Il sociologo e il pensiero

Critica sociale

Il sociologo e il pensiero

Il sociologo e il pensieroOgni uomo si pone in relazione con il mondo esterno e con la sua vita interiore interpretando la molteplicità delle percezioni mediante il pensiero. Il comportamento umano piú caratterizzante è senza dubbio l’attività di pensiero. Il sociologo, in linea con tutta la cultura attuale, non ha mai indagato su questo fattore, tantomeno si è chiesto se il pensiero, con cui costruisce le sue teorie e si dà un metodo di ricerca, possiede in sé il suo fondamento o sia un semplice registratore cerebrale del mondo esterno, il quale consente una modesta sistemazione induttivo-deduttiva dell’apparire.

Abbiamo piú volte ribadito l’assurdo di negare al pensiero una realtà universale, non riconoscere nell’atto del pensare quella essenza che si manifesta già nel primo ordine che esso pone alle percezioni, considerando però contemporaneamente questa negazione come una conquista razionale, come una costruzione rigorosamente logica, quindi come una manifestazione della realtà del pensare. Ogni uomo, quando formula dei pensieri, li ritiene definitivamente veri (anche quando si lascia la facoltà di dubitare di tutto, attribuisce a questa valore di principio), ma non sa di scoprire con ciò il primo movimento della realtà pensante; si pone in contatto, per un attimo, con la forza vivente contenuta in ogni pensiero e ne sente l’intima verità.

Purtroppo questo meraviglioso lampeggiare della realtà del pensare, presente in ogni idea, in ogni concetto e nel potere di relazione e connessione fra i diversi pensieri, non viene realizzato come atto cosciente; rimane una forza sconosciuta sperimentata solo nell’organo cerebrale, il quale in quanto strumento fisico non può che improntare di sé, della sua istintività e dei suoi legami psichici, ogni manifestazione pensante. Il pensiero, privo cosí della consapevolezza della sua sorgente, realizza se stesso nella registrazione riflessa del mondo esterno; non può che rifugiarsi nella supposta oggettività del dato quantitativo, ignorando che, privo della libertà dai sensi, tradisce continuamente l’obiettività che si era proposta.

Le scienze sociali, poste di fronte alla complessità e alla mutevolezza della vicenda umana, perdono ben presto l’apparente sostegno del misurabile. Senza la realizzazione interiore della realtà del pensare, qualsiasi tentativo di pervenire a una soluzione del rapporto tra “fatto” e “valore” non può approdare a nessun risultato. Giustamente afferma Ferrarotti: «Radicalmente diverso è il compito della teoria della conoscenza. Esso non riguarda le origini e le conseguenze causali della attività intellettuale, dal punto di vista psico-fisico, bensí il modo con cui questa attività deve svilupparsi affinché i giudizi siano veri» (in La Sociologia, ERI, 1961).

Tutto questo però non può essere solo una formulazione filosofica. Si tratta piuttosto della attuazione di una disciplina rivolta ai due momenti della conoscenza: l’osservazione e il pensare, che vanno purificati dal prevaricare continuo delle sensazioni e delle rappresentazioni, suggerite dalla natura inferiore dell’uomo. La esperienza della libertà si esplica appunto nella realizzazione di una osservazione pura e di un pensare puro.

In sostanza il ricercatore sociale si propone di offrire un contributo a una politica industriale piú funzionale mediante piani di riorganizzazione, selezione e promozione del personale; mediante analisi dei compiti e delle qualificazioni del lavoro; attraverso controllo dei risultati e studi di mercato. È questo però un compito enorme, anche se affidato a gruppi di lavoro nei quali confluiscono esperti dei diversi rami.

Come abbiamo piú volte ribadito, un cosí vasto arco di interventi non può che essere il risultato (se non si vuole precipitare in una sottile forma di dittatura intellettuale) di una intensa vita spirituale ed educativa per quanto riguarda il problema della preparazione del personale; di una dinamica istituzione giuridica per quanto riguarda l’entità del salario, le condizioni ambientali e la sicurezza del lavoro; di una efficiente struttura economica per ciò che concerne la scelta degli investimenti, il reperimento delle risorse, la situazione del mercato.

Una scuola professionale

Una scuola professionale

Il contributo degli esperti non può bastare. Non è sufficiente il parere di un paio di insegnanti per creare le buone scuole professionali, Queste non possono essere il risultato di una efficiente concezione pedagogica, esprimentesi liberamente nel settore della società che le è piú congeniale. Cosí dicasi per lo sviluppo di un determinato settore produttivo. Il consiglio di un esperto può essere indubbiamente prezioso, ma per essere utilizzabile deve essere coordinato con tutti gli operatori economici direttamente interessati e confrontato con le esigenze di tutto il sistema economico.

L’uomo moderno è piú vicino a una simile esperienza di quanto non creda. Egli dovrebbe dedicare l’obiettività che gli ha insegnato la scienza per scoprire la realtà del pensiero e della percezione. Invece egli si limita a usare queste forze solo per registrare gli aspetti esteriori degli eventi che non possono che deluderlo, rimandandolo sempre verso la ricerca di nuovi dati, i quali sono destinati anch’essi a rimanere senza spiegazione. Non sono distanti da questa esigenza quei sociologi che vorrebbero porsi all’interno della ricerca facendo appello a una “soggettività disciplinata”, o uomini di cultura, come Levi-Strauss, nella loro volontà di pervenire a una obiettività, a una totalità, a una significanza di fatti fondata su “metodi di pensiero conseguenti a nuove categorie mentali”. Solo che la necessaria ma provvisoria localizzazione mentale del pensiero ha esaurito il suo compito. Si dovrebbe dare ora inizio a un pensare in grado di porsi al di sopra della determinazione cerebrale, superando cosí tutte le soggiacenze che questa determinazione reca con sé.

La sociologia, se non vuole rendersi complice della permanenza dell’uomo nella condizione di servilismo in cui lo pongono o la bruta necessità della produzione o l’utopismo dell’ideologia politica – alienazioni che riescono benissimo a convivere insieme – dovrebbe forse ripensare tutto il problema della società e della individualità umana alla luce di una esperienza la quale, superato il mondo analitico delle quantità, sappia ritrovare il significato dei moti spirituali profondi che urgono nella nostra civiltà.

 

Argo Villella 


Selezione da: A. Villella Una vita sociale Società Editrice Il Falco, Milano 1978.