoscenza di un dato senza accorgersi di aver pensato, perché il pensare si muove naturalmente, in modo simile al respirare, senza che normalmente se ne prenda coscienza. Si può dire che ci sentiamo tutt’uno col nostro pensare, e quindi non proviamo mai il bisogno di sottoporlo ad analisi conoscitiva, non è un dato enigmatico da conquistare conoscitivamente, cosa c’è da conoscere se sono io che lo produco? Si deve concludere, che l’uomo comincia a diventare un soggetto pensante cosciente, solo da quando si accorge chiaramente di essere lui il produttore del suo pensare, potendo cosí decidere di sottoporlo, anche e finalmente, a un’analisi conoscitiva. Allora inizia a porsi delle domande del tipo: questo pensare lo uso per conoscere, ma qual è la sua natura? Come sorge in me? È capace di procurarci la verità? A queste domande diventa essenziale dare risposte, finché non avremo la possibilità di dimostrarci, per autoconvincimento, che il pensare è perfettamente abilitato a conoscere la verità della realtà. Perché se dovessimo risponderci di no, allora di quale conoscenza parleremmo?
Parleremmo del nulla, proprio del nulla! Se non giudichiamo il pensare come mezzo assolutamente idoneo a conoscere tutto, senza limiti posti da altri, o da noi stessi, allora ci prendiamo solo in giro. Si potrà arrivare a concludere che, in fondo, quei limiti della conoscenza, altro non sono che i limiti del pensare personale di chi li ha prodotti e dogmaticamente imposti. Dei limiti raggiunti dai loro pensati, sono stati inconsciamente assunti come limiti assoluti del pensare umano; quelli che erano solo limiti del proprio pensare, sono stati imposti a tutti gli uomini e per tutti i tempi.
Si dirà, ma la scienza ha raggiunto delle verità incontrovertibili, verificate e dimostrate anche da formulazioni matematiche, che possono calcolare e prevedere lo svolgersi dei fenomeni ancor prima di sperimentarli in pratica. Tutto è stato determinato secondo numero, peso e misura, un metro è un metro, cento euro sono cento euro, e nessuno di sana ragione può pensare diversamente. Questo è verissimo, ma appunto, il pensare scientifico si è sentito nel campo della sicurezza solo da quando ha potuto usare il supporto dimostrativo della matematica, che è applicabile, però, solo alle osservazioni delle cose e fenomeni del mondo sensibile. Ma, ora facciamoci un’altra domanda, dov’è percepibile ai nostri sensi la matematica? Dove, nello spazio e nel tempo, un qualsiasi nostro senso percepisce la matematica? Se si è capaci di un sano pensare e di un sano senso della verità, non ci si può rispondere altro che la matematica è solo un frutto del pensare umano! Qui ci si trova di fronte al fatto sconcertante, che la matematica è sí un prodotto del solo pensare umano, che però ha l’incredibile facoltà di mettere d’accordo tutti gli uomini di sana ragione. Non patisce le differenziazioni dei relativismi e personalismi, la sua realtà fatta di solo pensiero non è modificabile da antipatie e simpatie. In altre parole, è fatta di pensiero assoluto, mai relativo. E se qualcuno insiste nel ritenere anche la matematica come relativa, allora cercate di convincere il vostro verduraio, o panettiere, quando vorreste dargli 10 euro invece dei 15 che vi chiede, dicendogli che i numeri sono relativi e interpretabili soggettivamente, che sono opinabili.
Si diceva dei limiti del pensare. La religione ci ha dato il dogma che l’uomo non potrà mai conoscere Dio e i Suoi disegni; la scienza, altrettanto dogmaticamente, ci ha detto che certe cose dei mondi dello spazio, per ragioni di tempi e distanze, rimarranno per sempre inconoscibili; la psicologia, sin dal suo nascere, ha ancor piú dogmaticamente affermato che nell’uomo interiore esiste una sfera per sempre inconoscibile, per questo denominata appunto inconscio… Rendiamoci conto che tutti questi limiti alla conoscenza sono solo pensati, che non sono reali, perché sono solo pensati da uomini che non hanno avvertito i limiti del loro pensare soggettivo, e anche relativo al loro tempo. Ma sempre, il pensare umano ha superato, divenendo, le precedenti cosiddette verità ultime, perché esso è appunto in divenire come tutto. Esso è suscettibile di pervenire a forme sempre superiori delle sue capacità e qualità, ma ogni volta deve lottare con quelle “verità ultime”, che ultime non saranno mai, proprio perché la coscienza pensante umana è partecipe dell’evoluzione come tutto, non avrà mai limiti di comprensione, di espansione del proprio essere, cosa che sarebbe in totale contraddizione con il principio evolutivo. Testimonianza di ciò, è proprio il conquistato pensare matematico/geometrico, che ci rende partecipi delle verità assolute, capace in essenza di riunire gli uomini piú diversi con la sua qualità di superare in loro tutti i relativismi.
A chiusura di queste considerazioni sul pensare matematico, ribadisco che esso non è percepibile dai sensi, che è un prodotto del solo pensare umano non mosso da percezioni del mondo sensibile, perciò già puro e libero dai sensi, che ha l’incredibile capacità di afferrare delle verità assolute senza il supporto di cose sensibili che lo muovono. Se questo all’uomo è già possibile col pensare matematico, sarà mai che, anche in altri ambiti del conoscere, col nostro pensare si possa conquistare la realtà della verità per forza propria, per essenza propria, anche senza che si percepisca nulla di sensibile?
Ora, riprendiamo il concetto di “pensare libero dai sensi”. Se è libero dai sensi, poiché questi coi nervi sensori afferiscono nel cervello fisico, vuol dire che è anche libero dal cervello fisico, che è lo strumento con cui si pensa. Si badi bene, sto dicendo che il cervello è solo lo strumento per mezzo del quale si pensa, non che il cervello pensi! Quindi, il “pensare puro, o libero dai sensi”, ovvero non mosso da percezioni, ma dalla sola volontà del soggetto che pensa, è di conseguenza libero dal cervello fisico, perché in questo caso nulla gli arriva dai nervi sensori.
Ora, rileggiamo alcune parole di Steiner, ma con una nuova attenzione poggiante su quanto già esposto: «Il pensare è applicato al mondo, studia i fenomeni della natura, ma in una forma passiva, si lasciano in un certo senso comparire i pensieri accanto ai fenomeni, si lascia che essi siano presenti passivamente nell’animo. …Nella mia Filosofia della Libertà ho messo in rilievo l’elemento attivo del pensiero umano. Ho messo in rilievo come la volontà penetri nell’elemento del pensiero, se io voglio attivare qualsiasi cosa devo dargli una forza, in questo caso la forza della volontà. Se seguo un fenomeno col pensare passivo, vuol dire che nel mio pensare non c’è la mia volontà. Di fronte a ciò, nella mia Filosofia della Libertà ho messo in rilievo l’elemento attivo, nel pensiero umano ho messo in rilievo come la volontà penetri nell’elemento del pensiero. …Ho quindi cercato di descrivere l’inserimento della volontà nel passivo mondo dei pensieri e il conseguente risveglio di questo».
Quindi, questo momento del passaggio del pensare umano da una semplice condizione passiva a una attiva è ciò che dovremmo realizzare attraverso le esperienze stimolate dalla lettura della Filosofia della Libertà. Questo gradino che Steiner aveva indicato come necessario, è simile ma non uguale a quello descritto nel passare dal sonno alle veglia. Perché non è uguale? Perché il passaggio dal non pensare al pensare del risveglio avviene naturalmente, non deve intervenire la propria volontà. Ora domandiamoci, questo salto di qualità dalla coscienza dormiente alla coscienza pensante di veglia, attiva un pensare che è l’unico possibile, oppure potrebbe essere sperimentata un’altra forma del pensare, facendo penetrare in esso la volontà dell’Io cosciente, cosí conquistando un gradino superiore della coscienza diurna?
Seguitiamo dandoci questo pensato: «Penso, dunque sono». Questa frase di Cartesio, per alcuni secoli ha costituito il massimo traguardo conoscitivo della coscienza umana, l’uomo si è potuto riconoscere come essere, in quanto è lui che pensa, e può farlo solo e proprio perché “è”! Questa è stata una verità fino a qualche decennio fa, da quando alcuni uomini hanno imparato a dire a se stessi un’altra verità piú vera: «Sono, dunque penso».
Fra le due frasi sembra non esserci differenza, che invece è abissale. Ciò che appare come verità in un tempo della storia, è poi superata con l’evoluzione, Cartesio ha detto una cosa vera per quel momento evolutivo dell’umanità. Ha pensato una cosa infinitamente importante, perché ha preso atto del fatto, che l’attività che l’uomo produce nel suo pensare gli testimonia che nel momento in cui pensa è un essere attivo, capace di produrre da sé e in sé i suoi pensieri. Certo, non poteva ancora distinguere tra pensare passivo e attivo, ma questo non è stato possibile neanche a Hegel, che ha posto il fondamento dell’essere nel concetto. Invece il fondamento dell’essere è l’Io, il soggetto che pensa. Perché vi sia un pensare, c’è bisogno di un soggetto che pensi. Prima deve esserci il soggetto capace di pensare, e in noi tale soggetto è l’Io cosciente di sé, ed è il soggetto che, poi, deve riuscire a muovere tale pensare come sua attività. Ma tale attività ha bisogno di una forza, e tale forza dell’Io è la volontà. Non possiamo, ora, non far riecheggiare in noi le parole di Steiner: «Nella mia Filosofia della Libertà ho messo in rilievo l’elemento attivo, nel pensiero umano ho messo in rilievo come la volontà penetri nell’elemento del pensiero. …Ho quindi cercato di descrivere l’inserimento della volontà nel passivo mondo dei pensieri e il conseguente risveglio di questo».
Ma, poiché è chiaro che questo tipo di risveglio del pensare non può che avvenire mentre si è già svegli, allora non può trattarsi del mero pensare usuale, nel quale, come indicato dal Dottore e come abbiamo potuto riconoscere, non inseriamo la volontà cosciente dell’Io. Allora, di quale pensare si tratta? Evidentemente, è il pensiero pensante mosso dalla forza inseritagli dall’Io, il pensare coscientemente alimentato e sostenuto dalla volontà dell’Io.
Gli uomini pensano, ma ancora non sanno che, per pensare, usano inconsciamente una forza vivente da cui attingono e muovono dalla sua fonte inesauribile, una fonte universale ed eterna che tutto pervade e di questo tutto è l’origine. E poiché ogni forza non esiste senza l’Essere che la manifesta, dobbiamo infine capire che questo Essere è Colui che viene descritto all’inizio del Prologo del Vangelo di Giovanni con il nome di Logos! Logos, o fonte di ogni logica, di ogni pensiero creante, poiché: «ha creato tutte le cose, e nessuna cosa è stata fatta senza di Lui».
Care amiche e amici, apriamoci una volta a questa verità sconcertante e travolgente: quando l’uomo pensa, è il Logos che pensa in lui, per riuscire, col tempo, a renderlo capace di pensare solo la Verità in forma totalmente libera e amante, cosí da poter ri-conoscere, attraverso l’uomo, Se Stesso e tutto il Suo creato, che attende l’uomo vero per essere ri-creato.
Se non si riesce ancora a poter credere in questa facoltà del pensare, che “è” a prescindere dal cervello fisico e anche dal corpo, allora invito a considerare seriamente le ormai innumerevoli descrizioni di morti momentanee, magari avvenute dopo un incidente. Dopo essersi riprese, molte persone hanno descritto esperienze del proprio corpo fisico visto dall’esterno, e spesso hanno anche riferito, con assoluta precisione, tutto quanto è avvenuto e cosa è stato fatto e detto intorno a loro mentre erano fuori del corpo. Se queste esperienze sono vere, e le cose dovrebbero pure essere accettate quando la loro documentazione è scientificamente provata, io mi chiedo, stando fuori dal corpo, e quindi anche dal capo, con quali sensi hanno visto e sentito tutto? Come hanno potuto pensare non potendo usare il cervello? Come hanno potuto memorizzare e poi ricordare tutto, se come ci insegnano, la memoria è nel cervello? Perché quasi nessuno porta a piena coscienza che il fenomeno è reale, e quindi bisogna prenderne atto traendone giudizi conoscitivi? Davvero continuiamo a stare passivi di fronte a questi fatti e non ci facciamo domande, neanche le piú elementari, le piú ovvie?
Ma la Scienza dello Spirito insegna, che questa ancora inconscia forza vivente del pensare, che sempre si accende e riluce ogni volta che muove il pensare, nel nostro tempo deve ancora ogni volta subito morire, affinché possa divenirci cosciente il prodotto finale del conoscere, il pensato. Il pensato non è piú il pensare in atto, ma solo il prodotto finale del processo pensante, è stato vivente nell’accendersi, ma nel pensato finale non lo è piú, è morto in una forma definitiva, in una cosa che chiamiamo rappresentazione. Questa immagine rappresentativa interiore, che ci diviene cosciente come immagine della realtà percepita e pensata, è sempre e solo il riflesso rispecchiato di quella realtà, una mera ripetizione in immagine in noi.
Ancora oggi, l’uomo che pensa crede ingenuamente che questo pensato riflesso, questa rappresentazione rispecchiata sorgente in lui grazie al processo di morte del pensare vivente, sia reale. Non si accorge ancora, non vuole neanche accettare la realtà che un’immagine riflessa non può mai essere ciò che si rispecchia: reale e vivente è ciò che si rispecchia, mai la sua immagine riflessa. Per cui, stando cosí la realtà, purtroppo ancora inconosciuta, con i pensati riflessi e quindi non viventi si è potuto conoscere, invero grandiosamente, solo la sfera morta del mondo, solo la sfera inanimata del regno minerale. Anche dei corpi fisici dei regni superiori, fino a quello umano dove la vita agisce, in fondo si conosce solo il cadavere, la vita come realtà si sottrae alla conoscenza, se ne ha contezza solo grazie agli effetti di nascita, crescita, riproduzione e morte che produce nei corpi viventi, ma non si riesce a coglierla nella sua essenza. Non si può, perché per percepire la vita occorre un pensare vivente, non riflesso e morto come l’attuale. Ma oggi, grazie alla Scienza dello Spirito, e nella forma piú diretta e sicura con il contenuto del libro La Filosofia della Libertà, si può cominciare a conseguire chiarezza riguardo a questo pensiero morto. E Steiner ci ammaestra cosí: «Si può giungere a vedere che il pensiero rappresentativo nell’anima si comporta proprio come il cadavere di un uomo nel mondo fisico. Di fronte al cadavere di un uomo del mondo fisico ci si dice una cosa simile, il cadavere non può sorgere direttamente. Una simile composizione di materia, quale si offre in un cadavere, non può sorgere mediante alcuna delle comuni leggi naturali».

Rembrandt «Lezione di anatomia»
Chi di noi ha mai visto sorgere per legge naturale un cadavere? Nessuno! Perché le forze della natura possono solo distruggere un cadavere, mai edificarlo. Ma ognuno di noi sa cos’è un cadavere. Ognuno può dire con assoluta sicurezza, e non perché lo dice qualcun altro, che un cadavere non sorge dalla materia secondo le leggi naturali. Non è possibile. Questa composizione di materie è possibile solo per il fatto che il cadavere è stato precedentemente vivificato da un essere umano, e che ora ne costituisce un residuo come cadavere. Può essere solo il residuo di un essere umano da cui se n’è andata la vita. Un cadavere non è tale finché in esso c’è la vita. Solo dopo l’ultimo respiro diventa un cadavere. Un cadavere in questo mondo non può esserci, se non come residuo di un essere umano vivente, la natura non lo costruisce mai, può solo distruggerlo. Le leggi della nostra natura, immediatamente dopo la morte, mai prima, possono iniziare a riportare analiticamente agli elementi esteriori quella che era la sintesi meravigliosa di un corpo umano vivente. Se si vuol comprendere un cadavere, allora bisogna vedere accanto ad esso un uomo vivente. Analogamente, se si vuol comprendere il pensiero ordinario, allora bisogna dirsi, esso è morto, è un cadavere animico, e ciò che in esso, al suo sorgere, era vivo in forme sempre divenienti, ora si è fissato nella forma morta della rappresentazione.
Allora, Steiner ci dice che questo pensare morto si comporta nell’anima esattamente come un cadavere rispetto a un uomo vivente. Riflettendo su tutto questo possiamo dire: come prima c’era la vita in quel cadavere, similmente ogni nostro pensare è stato vivente, ma è dovuto morire per divenirci cosciente come rappresentazione riflessa, come mera immagine senza vita. Ha potuto farlo solo divenendo cadavere di se stesso, si è isolato dalla sua vita per divenirci cosciente. Si deve assumere questa realtà, i pensati, proprio per divenirci coscienti, devono morire in immagini riflesse. Ma questa realtà è una necessità evolutiva dell’uomo. In fondo, se siamo coscienti solo di pensati morti, questo fatto ci garantisce che ne possiamo fare ciò che vogliamo, è un inizio di sperimentazione della libertà, i cadaverici pensati morti non possono contrastarci in nulla. Certo, però stanno generando una civiltà che porta sempre piú alla morte in ogni campo. In verità nel mondo i pensati non sono solo morti, ma in stragrande maggioranza anche sbagliati. La conseguenza è intorno a noi, da troppi decenni i nostri sono pensieri morti causanti morte.
Siamo liberi di porre rimedio a questo o no? Ci sono state date tutte le forze, tutte le capacità, tutte le qualità, ma vogliamo continuare a ignorarle, perché non vogliamo prendere sulle nostre spalle il fardello della responsabilità delle nostre azioni, e ogni azione prima è pensata. Ci affidiamo ancora ad altri per sapere cos’è giusto e non giusto. Se si inizia a immettere la volontà nel pensare, allora con ogni pensiero ci si dovrà porre la domanda se sia morale o no. Prima pensiamo di fare un’azione, e poi quando l’abbiamo compiuta la giudichiamo con i giudizi morali chiedendoci se è stata buona o no. Ma questo giudizio è frutto del pensare. Sembra che il pensare non debba pagare dazio, che si possa pensare tutto senza conseguenze, ma prima ci siamo fatti la domanda, i miei pensieri sono oggetti legittimi di questo mondo o no? Certo che lo sono, li produciamo noi e ne siamo perciò responsabili, e siccome sono oggetti legittimi di questo mondo, ce ne dobbiamo assumere la responsabilità.

Luce del pensiero vivente
Finora, abbiamo potuto conoscere che i nostri pensati non solo sono quasi sempre passivi, ma sono anche morti. Dunque, se il cadavere è comprensibile solo se si presupponga l’uomo vivente prima presente in esso, similmente, di fronte ai suoi pensieri morti, avendo sperimentato solo cadaveri di pensiero, l’uomo sta come un essere che non abbia mai visto uomini vivi, bensí solo cadaveri. Non sappiamo che abbiamo a che fare con cadaveri di pensiero. Sentire appellare i nostri pensieri come cadaveri, come morti, per gli uomini è un’assurdità, un’astrazione, una perversione di pensiero. Ma questo succede perché, come dicevo all’inizio, non riusciamo a differenziare il nostro pensato morto da quello che era prima, quando era ancora vivente, non possiamo farlo perché non abbiamo mai sperimentato il pensare vivente. Si è detto che esso si accende della sua vita sempre inizialmente, quando è mosso dalla vita della volontà, ma noi sappiamo che, nella nostra volontà noi dormiamo con la coscienza del sonno senza sogni, la piú ottusa. Il rilucere della vita dinamica del pensare è sempre precosciente rispetto al pensato che, fissandosi e morendo in una immagine riflessa dalla materia cerebrale – non a caso usiamo il verbo riflettere – ci diviene sí cosciente, ma mera immagine riflessa, priva di vita.
In realtà, il pensare vivente non l’abbiamo mai sperimentato perché è preconscio, non giunge mai vivo nella normale coscienza diurna. Cosí, nel momento in cui il nostro Io imparerà a immettere con continuità l’elemento attivo della vita dell’anima, cioè la volontà nel pensare, allora si imparerà a conoscere il pensiero come qualcosa che esiste non come un residuo, ma che quel residuo è stato precedentemente vivificato da un essere, dall’essere vivente del pensiero. Il pensiero ordinario è morto, è un cadavere animico, e bisogna acquisire contezza di questo cadavere animico, lasciandovi penetrare la vita peculiare dell’anima, pervenendo quindi a conoscere il cadavere, il pensiero riflesso, astratto, mero cadavere di se stesso. Dobbiamo prendere coscienza di questa realtà, e dobbiamo imparare a immettere vita in questo cadavere, per poterlo differenziare da quando in esso non c’è vita. Noi non vediamo la vita in azione perché è sovrasensibile, ne vediamo gli effetti, ma la vita è. E cosí dovremmo scoprire che nei nostri pensati prima c’è stata la vita. Ma per poterlo scoprire dobbiamo rimettere nei pensati morti la vita da cui ci siamo divisi, quella vita della volontà che l’Io non ha ancora mai immesso nel pensare. Se impareremo, anche se per brevi attimi, a fare questo, allora avremo non solo l’esperienza del pensare “puro libero e dai sensi”, ma col tempo anche quella graziante e creante del “Pensare vivente”.
Iniziamo lo studio abbracciando questi ideali, perseguiamoli nel tempo futuro, allora il contenuto di questo libro non diverrà per noi solo una somma di cognizioni, ma come additava il nostro grande Maestro, veramente il risultato di «Osservazioni anatomiche fatte con le stesse leggi del pensare scientifico applicato al mondo sensibile».
Mario Iannarelli (3. Fine)