La posta dei lettori

Redazione

La posta dei lettori

letterinaSalve, complimenti per il vostro sito di spiritualità. Ho letto un articolo sulla reincarnazione e l’Aldilà e m’è sorta una riflessione. Secondo Voi questa teoria è vera? Ho letto che per la Chiesa è un’eresia, una falsità assurda, anche molti veggenti dicono che c’è solo una vita, e la reincarnazione è fasulla. I primi cristiani so che ci credevano, e come mai oggi la Chiesa è contraria alla reincarnazione? Ma se la reincarnazione fosse vera, nella prossima vita posso decidere di reincarnarmi in chi voglio? Per quanto mi riguarda penso che la teoria della reincarnazione oltre ad evolvere l’uomo può essere vista in maniera positiva per chi è stato sfortunato in questa vita, chi non ha goduto gioie.

 

Federico

 

 

La reincarnazione è una realtà inconfutabile dal punto di vista logico: come potremmo evolvere in una sola vita? La Chiesa la conosce bene e la studia nella teologia, ma si guarda bene dall’accettarla. Se lo facesse, perderebbe il suo primato, che è quello di inviare, terso e candido, in Paradiso anche un assassino seriale, purché confessi e si penta della sua colpa. Basta dunque un bel pianto di coccodrillo. La confessione, che è servita a volte a tacitare i rimorsi di coscienza del male compiuto dal “peccatore”, è stata anche nei secoli un sistema per conoscere i piú intimi segreti del “gregge”. Il confessore, poi, può confessare a sua volta al proprio confessore quanto appreso, e quello a sua volta al proprio, fino ai piú alti gradi, che ricevono le informazioni di cui necessitano. Ciò è stato ben compreso da coloro che volevano ottenere in altro modo lo stesso risultato, e hanno inventato la pseudo-confessione laica: la psicanalisi. Affermando di poter guarire complessi e tormenti della psiche, lo psicanalista ha copiato bellamente l’opera del confessore, che si dichiara salvatore dell’anima. Riguardo alla domanda se ci si può reincarnare a proprio piacimento, certo sarebbe molto comodo: tutti sceglierebbero di reincarnarsi in un Paese ricco, potente e dominante, in una famiglia facoltosa, con un bell’aspetto e un’acuta intelligenza, in un ambiente sereno e sicuro ecc. Ma ogni vita dipende esattamente dalla precedente. Il karma ci fornisce il fisico che ci meritiamo, i genitori e la collocazione che ci necessitano per riparare a quanto di negativo abbiamo compiuto nella vita antecedente, e per portare avanti quanto vi abbiamo cominciato ad apprendere. In effetti, se in una vita si è stati “sfortunati”, può darsi che si possa meritare – se si è fatto tesoro della lezione karmicamente impartita – di rinascere con migliori opportunità. Almeno, ce lo auguriamo!




letterinaVorrei chiedere un’indicazione su quale testo posso consultare per fare luce sulla cronologia delle varie epoche. Infatti, in Considerazioni Esoteriche su nessi karmici, vol. 6, è riportato che la Terra non esisteva 20 milioni di anni fa. Viceversa, nella conferenza 25 ottobre 1905, O.O. N° 93 è riportato che l’epoca lemurica risale a 22 milioni di anni fa. Considerando inoltre che l’epoca postatlantica avrebbe una durata di circa 15.000 anni, non riesco a farmi un’idea generale della durata delle singole epoche. Potete gentilmente fornirmi un chiarimento?

 

Daniele


 

Sapere se i milioni siano 20 o 22 non può certo ritenersi fondamentale per procedere nella Via di conoscenza spirituale che vogliamo percorrere. Possiamo inoltre precisare, riguardo al numero di Opera Omnia citato, il 93, del 1905, che si tratta invece del 93a, da noi tradotto e pubblicato a puntate su questa rivista. Pur se considerate “conferenze”, si trattava in realtà di “lezioni”, che non erano destinate al pubblico ma ad una ristretta cerchia di membri connessa con la Scuola esoterica. Di tali lezioni non vi sono stenoscritti ma solo appunti estesi, che i partecipanti hanno trascritto per uso personale. Infatti, al termine di ogni pubblicazione, abbiamo riportato la dicitura: «Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner». Nel nostro numero di agosto 2017, al link https://www.larchetipo.com/2017/08/antroposofia/elementi-fondamentali-dellesoterismo-23/ è effettivamente scritto”22 milioni”, ma bisogna pensare che ognuno dei manoscritti o dattiloscritti dell’epoca riporta “interpretazioni” o “ricordi” diversi. Alcuni hanno persino differenti titoli, cosa comprensibile, trattandosi di appunti personali: ognuno dava il titolo che credeva adatto. Inoltre, possiamo aggiungere che sappiamo bene quanta ricerca cosmologica sia stata in seguito portata avanti da Rudolf Steiner dal 1905 in poi, e fino al 1924, con un lavoro di inenarrabile impegno interiore. E c’è da credere che nelle ultime conferenze il risultato sia stato ulteriormente precisato e perfezionato. In ogni caso, per la cronologia delle varie epoche i testi piú adatti da consultare sono Scienza Occulta, Cronaca dell’Akasha e Apocalisse. 




letterinaHo letto il pregevole articolo di Angelo Lombroni sull’Archetipo di Agosto “Metti una crisi d’estate”. Se l’articolo è vero, una domanda sorge spontanea: e il perdono nel gruppo? Sembra che tutto debba avvenire quasi meccanicamente: «Una richiesta di redenzione nello Spirito che può attuarsi soltanto in contemporanea tra l’essere che si è e quello che si sta tentando di diventare. Ogni esclusione è un tornare sui propri passi, tradire i propri obiettivi e di conseguenza fallire nei propri scopi». Sta parlando l’ego o l’Io? Quand’è che si rimettono i debiti? Se non si rimettono i debiti degli altri, come sarà possibile che gli Dei ci rimettano i nostri? E quanta poca fiducia nello Spirituale! Negli esercizi bisogna aver fiducia nel Mondo spirituale e accostarsi al Gruppo con devozione serissima. E se qualcuno offende qualcun altro o – meglio ancora – noi stessi, osservare quanto accaduto e vedere in quella manifestazione un segno di insufficienza che è opportuno perdonare, dimenticare. Altrimenti si ritornerà all’antico. Alla necessità di un leader. In sostanza all’anima di gruppo. Se uno comincia a perdonare, lo faranno tutti gli altri, il suo esempio sarà tessuto d’Amore, quello vero che è fatto di Libertà. L’Amore non è condizionato. Sceglie – di qui la Libertà – di fare qualcosa gratis et amore dei. Non gli altri devono dare qualcosa a me. Io devo dare agli altri. Quanto posso dare, me lo suggerirà, volta per volta, la mia fantasia morale. Che non è sostanzialmente solo mia, ma degli Dei che mi affiancano e mi indicano la strada giusta. Una domanda: qual è la migliore espressione della Libertà? L’Amore! Qualcosa di assolutamente non-condizionato. Io amo gratis, senza chiedere niente in cambio, nemmeno che l’oggetto d’amore mi corrisponda. Sono dunque libero in massimo grado quando scelgo di amare. E se il pensiero si lega automaticamente alle cose, io posso scegliere di disincantarlo. Si può dunque dire che amo i miei pensieri liberi? E chi mi sostiene in questa operazione di disincantamento? Per tornare ai gruppi: ho sperimentato, concretamente, che l’unico rimedio all’egoismo dei singoli ego è il perdono. Un atto libero e incondizionato. Se uno nei gruppi comincia, nessun altro rimane indifferente.

 

Grifo

 

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Pensieri molto giusti e condivisibili. In realtà l’articolo citato sembra voler significare proprio la stessa cosa: tutto deve essere superato con il senso di Amore e di Libertà che vanno insieme suscitati dai partecipanti del gruppo, i quali lavorano per avanzare nella Via dello Spirito. Vi si dice infatti: «La via dello Spirito è una via di Amore e di Libertà; ma l’Amore, da solo, sarebbe capace perfino di vincolarsi a qualunque cosa lo susciti. Come la Libertà, priva dell’Amore, si ridurrebbe a una forma maniacale di indipendenza contrapponibile a tutto e a tutti. Messi assieme, coinvolti grazie alla forza di una coscienza pensante (che in tale caso è azione immediata ossia “non mediata” dell’IoSono) si concedono, si donano a vicenda, si rivelano come fortificazioni indispensabili l’uno al perfezionamento dell’altro, e sanno che, separati, svuoterebbero di significato la Vita che li anima e li ispira punto su punto». Le crisi ci sono state e ci sono tuttora in vari gruppi. È purtroppo inevitabile. Alcune volte si superano, altre volte il gruppo si scioglie, e allora non si è riusciti a fare quello che era necessario: perdonare, ognuno per proprio conto – ma tutti insieme – chi si è fatto tentare dagli «Antichi Avversari dell’uomo, estremamente interessati a ciò che il gruppetto di amici sta facendo…», sempre per citare le parole di Angelo Lombroni. Utilissime in ogni caso le precisazioni.




letterinaGentile Redazione, scrissi la prima volta nel numero di Maggio circa l’esercizio di concentrazione e contemplazione. Ho colto il messaggio contenuto nella risposta di semplificare e ciò ha comportato delle modifiche nell’approccio che è molto piú sintetico, compatto e non troppo dispersivo sui dettagli. Pertanto è come se fossi ripartito da capo, piú consapevole di quello che è il da farsi nell’esercizio e del suo nobile significato essenziale. Quindi grazie per quella risposta e anche a Franco Giovi indirettamente, che ho riletto con piú attenzione nelle risposte date nella posta ai lettori negli anni passati. Mi son ritrovato in molte delle parole dette, la concentrazione se la si fa con intenti seri risulta non difficile, difficilissima sin dal primo passo. D’estate col caldo poi se si è in città l’esecuzione è un calvario, per impilare una sequenza di pensieri col massimo dello sforzo, soprattutto la prima volta della giornata, ci si ritrova come si stesse spostando un quintale con le braccia da almeno un’ora: il sudore gronda dalla testa a litri che alla fine della sessione intorno alla sedia c’è un lago. Asciugare, bandana e continuare. Se si comprende quale sia la direzione dell’esercizio ogni volta non è possibile essere soddisfatti di un qual certo sbarazzarsi dei pensieri che turbavano l’anima – quel famoso senso di fermezza e sicurezza – dopo che si danno tre o magari quattro botte al giorno ben assestate di concentrazione tentando piano piano la contemplazione. Penso sia necessario tenere sempre a mente, da quel che ho appreso poco dopo i primi esperimenti, di non farsi prendere da un certo tecnicismo o dall’ossessione della verifica a fine esercizio tra il prima e il dopo. Noto che alla fine dell’esercizio può sorgere una sensazione come di un punto o meglio una “goccia fredda” situata poco sopra le sopracciglia all’interno della fronte, che si protrae anche per ore. Tra una qualche settimana ho intenzione di inserire l’esercizio dell’atto puro. In merito vorrei sapere sulla espressione di riversare l’impulso all’azione dalla testa al cuore: a quale punto della testa si riferisce lo Steiner, la fronte o l’interno tra pineale e ipofisi? Durata ottimale dell’esercizio per l’uomo di oggi o qualche consiglio aggiuntivo nel mentre lo si esegue? Saluti e un saluto a Giovi.

 

Stefano

 

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Chiamato in causa Franco Giovi, abbiamo ritenuto interessante, non solo per lo scrivente ma anche in generale per i lettori, girare la domanda a lui, che ha risposto come segue.

 

Caro amico, approfitto direttamente del suo indiretto ringraziamento per scrivere qualche riga circa l’atto piú paradossale del mondo: la concentrazione, essendo essa qualcosa che unisce in sé il carattere di una assoluta semplicità infagottata da enormi difficoltà. La concentrazione è l’ope­razione in cui si enuclea l’essenza di ciò che il Dottore ha dato nella sua Filosofia della Libertà (testo quasi incompreso se non lo si avviva entro se stessi in ogni concetto progressivamente esposto con rigore desto e severo: lavoro che pare oggi fuori portata essendo pratica, non teoria). Già richiede uno sforzo inusuale l’accorgersi che il pensiero è il fondamento su cui regge la nostra autocoscienza e la comprensione per tutte le cose del mondo, compreso il nostro portato interiore. Poi può venir compreso che il flusso del pensiero c’è, ma di esso ci limitiamo a percepire soltanto i pensieri e mai il pensiero in se stesso. Noi pensiamo ma non conosciamo il pensiero. La concentrazione è la disciplina interiore che tenta di permetterci di afferrare il pensare stesso nel suo momento vivo, prima che si rifletta diventando sia il comune, astratto pensare, sia che rivesta il mondo riducendolo ad una categoria di immagini fisse, del tutto identiche tra loro in quanto fatte e finite. Dovrebbe essere chiaro all’anima che la concentrazione è una impresa difficile: essa porta lo sperimentatore (l’asceta) al superamento di ciò che in lui è natura, e del mondo stesso come prodotto di questa condizione naturale. Non a torto la saggezza antica vedeva come illusoria o tenebrosa (maya) la normale condizione umana. L’antica saggezza insegnava a ritirarsi dall’illusione fermando le attività della mente. Ora, ormai da qualche migliaio di anni, le forze dell’anima, con l’afferrare il mondo che appare ai sensi, hanno dato, come frutto, un rafforzamento dell’Io che non è una stravagante verruca animica ma Spirito. Spirito che è penetrato con forza in ciò che chiamiamo materia. L’unica attività cosciente che, nell’uomo, supera (indipendente dalle categorie sensibili) la possente ipnosi della materia, è il pensiero ed è nel pensiero che l’Io fortificato sale la scala della Realtà. Cosí lei può pensare anche se il corpo gronda di sudore, anche se fatica o preoccupazioni hanno invaso l’anima. Questa capacità di pensare oltre la contingenza possiamo chiamarla pensiero voluto. Il pensiero voluto con predeterminazione è una condizione difficile: è l’inizio del percorso della concentrazione. La concentrazione deve essere semplice e pura, oppure non è concentrazione. Cosa intendo con “semplice” e “pura”? Praticamente quasi tutto. Con pratica lunga e testarda occorre accorgersi che né tema né ricchezza filologica servono a questo incedere voluto di pensieri. Non serve nemmeno che lo svolgimento dei pensieri corrisponda in modo giusto all’oggetto che si è posto al centro della coscienza. Non ha alcuna importanza ciò che viene pensato: importa solo che il percorso sia (faticosamente) voluto: pensiero dopo pensiero. Poi, nella pratica, purezza e intensità possono essere sinonimi: nulla deve sostituirsi ai pensieri deliberati durante l’esercizio. Ciò viene lentamente raggiunto con la pratica insistente. Dapprima e per lungo tempo è lotta, poi inizia ad essere una condizione. Le difficoltà sono tante: iniziano con una ingigantita sensibilità corporea (esiste una subconscia paura di perdere la sensazione di sé), poi l’anima trova e moltiplica ogni sentimento ed istinto per arrestare il lavoro interiore. La natura e la sottonatura sono i nostri piú forti nemici, ed i peggiori, perché l’uomo li avverte come parti di se stesso. Ciò esige un coraggioso processo di spoliazione che pochi sono disposti ad accettare. Mi dispiace d’aver tracciato un quadro che potrebbe apparire poco piacevole, ma credo sia importante ricordare o intuire quanto la concentrazione non sia paragonabile ad un qualsiasi “esercizio occulto” per cui potrebbe valere la sapida battuta del celebre avvocato Carnelutti: «Multi sunt advocati sed pauci electi». Per questo preferisco non inzuccherare la scena. Inoltre lasci perdere sensazioni particolari, persino fuggevoli visioni: su questa strada, vanno considerate per quello che sono in rapporto alla disciplina: semplici disturbi. Ancora un consiglio: non faccia subito il molto o il moltissimo. Come in una lunga corsa, chi dà tutte le energie all’inizio, perde vigore poi. Due sessioni giornaliere dell’esercizio, possibilmente svolte alla medesima ora, possono essere una solida base per quanto la stessa concentrazione potrà suggerirle strada facendo. Auguri di cuore.

 

Franco Giovi