Ho letto due eccezionali post di Ecoantroposophia, ognuno dei quali parla di vincere, annullare l’ego. Non so cosa dire: ancora oggi non so davvero come si fa, al di là che gli esercizi possano essere utili a ciò. Ieri sera, per esempio, è bastato un mezzo sorriso sarcastico di mia moglie che ha davvero “morso” il mio ego, e che, se non fosse stato per gli esercizi, sarei sbottato (cosa che peraltro ho fatto, ma che ho spento subito dopo con un mutismo assoluto) e avrei cominciato a litigare stupidamente. È ovvio che qui l’ego c’è, eccome! E lo sento, nelle cose che non voglio fare, nel fastidio che mi provoca l’inautenticità, compresa la mia, nella banalità di una routine giornaliera sempre uguale, nella stupidità del livello raggiunto da un mondo che si sta spegnendo… Basta con pensieri apocalittici. Vorrei comunque trovare il mezzo di farmi sparire, tacere, sotterrare, dimenticare e finalmente rinascere. Ma rinascere come? Non mi sopporto piú. Non è solo pessimismo, ma un intento di risolvere una vita che alle volte sembra mi porti allo stesso punto.
Remo spezzato (ma non del tutto)
Entrambi gli scritti di Rudolf Steiner e di Massimo Scaligero sono elevatissimi, sono un diamante purissimo, un punto d’arrivo, parlano di una realizzazione che è il nostro scopo finale. Ma noi, naturalmente, non siamo questo. Intanto non siamo degli Iniziati, siamo dei semplici discepoli che tentano di percorrere una parte di strada. E lo facciamo con tutte le difficoltà e gli egoismi che ci caratterizzano. Ma che lavoro ci sarebbe da fare se già fossimo quel diamante? Se nascessimo puri e risplendenti? I “bamboli” del paese dell’Eden? Invece è sapendo come siamo, da dove partiamo, che è emozionante sapere che un giorno arriveremo lí, proprio al punto che ci viene mostrato dai Maestri come traguardo, non certo come partenza. Ogni giorno possiamo fare qualche passo, anche un piccolissimo passo, che ci avvicini a quella mèta. E se qualche volta sbagliamo, se ci sentiamo tanto lontani da quel raggiungimento, questa è una tentazione degli Ostacolatori. Diciamo con convinzione: «Non io ma il Cristo in me», e ricominciamo a lavorare sul nostro temperamento, cercando di porre di fronte a noi il modello di noi stessi che vogliamo ottenere: saggezza, autocoscienza, autocontrollo, serenità, distacco dai desideri venali e carnali… un bel lavoro, entusiasmante! Resistere ad accendere una discussione rendendo il discorso invece costruttivo e chiaro, senza tensioni e acrimonie, questo deve farci sentire una piccola gioia. E se durante il giorno inanelliamo diverse piccole gioie, la sera possiamo chiudere gli occhi con la soddisfazione di aver vissuto una buona giornata. Quel remo non è spezzato, e saprà condurci avanti se vorremo navigare senza arrenderci.
Mio figlio dice di seguire una disciplina orientale, di cui però non mi vuole parlare. Oltre a posizioni di tipo yogico che fa nella sua camera, che per caso ho visto una volta entrando, credo faccia anche delle meditazioni, o delle ripetizioni di mantra. Il problema è che mentre fino a qualche tempo fa parlava in maniera normale e conseguente, compatibilmente con la sua giovane età, adesso da qualche tempo le sue frasi sono tutte spezzettate. Iniziano e non arrivano a una fine logica, saltano da un pensiero all’altro, e mi accorgo che lui stesso se ne sta rendendo conto e si innervosisce. Come potrei aiutarlo? Io seguo da anni l’antroposofia, ma non ne parlo in famiglia perché mio marito è contrario.
Wilma R.
Credo che queste discipline orientali vengano rapidamente iniziate e smesse. Sarà il ragazzo, dato che se ne sta rendendo conto, a interrompere una via che non conduce molto lontano. Se però ha cercato qualcosa in una direzione in qualche modo spirituale, forse è il caso ogni tanto di approfondire un discorso con lui, lontano dal marito poco disposto ad ascoltare, anche senza nominare direttamente la Scienza dello Spirito, almeno fino a che non ci sia una richiesta precisa da parte del giovane.
Sto leggendo per la seconda volta il libro Dell’Iniziazione di Giovanni Colazza. Devo dire che contiene veramente dei pensieri molto utili! La prima volta, l’anno scorso, ho avuto un po’ di problemi ad assorbire i suoi pensieri, perché il suo punto di vista è molto diverso da quello di Massimo Scaligero. Mentre Massimo parla direttamente all’Io superiore, Colazza ci parla dal punto di vista dell’io inferiore. Per questo motivo, i libri di Massimo hanno un effetto rivelatorio diretto, mentre Colazza riesce a trasmetterci le forze di volontà che servono per procedere. Considero molto interessante che Massimo abbia scelto una strada cosí diversa da quella di Colazza! Nell’opera di Rudolf Steiner si trovano entrambi i metodi. Per esempio, Colazza ci fornisce un ottimo motivo per oltrepassare lo stato naturale dell’uomo: senza vita spirituale non possiamo mai diventare utili servi delle Gerarchie superiori. L’uomo naturale, anche quando ha delle buone qualità, non sa mai veramente che cosa il Mondo spirituale si attenda da lui. Senza rendersi conto di questo fatto, uno potrebbe convincersi di essere una persona buona anche senza vita spirituale. Invece non si può, perché, procedendo solo con l’istinto e l’intelligenza, si sbaglia sempre. L’entusiasmo di poter diventare la Decima Gerarchia nasce dal pensiero che come tale saremo finalmente dei membri utili all’universo! Invece gli scritti di Massimo, pur considerando anche il fattore di cui si occupa Colazza, sono diretti piuttosto a quella parte del nostro essere che sta al di sopra di tutte le Gerarchie, al Cristo in noi, quindi a ciò di cui parlava già Paolo: «Non io, ma il Cristo in me». In questa frase famosa sono già contenuti entrambi gli insegnamenti: «Non io», qui parla Giovanni Colazza; «il Cristo in me», qui parla Massimo Scaligero.
Alex
C’è poco da aggiungere a una testimonianza tanto limpida. Il lavoro di lettura e di rilettura a distanza di tempo dei testi fondamentali dei Maestri ci apre a paesaggi interiori sempre nuovi e ci permette di avanzare nel sentiero che stiamo percorrendo con rinnovato vigore.
Vorrei esporre un piccolo problema che mi capita mentre cerco di fare la concentrazione. Ho diverse difficoltà in questo periodo, che vanno affrontate e sembrano non essere facilmente risolvibili. Mentre cerco di pensare a un oggetto fisico come un bottone o un cucchiaio, mi si presenta chiaramente la risoluzione di una delle tante difficoltà, con una grande precisione, e devo dire che mi sembra un dono, dato che risolve qualcosa che andava affrontato. Naturalmente in quel caso termina lì, prima ancora di cominciare, la concentrazione. Il giorno dopo accade la stessa cosa. Un’altra difficoltà si chiarisce e termino di fare la concentrazione perché corro dietro ai pensieri risolutori di un’altra difficoltà. Mentre la cosa da un certo punto di vista mi fa molto piacere, perché vedo sciogliersi dei nodi che mi aiutano nella vita pratica, però mi rendo conto che non riesco a fare la concentrazione. Come agire?
Ermanno S.
Diciamo che si tratta di tentazioni che cercano di sviare dal lavoro che si è deciso di fare. Se però queste difficoltà non sono infinite, ma diciamo cinque o sei, si può pensare di sciogliere tutti quei nodi e poi, senza piú dover risolvere problemi pratici, si può finalmente cominciare a fare un lavoro spirituale vero. Basta però che non ci sia un infinito riformarsi di nuove difficoltà e di nuovi nodi da sciogliere… Una buona concentrazione, una volta terminata, chiarirà anche nel quotidiano i giusti passi da compiere, senza per questo interrompere un compito che ci si è dati e che fa parte di una disciplina che, una volta stabilito di compiere, va portata fino in fondo. E i giusti risultati non tarderanno a mostrarsi.