
L’anima incontra il mondo per conoscere se stessa, e il mondo, in questa prospettiva, schiude i segreti che le parlano di una remota, immanente origine comune, contemporaneamente ad una comune condivisa finalità.
Quindi ciò che avrebbe potuto essere signum, diventa sgorbio, scarabocchio; pari ai graffiti con i quali una fauna notturna imbratta e deturpa le città, e che il buon senso, o (quasi) gusto civico, provvede stancamente a rimuovere, candeggiandoli a calce per affermare una dose striminzita di decoro, del tutto insufficiente a lenire il patologismo estetico degli improvvisati spennellatori, ma anzi, con tutta probabilità, attizzandone l’impudico osare.
Il corpo umano fa parte della natura, quindi l’accostamento con allodole, tordi, allocchi o barbagianni non vuol essere denigrativo. Soltanto l’uomo può tuttavia decidere di bloccare il suo grado di sviluppo ad uno dei tanti stadi intermedi che ha dovuto attraversare per arrivare a quel che è; la decisione di farlo non dovrebbe essere una sorta di pensionamento animico, ma piuttosto un riconoscere, nel punto raggiunto, una nuova partenza verso ulteriori possibilità, altrettanto numerose e impegnative, se non piú, di quelle trascorse e in qualche misura realizzate.
Infatti nella normale consapevolezza di sé, che chiamiamo coscienza, tutto potrà funzionare bene, fin quando essa non scoprirà con stupore la sua dipendenza dall’organo cerebrale e la sua incapacità di svincolarsene.