Caro amico ti scrivo - Catastrofi e altri guai

Considerazioni

Caro amico ti scrivo - Catastrofi e altri guai

…Ti scrivo, perché dopo i nostri incontri ho constatato (forse l’hai fatto pure tu) che l’argomento in discussione ha sortito un numero di contrapposizioni nettamente superiore a quello delle condivisioni. Lasciare tutto come sta non aiuterebbe nessuno; perciò mi sono detto: «Forza, vecchio mio, vediamo se con lo scritto te la cavi meglio che con le parole».

ScalatoreIl tema in ballo è arcinoto e fonte di opposti schieramenti, ma io dico che questo è un bene, un’ottima ragione per metterci alla prova.

Onoriamolo subito con il suo titolo, cosí possiamo riassaporare il quesito in tutta la sua estensione, che è veramente notevole: una bella montagna da scalare, con le insidie e le difficoltà del caso.

«La condotta umana influisce sugli eventi naturali, e in particolare su catastrofi come terremoti, tsunami, uragani ecc.?».

Se ci mettiamo sereni e tranquilli di fronte a questa riflessione (fatto di per sé non del tutto scontato), vedremo che in breve saremo costretti a un chiarimento, perché il succo della vera domanda stava nascosto in fondo: «Le catastrofi naturali sorgono in quanto punizioni per quello che gli uomini combinano sulla terra?».

Mi sembra che questo integri bene la prima espressione, che non metteva in sufficiente luce l’intenzionalità e la preoccupazione su cui fondava.

Anche qui, però, dopo un’altra pensata, siamo costretti a rimescolare la domanda; ci rendiamo infatti conto che appartiene a un quadro di piú vasta e generale accezione, di cui il caso contemplato è soltanto una parte; pertanto rintitoleremo il nostro tema con una nuova definitiva dicitura: «Possibile influenza della condotta umana sugli accadimenti naturali?».

Adesso è piú facile da vedere e da capire. Ci troviamo con due temi abbastanza distinti.

Nel primo (cui aggiungiamo la specifica allargata del terzo) si pone la mera questione dell’influenza: se essa ci sia o non ci sia; in questo caso, nota bene, non c’è ancora la volontà di separare gli eventi (creduti) buoni da quelli (supposti) cattivi.

Nel secondo, invece, si pone in evidenza il pensiero, non certo sereno, che un’Autorità Superiore Extra Umana (Dio, Spiriti, Karma, Caos ecc.) possa intervenire per correggere le nostre eventuali devianze e distorsioni da un tracciato che, a questo punto, non possiamo pensare non preordinato.

Per cui dovremmo chiederci: «I fatti umani vengono soppesati e giudicati da Entità Sovraumane?». Vedi come all’interrogativo, che sembrava scientifico-filosofico, s’innesta ora l’elemento etico-psicologico?

Per poter proseguire nel ragionamento, bisogna a questo punto scrutare nella nostra coscienza e capire di quale pasta essa sia fatta, dal momento che fino ad un certo tratto di percorso ce la siamo trovata dentro pronta e connaturata, ma da quel momento in avanti, l’abbiamo cresciuta con le nostre mani e siamo responsabili del risultato.

Infatti, vedi amico mio, tu ti professi (con una certa foga che oserei dire quasi eccessiva) ateo, agnostico e laico, togli quindi subito di mezzo ogni possibilità di intervento extraterrestre, mentre io (con la modestia in sordina) candidandomi come spiritualista, gnostico e confessionale, non dovrei avere difficoltà alcuna a sostenere la tesi contraria.

Entrambi però, con questo pensare, provenendo da opposte direzioni, andiamo a sbattere contro il Muro della Libertà. Se esistessero interventi da “Deus ex machina”, anche solo a livello correttivo, dove andrebbe a finire la libertà dell’uomo? Parimenti, da parte tua, so già cosa mi sentirei dire: che siamo talmente liberi di agire nel bene e nel male da trovarci sempre piú aggrovigliati in situazioni pazzesche e senza scampo, causa la nostra inveterata propensione ad agire in modo scoordinato, privo di scrupoli, imbottito di riserve mentali, e quindi per l’incapacità di dedicarci in modo unanime alla meta designata.

Il concetto della libertà diviene qui la cartina di tornasole per il nostro argomento. Se tu sostieni, come mi sembra, che un volere può definirsi libero solo se non c’è alcun altro tipo di volere che possa coartarlo, io non mi ribello, ma prendo atto che i punti di partenza dai quali abbiamo mosso l’indagine sono sostanzialmente diversi, perché, detto cosí, con il tuo parere, nessuna libertà potrebbe mai darsi come tale.

Viviamo in un corpo che è tutt’altro che libero, e che ad ogni ora del giorno ha bisogno di qualche cosa; disponiamo di un’entità interiore, che io chiamo anima, ma che tu puoi chiamare come vuoi, che di continuo ci riempie di emozioni e sentimenti, grandi, piccoli, medi, percepiti o inconsci. Perfino quando per mille ragioni ci disgustiamo di una certa situazione e diciamo: «Basta! D’ora in poi nei confronti di questa persona/cosa/vicenda, adopererò soltanto l’indifferenza», ebbene, anche lí, siamo insinceri con noi stessi, perché l’indifferenza altro non è che uno dei tanti sentimenti che si affollano nell’anima.

L’attività dello Spirito Individuale, la mente, il nous, quel pensare che sento mio in quanto è venuto fuori da me, quello sí non subisce condizionamenti. Ma attenzione! Come qualsiasi fonte energetica (perché il pensiero è energia; questo sei stato tu stesso a dirmelo e piú di una volta, ricordi?) essa può venir adoperata in qualunque modo e indirizzata sia verso azioni costruttive quanto verso quelle distruttive.

Qui s’incomincia a scorgere un possibile compito della vita degli esseri: portare la libertà che è presente al massimo livello nel pensare nascente, ed estenderla a tutte le zone che ne difettano, accogliendola quindi nell’anima e nel corpo, quale centro, base e fondamento della propria salute, del vigore e dell’equilibrio. Si tratta di un’operazione correttiva che dura tutta la vita. È correttiva in quanto anima e corpo, sia pure con modalità differenti, aspirano alla libertà, ma entrambi la vogliono usare solo dopo averla asservita alle proprie istanze: che sono, rispettivamente, le brame per l’anima e gli istinti per il corpo.

Allora, tanto per fare una prima sintesi, questa libertà esiste o no? La risposta non può essere che “sí e no” presi assieme: sí, perché in quanto pensatori, ne portiamo tutte le premesse; no, perché tali premesse devono attuarsi: da potenziali devono diventare concrete.

Ben per questo diciamo di essere nell’epoca dell’anima cosciente, ovvero nell’epoca in cui la coscienza umana giunge allo stadio evolutivo in cui vi è la piú alta probabilità di questa realizzazione.

Ma quindi, provo a immaginare quello che mi dirai, arrivati al muro della Libertà: cosa posso capirne di piú sulla natura dei cataclismi?

Vedi, mio caro, nel tempo, mi sono autoconvinto di una cosa: quello della libertà è un muro che fa da spartiacque, ossia taglia il flusso delle azioni umane dividendo le positive da quelle negative, secondo il grado di condizionamento che esse hanno avuto all’origine, e intendo fin da quando si sono formulate idealmente in una coscienza umana, prima ancora di venire alla luce come azioni.

Squash wallTu citi la natura dei cataclismi? Va bene, parliamone pure, ma chiamiamoli piú giustamente i cataclismi della natura, o fenomeni naturali. Non è un gioco di parole; anche la natura, in cui tutti i fenomeni rientrano compresi quelli infausti, è un muro, come quello della libertà, ma non fa da spartiacque: fa da contenitore; o, se preferisci, da parete interna di un contenitore, contro il quale si stampa, da quando esiste l’uomo, tutto il bene e tutto il male che si produce sulla terra. È una squash wall, e se non sei pronto alla presa e al rinvio fulmineo e violento, finisci in game over.

Non irritarti troppo, so che questi ragionamenti ti stanno antipatici, perché mi senti girare attorno all’argomento principale e ne deduci che non ho l’intenzione di affrontarlo seriamente. Mi scuso se ti do questa rappresentazione (ma che altro potrei darti?). Io ho l’intenzione di svolgere con scrupolo la mia indagine, ma sono di carburazione lenta e non ci posso arrivare se non attraverso i percorsi in cui sento di potermi muovere a mio agio; l’ascesa per via diretta e i sentieri impervi non mi tentano, li lascio ai coraggiosi che non si fanno pregare due volte per poterli attaccare.

città in Nepal con scalatoriHai presente le cittadelle del Nepal, vivaci e turbolente, che si trovano ai piedi dell’Himalaya e sono perennemente affollate da scalatori variopinti giunti da tutte le parti del mondo, animati dal sacro fuoco dell’arrampicata? Beh, dubito che apparterrò mai al gruppo di quei “Tecno-Cavalieri che fecero l’impresa”, a meno che costoro non decidano di mollare corde, moschettoni e auto-respiratori, e venire qui da me a fare una passeggiata sul Lungomare triestino, o su quel Carso, cosí caro a Scipio Slataper, e che non di rado gli fu ispiratore di momenti d’alta poesia.

Che la condotta, anche di un solo singolo, possa influire sulla natura, credo sia di tale evidenza che non si meriti dilungamenti. Una fabbrica che inquina le acque di un fiume; i pesci che muoiono, l’ambiente che s’in­velena, tutto all’ordine del giorno; se si trovano i responsabili, li si citerà in giudizio per danni ambientali.

Ma tu sai benissimo che le cose non sono quasi mai cosí chiare ed evidenti; tutte le piccole malefatte quotidiane, le bugie, i suggerimenti volutamente disonesti, la sopraffazione dei deboli, e/o il raggiro degli incapaci, i soprusi, le vendette, i pensieri torbidi, hanno oramai creato una rete ben piú vasta del www, e come spesso capita con le creature mostruose, questa rete impura (anzi, meglio dire composta da una serie infinita di malvagità e perversioni) si alimenta da sé ingrandendosi e riproducendosi in proiezione geometrica.

Perfino il mio salire sul bus, volutamente privo di biglietto, è un danno che io compio nei confronti della società e un torto che faccio a me stesso; un abbassamento di profilo, un avvilimento, che non può non avere il suo peso all’interno della mia organizzazione.

Ora, se ci divertissimo (si fa per dire) a sommare tutte le infinite “irregolarità”, dalla peggior ribalderia alla minima compartecipazione personale, di un’unica giornata terrestre, penso che potremmo avere davanti alla coscienza l’immagine di un qualche cosa di gigantesco e incombente sull’umanità, come il massiccio dell’Himalaya sui rispettivi Campi-base.

Tu mi dici: «Non vuol dire niente! È una tua immagine e basta!». Ma, amico mio, stai scherzando? Non capisci come ogni minima cosa, pensata, sentita, voluta, espressa e anche inespressa, è un autentico scatenamento di forze negative che lanciamo nel mondo, nella Terra, nella realtà in cui viviamo, intossicando e compromettendo l’originaria struttura? Perché ti sembra chiaro l’esempio dell’inquinamento del fiume, o magari dell’aria, e non senti con altrettanta chiarezza il negativo che si libera nel mondo quando commettiamo qualche stortura, quando schiumiamo di amarezza, quando continuiamo senza freno a polemizzare, a criticare tutto e tutti, senza neppure farci sfiorare per un solo istante, che se ci troviamo qui, all’interno di questa condizione umana, non può essere, nel modo piú assoluto, che ciò ci sia stato dato assieme alla licenza di deturpare il deturpabile e di distruggere il distruggibile?

Calpestare una formica non è un reato, la bancarotta fraudolenta invece sí. Questo tuttavia non vale nel Mondo dello Spirito bensí nella realtà che grazie ad Esso ci siamo ritagliati a nostro uso e consumo, alla quale a seconda dei casi e dei gusti diamo di volta in volta il nome di Storia, Epoca, Civiltà, Ordinamento, Legalità. Sono specchietti che si riflettono l’un l’altro, nessuno di loro esaurendo quella Verità che un tempo dette modo di farli sorgere.

Tra il Mondo dello Spirito, eterno ed infinito, e quello di piccolo spessore che è il mondo umano, c’è un primo giudice, la cui funzione è precisa, obiettiva, onesta e lucida fino al millesimo di millimetro. È la Natura. La Sua onestà e obiettività è garantita dal fatto che Essa non venne da mano né da pensiero d’uomo.

Non venne da mano… certo; ma la mano tua, la mia, le nostre mani possono toccare la natura; possono accarezzarla, favorirla, svilupparla, cosí come danneggiarla, offenderla, ferirla fin nel livello piú intimo.

Non c’è nulla di esagerato in queste parole; l’abbiamo fatto con il nostro corpo di uomini, lo facciamo con il corpo del mondo, che sempre natura è. E nel farlo, siamo talmente perfidi e consumati raggiratori dialettici, da sostenere che certi danni alla natura si rendono, purtroppo, necessari per il bene e per il progresso dell’umanità.

La pecora che mordeDicono che anche la pecora, spinta a difendersi, morda; perché non dovrebbe farlo la natura che ha a sua disposizione mezzi e materia ben piú potenti e micidiali che non la dentatura di un ovino?

Alla pecorella irritata, se è il caso, molli un calcio e quella scappa via; pensi che la natura (animata o inanimata che sia) si comporti ugualmente? Se è animata, sarà peggio per noi; se è inanimata si limiterà a restituirci, di rimbalzo, l’eccesso tra il bene e il male che le abbiamo fatto. Perché la natura, cosiddetta inanimata, tende al pareggio: quando una cosa pesa troppo su un terreno cedevole, sprofonda; quando qualcosa si sviluppa per obliquo, prima o poi il suo stesso peso la fletterà e la spaccherà, tra l’altro in un punto che è matematicamente prevedibile. E tutto ciò, senza che vi siano di mezzo divinità invidiose o compiacenti volte a vanificare o a favorire le leggi fisiche in vigore.

Tutto questo certamente non basta a soddisfare la tua posizione, la quale ha un grosso difetto: non è aperta. Ti ci sei rinchiuso dentro, spari a vista a chiunque s’avvicini, però pretendi da me una dimostrazione, per giunta non troppo complicata. Cosa te ne farai di questa dimostrazione? No, io credo che in realtà tu non voglia alcuna dimostrazione, ma ti piace l’idea di mettermi in difficoltà alla ricerca di una ipotetica probatio diabolica: da una parte speri che io non ce la faccia, dall’altra sei già pronto a criticarla e distruggerla, nel caso ne trovassi una plausibile.

Sai allora cosa ti dico? Che prenderò lo spunto proprio da questo tuo atteggiamento e su di esso formulerò la mia demo; mi pare che si presti a pennello per quel che voglio dire.

La gente valuta, soppesa e giudica, ed è giusto che lo faccia: serve a orientarsi meglio nell’intreccio delle relazioni. Purtroppo però non si ferma qui, ma trascende il limite e quindi critica, sentenzia e condanna, spesso senza aver neppure riflettuto a fondo sulla persona o sulla situazione in predicato.

Criticare, sentenziare, bollare sommariamente, sembra divenuto lo sport piú ambito, verrebbe a dire dagli sfaccendati; ma invece no; sono gli ultraindaffarati, i superpragmatici, gli immersi fino al collo nelle vicende di vita quotidiane, che, quand’anche non presentino aspetti o difficoltà insolite, riescono sempre a complicare per poi dibattervisi dentro, come mosche nella ragnatela.

In pratica un notevole numero di depressi, di angosciati, di non realizzati, null’altro potendo fare, passano quel che rimane delle loro giornate criticando tutto e tutti, esprimendo in qualunque situazione la loro rancorosa amarezza e diffondendo, senza esserne richiesti, minacciose previsioni sull’immediato futuro storico, politico, di costume o semplicemente meteorologico.

Nei tempi in cui viviamo per le molte anime logorate in tal senso, c’è un’enorme quantità di materiale da sfruttare; la reazione alla reclusione solipsistica si trasforma in un frastuono risuonante da Nord a Sud e da Est a Ovest, disarmonico, sguaiato, in continuo irrefrenabile crescendo.

Ti basta il modo con il quale la gente vocifera all’aperto, parla al telefonino per strada? La mimica, la gestualità, la ricerca della volgarità per meglio accentuare le espressioni? O il volume esagerato delle TV accese a tarda notte, e quello delle autoradio, il cui rimbombo ossessivo perdura anche dopo che le vetture sono sfrecciate da un pezzo? Non si tratta di dare un giudizio sul comportamento umano; si tratta di valutare se cosí perdurando, possiamo affermare in tutta sicurezza che il mondo oggi sia nettamente progredito rispetto a ieri.

Adesso ascolta bene perché ci stiamo per inserire in un discorso un po’ atipico, ma vedrai che risulterà utile per comprenderci meglio. Prendiamo uno di questi singoli scalmanati; consideriamo la sua anima normalmente depressa, derelitta e incline solo all’uso di pensieri coniati sulle lamentele, sulle proteste e sul vittimismo.

Niente di grave, quindi. L’avvilimento interiore è uno dei mali piú piccoli che possano affliggerci, ma lo prendo come modello in quanto sintomo caratteristico del periodo attuale.

Non venirmi a dire: «Dove lo trovo uno cosí?» perché siamo entrambi certi che se frughi nelle tue immediate vicinanze, magari tra la tua stessa parentela, qualcosa del genere salterà fuori. Potrei suggerirti, nulla trovando, di guardarti allo specchio, ma capisco che sarebbe un colpo basso e non rientra nel mio modo di gestire i rapporti con il prossimo.

Il passo successivo è questo: paragoniamo l’anima di questo signore, o di questa signora, a un pianeta; sí, a un pianeta come lo è la nostra Terra, tanto per non sforzare troppo le meningi. E grazie al nostro fervido (?) immaginare di bravi astronauti, pensiamo di atterrarvi, per vedere da vicino com’è.

PastoraleCi si può porre una domanda: che tipo di natura ci offrirà questo pianeta? Sarà rigogliosa, dolce, disposta armonicamente ed equilibrata nelle sue varie parti? Cieli azzurri e tersi, vallate incantevoli, albe e tramonti da cartolina, acque pure e fluenti? Ci rammenterà l’idilliaca Sesta di Beethoven “La Pastorale”, o le Quattro Stagioni di Vivaldi?

Ragionevolmente dovremo ritenere che nulla vi sarà di tutto questo, ma al suo posto ci aspetteranno situazioni e panorami tali che ci faranno venire la voglia di rimbarcarci subito sul nostro veicolo spaziale e scappar via quanto prima da quel postaccio.

Lo so; ancora non ho dimostrato niente, ma ci stiamo avvicinando. Abbiamo preso per ingredienti non i grandi peccati o i delitti commessi dall’uomo, ma l’insieme delle tante, infinite, piccole omissioni espresse ogni giorno dagli umani attraverso, prima di tutto, i pensieri distorti, miserelli, pensieri che sono in realtà mezzi pensieri, se non meno; e poi, seguiti a ruota, da un povero, rintronato sentire, e quindi da un febbrile volere, egocentrico e puerile, capace solo di acuire tensioni e nervosismo.

Una simile ondata (quotidiana), provocata da quasi sette miliardi di anime, può determinare sconvolgimenti in ciò che noi abbiamo denominato Regno dell’Aria, del Fuoco, dell’Acqua e della Terra? No, non lo può. Non lo può direttamente; il principio di causa-effetto qui non funziona.

Come la percezione non crea pensieri nella testa e nell’anima degli uomini, ma può fare da stimolo perché il pensiero si attivi e si manifesti (cfr. Rudolf Steiner, Filosofia della Libertà, Parte Prima) allo stesso modo la condotta immorale e irresponsabile dell’umanità, protrattasi per oltre una certa misura, non dà causa, ma crea l’occasione per far reagire negativamente le forze telluriche; dà loro l’estro di smuoversi, di scrollasi di dosso una situazione divenuta inaccettabile, e di ricomporsi in guisa diversa, alla ricerca di nuovi equilibri.

La condotta umana e le calamità della natura non sono due variabili da ricondurre a rapporto di parità matematica, ma le calamità naturali sono una risposta al comportamento attuato dall’uomo, in quanto con tale comportamento egli ha infranto il Patto Antico. Il pianeta Terra, e la natura da esso offerta alle creature che lo abitavano, si basava su determinate e precise premesse che riguardavano l’equilibrio, l’armonia e la dedizione reciproca.

Dobbiamo trovare il coraggio di dircelo: non ci sono piú. Abbiamo buttato via tutto.

Cadute queste premesse (e per colpa di chi, lo puoi immaginare da solo) il rapporto eco/biologico cambia; non può rimanere quello di prima, e la natura ci si mette d’impegno per avvertire, per far arrivare questo messaggio a delle coscienze che ogni giorno stentano di piú a capire il modo d’interpretarlo. Sull’amore verso la conoscenza prevale pesante ed esclusiva la paura per la propria sorte; ogni costruzione di pensiero che si spinga oltre i limiti egoici viene impedita, e invece sarebbe stata necessaria per capire quel che sta succedendo.

Eppure noi non siamo del tutto avulsi da una tale verità; si sono create scuole di scienze ecologiche e biogenetiche, ove gli stessi studenti, lavorando e studiando con particolari modalità, in ambiente vegetale ricco di coltivazioni, hanno potuto constatare che la fioritura e la fruttificazione delle medesime hanno di gran lunga superato ogni aspettativa sia per la quantità che per la qualità.

Per contro, riporto la mesta constatazione di un montanaro, che un giorno mi illustrò l’origine delle slavine, estremamente pericolose, in certe parti dell’anno, per quanti amano innalzarsi a cuor leggero.

Un tempo, sui monti pascolava il bestiame, che, brucando, manteneva bassa, salda e irta l’erba dei prati; quando cominciava a cadervi la neve, i primi fiocchi s’infilavano dentro il reticolo degli steli e dei gambi; questo significava che il cumulo di neve che in seguito vi si sarebbe appoggiato sopra, trovava comunque un aggancio col terreno. Se oggi, per note ragioni, gli junge Bergbewohner preferiscono fare i maestri di sci piuttosto che accudire il bestiame, come conseguenza avremo che l’erba dei pascoli rimarrà alta, soffice, quindi la neve vi si stenderà sopra appoggiandosi come un manto, e raggiunto un certo spessore, tenderà a scivolare a valle senza chiedere il permesso preventivo a turisti e gitaioli.

Forse adesso siamo giunti a una migliore visuale del problema; certamente sostenere con candida sicurezza, come fanno alcuni miei amici di vecchia conoscenza (non parlo di te che sei miscredente) che la slavina, o la valanga, siano effetti di nostre marachelle, e che un Intelligent Design, appositamente allestito al di là della stratosfera, ne acceleri di volta in volta l’intensità di fattispecie, fa rimanere costernati e manda gambe all’aria tutta una serie di certezze filosofico-spirituali che nel corso degli anni avevo acquisito con non poca fatica. L’ignoranza e la superstizione superano in longevità anche il Vecchio Testamento.

cornataPerciò ti raccomando: quando sentirai qualcuno di costoro dire che l’immoralità dell’uomo provoca disastri meteorologici e squilibra l’in­tero ecosistema planetario, non reagire con la tua solita foga: «Non è vero! È una balla colossale!», piuttosto stattene zitto e buono, e ripensa, se ciò non costituisce un onere eccessivo, alla frase che il dottor Steiner ha posto sul finire del cap. IX della sua Filosofia, e sulla quale abbiamo discusso piú di una volta: «Il toro non dà le cornate perché ha le corna, ma poiché ha le corna è in grado di dare le cornate».

Del pari, una certa quantità di condotta disdicevole, attuata senza sosta dall’uomo, non sarà mai causa di catastrofi e calamità (parliamo qui esclusivamente di quelle naturali, ma sappi fin d’ora che il nostro discorso potrebbe allargarsi); andrà tuttavia a iscriversi nel tessuto eterico della Terra, cosí come prima ha inciso nelle varie anime protagoniste, e tale mutata situazione diviene a sua volta la premessa di un sommovimento, che può raggiungere livelli di vero e proprio sconvolgimento, con il quale viene tentata una provvisoria e parziale riparazione commisurata alla quantità del danno patito.

Una realtà correlata in modo improprio al meccanismo di causa-effetto può trasformarsi in una corrispondenza bilaterale e, in questo caso, quel che prima sembrava “causa” diviene un semplice complemento di mezzo. Incredibile, no? Eppure siamo sempre noi a stabilire l’equivalenza o meno.

Voglio però ora evidenziare un lato delle mie considerazioni, che forse non ho saputo mettere nel giusto risalto. Come può una serie, ancorché enorme, di elementi minuscoli come i nostri quotidiani pensierini “egoici”, andare a formare una massa critica talmente potente da indurre una reazione nelle forze della natura? Dal punto di vista logico, la cosa appare sproporzionata.

Ebbene mio caro, invito te e tutti gli amici che vogliano cimentarsi nella diatriba, a rivedere, tra i paradossi della filosofia greca, quello dell’“aporia dei chicchi di miglio” (protagonisti l’eleatico Zenone e lo stoico Protagora).

miglioDice il primo al secondo: «Un chicco di miglio che cade a terra emette rumore zero; una grossa quantità di chicchi di miglio buttata a terra produce un rumore percettibile, tutt’altro che zero. Ti chiedo: come fa una somma di zeri a dare per risultato un valore positivo?».

Qui i casi sono due: o la matematica è un’opinione, op­pure dobbiamo tristemente ac­cettare l’idea che un singolo chicco di miglio, come pure un singolo pensiero scorretto o disonesto, non è uno zero, ma è già un qualcosa che produce rumore e pesa. Il fatto che noi non abbiamo organi sufficientemente sviluppati per afferrarlo, è un tutt’altro paio di maniche; ai fini della verità non significa nulla: il rumore/peso c’è, e incide; tant’è vero che, associato in notevoli quantità, risulta percettibile anche all’os­servatore meno provveduto.

Che succede se gli osservatori meno provveduti montano in cattedra e pretendono pure di aver ragione? Succede che il paradosso del miglio rimane un’astrusità da filosofi, da assaporarsi nei ritagli di “Spassi & Passatempi”, e si continua a credere che la protervia pensante (sempreché venga rilevata) di continuo emessa da una gran parte dell’umanità, non abbia alcuna connessione con quel che la natura fa o non fa. Anzi, una parte di costoro, opportunamente indottrinata, confessa tranquillamente di non fidarsi dei paradossi, mentre invece ritiene chiaro e indiscutibile, che l’impuntamento catastrofico comportante sconvolgimenti naturali, svela la mano degli Dei che sta dietro il palcoscenico del mondo, e infligge all’uomo la giusta punizione allorquando i suoi peccati hanno colmato la misura.

Dove il pensiero non ce la fa a costruire uno straccio di ragionamento che possa fare da ponte tra una realtà vissuta e il mondo dei concetti, deve intervenire il dogmatismo, il quale è comodo perché non richiede sforzi di comprendonio, ma solo la supina accettazione delle forze dell’anima che si inchinano a un volere, accolto come superiore.

Pertanto, mio caro, non volgermi contro accuse che non merito; io studio l’Antroposofia di Rudolf Steiner e la integro con il pensiero di Massimo Scaligero, ma i miei ragionamenti me li faccio da solo e non vado in giro a ripetere pappagallescamente «Le cose stanno cosí e cosí perché… Ipse dixit».

Ci sono già troppi che lo fanno; non c’è bisogno del mio apporto.

Sappi tuttavia una cosa che mi pare di aver capito abbastanza bene: chi veramente ama il pensare non ripete i pensieri altrui quand’anche siano meravigliosi e affascinanti; semmai, colmo di entusiasmo e di gratitudine per coloro che hanno saputo pensarli, dice a se stesso: «Che bello! Vediamo se partendo da quel che sono e dalle capacità che mi ritrovo, riesco a creare nel mio piccolo qualcosa del genere». Questo processo ha il nome di “auto-esperienza”.

Tu mi dirai: «Ma chi ti garantisce in tal caso che quanto costruisci sia la verità?».

E io ti rispondo: «Non riconosco a nessuno questo diritto; mi auguro invece che tutti sentano il dovere di lasciarmi provare».

 

Angelo Lombroni