L'asceta e la natura

Testimonianze

L'asceta e la natura

Al GuadagnoloPer Massimo Scaligero era essenziale il contatto con la natura. Viveva nei pressi del Gianicolo, in una delle zone piú verdi di Roma, a ridosso di villa Doria Pamphilij, per la quale, quando era ancora interdetta al pubblico, aveva ottenuto un permesso illimitato di entrata. Negli anni ’50 e ’60, prima di diventare una villa pubblica, subendo poi una devastazione da parte dei “contestatori” sessantottini, c’erano all’interno rare specie di flora provenienti da ogni parte del mondo, all’aperto e in grandi serre, e una miriade di uccelli che vi avevano nidificato. La passeggiata in quel verde rigoglioso era per Massimo veramente ritemprante.

La domenica inoltre c’era la consuetudine della gita al Guadagnolo, sopra Capranica Prenestina: un luogo isolato dal quale s’inoltrava per lunghe camminate in zone ancora piú appartate, dove volavano alte le aquile reali, e dove poteva dedicarsi, nel silenzio e nella solitudine, all’esercizio della percezione pura.

Nei primi anni Sessanta, Massimo passava l’estate a Isola Farnese, nella casa a forma di torre di proprietà della sorella Adelina e di suo cognato, Paolo Marchetti, scrittore noto con il nome di Paolo Virio. Da lí ogni giorno faceva lunghe passeggiate, in particolare nella zona sottostante, quella del parco di Veio, allora poco frequentata e quindi adatta al raccoglimento.

A Isola Farnese tutti lo conoscevano e lo chiama­vano “il professore”. Era amato e rispettato sia dalle persone semplici che da personaggi della cultura e dell’arte che vi avevano eletto il proprio domicilio per essere prossimi alla città ma in una zona tranquilla e dall’aria ossigenata e corroborante.

Nel pomeriggio, verso il tramonto, dopo la passeggiata ai “Bagni della regina”, a Formello, Massimo si recava da un’anziana contadina che governava una decina di mucche maremmane dalle lunghe corna, che a quell’ora tornavano dai pascoli per la mungitura. Campagna FormelloLe mucche lo riconoscevano, e se lui arrivava prima che fossero entrate nella stalla, gli andavano festosamente incontro. La donna non mancava mai di donargli un po’ di latte appena munto, che Massimo riteneva molto prezioso: lo portava a casa e lo beveva cosí, al naturale, senza farlo bollire. Quelle mucche erano il ritratto della salute, diceva, e non c’era bisogno di sterilizzare il loro latte.

Dopo la morte di Paolo Virio, però, la casa dovette essere venduta, e fu necessario trovare un’altra soluzione per l’estate. Gli venne incontro il conte Di Robilant, proprietario del Castello di Isola Farnese. Avendo letto alcuni suoi libri, dimostrò la sua grande stima verso “il professore” concedendogli l’utilizzo gratuito di un piccolo appartamento nella parte alta dell’edificio.

L’anno dopo, però, quella parte era in restauro, quindi fu necessario trovare un luogo adatto, che fosse piú o meno nella zona. Poco distante c’era la grande tenuta del marchese Incisa: l’Olgiata. La figlia del marchese, la contessa Hunyadi Incisa, si dichiarò onorata di ospitare un Maestro spirituale, e propose di alloggiarlo nell’appartamento del custode attiguo alla piccola scuola elementare. Era un ambiente pulito e luminoso, con tutte le dotazioni essenziali, pur nella loro semplicità. Il piccolo edificio era immerso nel verde, con un fontanile al quale la mattina andava ad abbeverarsi un serpente, che prima di tornare indietro alzava la testa e guardava dritto negli occhi Massimo, quasi a salutarlo. Un rosso gatto tigrato si era sistemato nel giardino, e Massimo lo nutriva amorevolmente con qualche avanzo dei suoi pasti, sempre molto frugali: un piatto di pasta, qualche volta un po’ di formaggio, un frutto. Mai la carne, piú per amore degli esseri viventi che per dieta. Ma non voleva che si sapesse, perché diceva che il vegetarianesimo doveva essere una scelta autonoma, non per imitazione.

ribotNella tenuta c’erano anche le scuderie, con molti cavalli, tra i quali il leggendario Ribot, che aveva vinto tante corse e che in quell’epoca era tenuto a riposo, per la riproduzione. Nelle sue passeggiate giornaliere, Massimo non mancava di andare a salutare i cavalli, e in particolare Ribot, che riconoscendolo da lontano lo salutava con un nitrito.

Al centro dell’Olgiata il marchese aveva voluto che fosse lasciata quella che lui considerava “la foresta vergine”, ovvero un luogo incontaminato, al quale non si accedeva a causa del fitto sottobosco cresciuto e mai sfoltito. Lí viveva ogni specie animale in assoluta libertà, come scoiattoli, tassi, ricci, istrici, e soprattutto uccelli di particolare bellezza, che avevano trovato rifugio dalle zone intorno, depauperate da una caccia selvaggia. Nel primo mattino e al tramonto, sostavano sugli alberi intorno alla casetta a cantare per l’ospite, che godeva di quei gorgheggi melodiosi.

L’amore per la natura, vegetale e animale, era per Massimo come l’amore che dimostrava per tutte le persone che lo avvicinavano. Diveniva amico dei piú semplici come dei piú grandi personaggi. Camminando con lui per la strada era incredibile vedere quante persone lo conoscessero e lo interpellassero per i propri affanni personali o anche per condividere una gioia. Per tutti aveva parole di considerazione e di vero interesse, risolvendo a volte piccoli e grandi problemi personali con originali soluzioni.

Le persone che andavano a trovarlo, ricercatori dello Spirito all’inizio della loro disciplina interiore o altri già avanti nel lavoro spirituale, o personaggi eruditi e al culmine della carriera accademica o professionale, tutti a proprio modo gli ponevano dei quesiti. Per tutti aveva una risposta e una soluzione, che talvolta appariva quasi banale nella sua semplicità, tanto che la prima cosa che veniva in mente era: com’è che non ci avevo pensato? Spesso la soluzione era proposta con piccoli suggerimenti, tanto da far arrivare la persona stessa a trovarla. Oppure, se la premessa del quesito era errata, mai era sottolineata la lontananza dalla verità, ma la risposta iniziava con: «Interessante punto di vista. Si potrebbe anche dire che…» e qui, aggiungendo e aggiustando il pensiero, si arrivava a una visione che poteva anche essere l’esatto contrario dell’affermazione iniziale.

Era per tutti l’amico, il confidente, il padre che sostiene, incoraggia, lascia la piena libertà di agire con le proprie forze, pronto sempre, se richiesto, a riparare agli errori senza giudicare, senza rimproverare.

La natura vegetale, quella animale e ancor piú quella umana rappresentavano per lui l’opera da conoscere, amare e recuperare all’armonia perduta, che era allora, e ancor piú lo è oggi, da riconquistare.

 

Gemma Rosaria Arlana