Psicologia spirituale e osservazione del mondo

Esoterismo
Psicologia spirituale e osservazione del mondo

I fondamenti epistemologici della Teosofia – II

Otto giorni fa, ho introdotto queste conferenze con l’osservazione che la filosofia attuale, soprattutto quella tedesca ed in particolare la sua teoria della conoscenza, rende difficile ai suoi adepti di trovare l’accesso alla visione teosofica del mondo; ho indicato che avrei tentato di abbozzare questa teoria della conoscenza, questa visione attuale del mondo della filosofia e di mostrare come qualcuno che abbia una conoscenza morale del tutto seria possa avere difficoltà ad essere un teosofo.

Le teorie della conoscenza che si sono formate a partire da Kant sono in generale eccellenti e alquanto giuste. Ma dal loro punto di vista non si capisce come l’uomo possa arrivare a imparare qualcosa in merito ad esseri che hanno un’altra natura dalla sua, generalmente nei confronti di reali entità. In effetti, lo studio del kantismo ci ha mostrato come questa visione del mondo conduca a raggiungere il risultato che tutto quello che abbiamo attorno a noi non è che apparenza, una rappresentazione di noi stessi. Quello che abbiamo attorno a noi non è una realtà, ma è piuttosto retto da leggi proprie al nostro Spirito, che noi stessi stabiliamo su ciò che ci circonda.

Uomo nel bluHo detto questo: come con occhi muniti di occhiali colorati dobbiamo vedere il mondo intero in una sfumatura di colore, cosí l’essere umano – secondo la visione di Kant – deve vedere il mondo colorato nel modo in cui lo vede secondo la sua organizzazione, indipendentemente dal modo in cui questo mondo è costituito nella realtà esteriore. Cosí non abbiamo il diritto di parlare “di una cosa in sé”, ma unicamente del mondo del tutto soggettivo dell’apparenza. Se è cosí, allora tutto quello che mi circonda – il tavolo, le sedie e cosí via – non è che una rappresentazione del mio Spirito; perché esse sono là soltanto per me e per il fatto che le percepisco, per il fatto che do forma a queste percezioni secondo le leggi proprie del mio Spirito e che sono io a fissare loro delle leggi. Al di fuori della mia per­cezione non posso pronunciarmi sull’esistenza di una cosa qualsiasi, per esempio di un tavolo e di sedie. In fondo, la filosofia di Kant, tutto sommato, è a questo che arriva.

Naturalmente ciò non è conciliabile con la possibilità di penetrare nella vera essenza delle cose. La Teosofia è indissociabile dal punto di vista che non soltanto possiamo penetrare nell’esistenza corporea delle cose, ma anzi che possiamo penetrare anche nella loro parte spirituale; che abbiamo non soltanto un sapere di quello che ci circonda in quanto corpi, ma che possiamo inoltre anche avere delle esperienze di quello che è puramente spirituale. Leggendovi un passaggio del volume che è stato scritto poco tempo prima della creazione del kantismo, vi mostrerò come un libro incisivo esponga, con la visione del mondo chiamata oggi “Teosofia”, quello che in seguito è diventato il kantismo.

Il libro è apparso nel 1766. È un libro che potrebbe essere stato scritto da un teosofo, si può proprio dire cosí. Vi è difesa l’idea che l’essere umano non sia soltanto in relazione con il mondo dei corpi che lo circonda, ma che al contrario un giorno sarà certamente scientificamente provato che l’essere umano fa parte, oltre al mondo materiale, anche di un mondo spirituale, e che si può anche provare scientificamente come egli possa essere in relazione intima con quest’ultimo. Vi sono dimostrate bene talmente tante cose, che si potrebbe considerarle come passabilmente provate, oppure almeno supporre che saranno provate in avvenire: «Non so né dove né quando, ma so che l’anima umana è in relazione con altre anime, che esse agiscono reciprocamente e ricevono vicendevolmente delle impressioni, ma di cui l’uomo non è cosciente fintanto che tutto va bene». C’è in seguito un altro passaggio: «In merito alle cose riguardanti un singolo soggetto, questi non può comprendere le idee dell’altro mondo, dato che tutto il pensiero sullo Spirito non può di certo essere contenuto nell’entità di un singolo Spirito» e cosí di seguito.

Con la sua facoltà di visione media delle cose, l’uomo non può prendere coscienza dello Spirito; ma è detto che una tale vita in comune con un mondo spirituale può tuttavia essere ammessa. La teoria della conoscenza di Kant non è conciliabile con una tale visione. Ma colui che ha scritto quello che fonda questa visione è lo stesso Immanuel Kant. Le cose sono dunque tali che dobbiamo notare un capovolgimento nello stesso Kant. Perché ha scritto questo nel 1766, e 14 anni dopo ha fondato la teoria della conoscenza che rende impossibile trovare la via della Teosofia. La nostra filosofia moderna è basata sul kantismo. Ha preso differenti forme, quelle di Herbart e di Schopenhauer, fino a Otto Liebmann, Johannes Volkelt e Friedrich Albert Lange. Ovunque, troveremo una teoria della conoscenza piú o meno tinta di kantismo, secondo la quale abbiamo a che fare solo con dei fenomeni secondo il nostro mondo soggettivo di rappresentazioni, cosí che non possiamo penetrare fino all’entità, alla radice “della cosa in sé”.

vibrazione del suonoOra, vorrei dapprima presentarvi tutto quello che si è formato nel corso del XIX secolo, e che possiamo chiamare la teoria della conoscenza di Kant modificata. Vorrei precisare come si è formata la teoria della conoscenza attuale, che considera con una certa arroganza colui che aderisce alla credenza che si possa sapere qualcosa. Vorrei mostrare come vada a crearsi una teoria della conoscenza colui che, con il suo metodo di rappresentazione, si mantiene sul terreno di Kant. Tutto quello che la scienza ha apportato sembra attestare la teoria della conoscenza di Kant.  Sembra essere stabilita cosí solidamente da non poter eluderla. Oggi voglio sviluppare il soggetto, e la prossima volta vedremo come ci si può ritornare sopra.

Prima di tutto sembra che sia la stessa fisica ad insegnare dappertutto che quello che l’uomo ignaro crede essere una realtà e invece non lo è. Prendiamo il suono. Sapete che c’è una vibrazione dell’aria all’esterno del nostro organo, del nostro orecchio, che sente il suono. Quello che avviene al di fuori di noi è una vibrazione delle particelle dell’aria. È soltanto per il fatto che questa vibrazione arriva nel nostro orecchio e fa vibrare il nostro timpano, che questo movimento si propaga fino nel cervello. Lí percepiamo ciò che chiamiamo suono, che chiamiamo rumore. Il mondo intero sarebbe altrimenti muto e sprovvisto di suoni; abbiamo l’esperienza di ciò che sentiamo come mondo dei suoni, soltanto per il fatto che il movimento esteriore dell’aria è assorbito dal nostro orecchio, che trasforma ciò che è solo vibrazione. Il teorico della conoscenza può cosí facilmente dire: non esiste altro che del­l’aria in movimento.

Luce e coloriLa stessa cosa è valida per quello che incontriamo nel mondo esteriore sotto forma di colori e di luce. Lo studioso di Fisica è del parere che il colore sia una vibrazione dell’etere che riempie tutto lo spazio cosmico. Come l’aria è messa in vibrazione dal suono, e quando udiamo un suono non esiste altro al di fuori di noi che il movimento dell’aria, allo stesso modo nella luce non esiste altro che un movimento, una vibrazione dell’etere. Le vibrazioni dell’etere sono un po’ differenti da quelle dell’aria. L’etere vibra perpendicolarmente alla direzione di propagazione delle onde. La fisica sperimentale lo dichiara apertamente. Quando vediamo il colore “rosso”, abbiamo a che fare con una sensazione. Allora dobbiamo porci la domanda: quando non c’è alcun occhio per avere la sensazione, cosa esiste dunque ancora? In effetti, nient’altro si suppone sia là nello spazio, salvo un etere che vibra. La qualità “colore” è eliminata dal mondo quando l’occhio che percepisce è eliminato.

Quello che vedete come “rosso”, è composto da 392 a 454 miliardi di vibrazioni al secondo; per il violetto sono da 751 a 757 miliardi di vibrazioni al secondo. Non ci si può rappresentare una simile velocità.

La fisica del XIX secolo ha trasformato ogni sensazione di luce e di colore in vibrazioni del­l’etere. Se non esistesse alcun occhio, tutto il mondo dei colori non esisterebbe. Tutto sarebbe buio fitto. Non si potrebbe parlare di qualità di colore nello spazio esteriore. E questo si spinge talmente lontano che Helmholtz ha detto: abbiamo in noi le sensazioni di colore e di luce, di rumore e di suono. Non è affatto simile a quello che accade al di fuori di noi. Non siamo nemmeno autorizzati a chiamarla un’immagine di quanto succede all’esterno. Quello che conosciamo come la qualità del colore rosso non assomiglia ai 420 miliardi di vibrazioni al secondo. Per questo Helmholtz stima che quanto esiste realmente nella nostra coscienza non sia un’immagine ma un semplice segno.

Spazio e tempoLa scienza fisica ha confermato che lo spazio e il tempo esistono come li percepisco. Il fisico si rappresenta dunque che quando ho una sensazione di colore, il movimento si svolga nello spazio, e che per la rap­presentazione del tempo sia la stessa cosa di quando ho la sensazione del rosso e del violetto e che tutti e due siano processi soggettivi in me che si succedono nel tempo. Le vibrazioni si succedono nel mondo esteriore. Qui, la fisica non va cosí lontano come Kant. Anche “le cose in sé” sono riempite di spazio, anche loro sono in uno spazio dove si succedono  nel tempo, ma questo, secondo Kant, non possiamo saperlo; noi sappiamo al contrario solo questo: che siamo organizzati in una tale o tal altra maniera, e per questa ragione quello che è spaziale, o non lo è, deve sempre prendere una forma nello spazio. Sviluppiamo al massimo questa forma. Per la fisica, il movimento di vibrazione deve svolgersi nello spazio, e deve metterci un certo tempo. Diciamo che l’etere vibra a 480 miliardi di vibrazioni al secondo. Qui si trova già la rappresentazione dello spazio/tempo. Il fisico ammette dunque che lo spazio e il tempo esistono al di fuori di noi. Ma tutto il resto non è che rappresentazione, è soggettivo. Potete leggere nei libri di fisica che per chi ha chiaro ciò che accade nel mondo esterno, non esiste altro che aria, etere in vibrazione. Il contributo della fisica sembra essere stato che tutto quanto abbiamo esiste solo all’interno della nostra coscienza, e che niente esiste al di fuori di essa.

La seconda cosa che la scienza del XIX secolo può presentarci, sono le ragioni fornite dalla fisiologia. Il grande fisiologo Johannes Müller ha trovato la legge delle energie sensoriali specifiche. Secondo questa legge, ogni organo reagisce con una sensazione determinata. Se date un colpo al­l’occhio, potete percepire un barlume di luce, e lo stesso avviene se lo attraversa dell’elettricità. L’oc­chio risponderà ad ogni influenza dell’esterno in un modo che corrisponde precisamente all’occhio. Esso ha, dall’interno, la forza di reagire con la particolarità della luce e del colore. Quando luce ed etere vi penetrano, l’occhio risponde con uno stimolo di luce e di colore.

La fisiologia fornisce anche altra materia, che permette di provare ciò che stabilisce la visione soggettiva del mondo. Supponete che abbiamo una sensazione dal tatto. L’uomo ignaro si rappresenta allora di percepire direttamente l’oggetto. Ma in fondo, cosa percepisce veramente? si chiede il teorico della conoscenza. Quello che sta davanti a me non è altro che un insieme di piccolissime particelle, di molecole. Esse sono in movimento. Mano sul corpoOgni corpo è in un movimento tale da non poter essere percepito dai sensi, perché le vibrazioni sono troppo minuscole. In fondo, posso percepire solo il movimento, perché il corpo non può inserirsi dentro di me. Cosa succede quando passate la mano sul corpo? La mano esegue un movimento. Questo si prolunga fino al nervo, e quest’ultimo lo trasforma in quello che voi provate come sensazione di calore o di freddo, di molle o di duro. Anche nel mondo esterno vi sono dei movimenti quando il mio senso del tatto si avvicina: l’organo lo trasforma in caldo o freddo, in molle o duro.

Non possiamo nemmeno percepire ciò che accade fra il nostro corpo e noi, perché lo strato piú esteriore della pelle è insensibile. Se non c’è nervo al di sotto dell’epidermide, questa non potrà mai percepire niente. Fra “la cosa” e il corpo c’è sempre l’epidermide. Lo stimolo agisce dunque a partire da una distanza relativamente grande attraverso l’epidermide. Può essere percepito solo se è dinamizzato dal vostro nervo. Il corpo esterno resta del tutto al di fuori del processo di movimento. Voi siete separati dalla “cosa” e quello che sentite realmente è prodotto all’interno del­l’epidermide. Tutto quello che può realmente penetrare nella vostra coscienza ha luogo nel corpo in modo tale da essere ancora separato dall’epidermide. Dovremmo dunque dire, secondo questa considerazione fisiologica, che non riusciamo a far entrare niente di quello che accade nel mondo esterno, che si tratta di processi unicamente in seno ai nostri stessi nervi che si propagano al cervello, che ci stimolano con dei processi esterni completamente sconosciuti. Non possiamo mai andare oltre la nostra epidermide. Siamo rinchiusi nella nostra pelle e non percepiamo altro che quanto accade all’interno di essa.

Passiamo ad un altro organo dei sensi, all’occhio. Passiamo dalla fisica alla fisiologia. Considerate che le vibrazioni si propagano: devono dapprima attraversare il nostro corpo. L’occhio è costituito per prima cosa da una pelle, la cornea. Dietro di essa si trova il cristallino e dietro quest’ultimo il corpo vitreo. Bisogna che la luce passi prima attraverso tutto questo. Si arriva poi alla parte posteriore dell’occhio che è ricoperta dalla retina. Se togliete la retina, l’occhio non potrà mai trasformare qualcosa in luce. Affinché riceviate delle forme dagli oggetti, bisogna prima di tutto che i raggi penetrino nel nostro occhio dove, all’interno, è abbozzata una piccola immagine retinica. Questa è l’ultimo elemento che può suscitare la sensazione. Quello che si trova davanti alla retina è insensibile; non possiamo avere alcuna vera percezione di quello che vi avviene.

Reazione dell'occhio al colore

Possiamo solo percepire l’immagine sulla retina. Ci si rappresenta che là ci sono delle reazioni chimiche della porpora retinica. L’azione che emana dall’oggetto esteriore deve prima passare il cristallino e il corpo vitreo, poi suscitare una reazione chimica nella retina ed è quest’ultima che provoca la sensazione. Poi l’occhio rinvia l’immagine verso l’esterno, si circonda degli stimoli che ha ricevuto e li trasforma di nuovo nel mondo all’esterno di noi. Quello che si produce nel nostro occhio non è quello che costituisce lo stimolo, ma un processo chimico. I fisiologhi forniscono ai teorici della conoscenza argomenti sempre nuovi. In apparenza, dobbiamo dare completamente ragione a Schopenhauer quando dice che il cielo stellato è creato da noi stessi. Si tratta di un’interpreta­zione degli stimoli. Della “cosa in sé” noi non possiamo sapere nulla.

Vedete bene che questa teoria della conoscenza limita l’uomo unicamente alle cose, o meglio alle rappresentazioni che crea la sua coscienza. Egli è rinchiuso nella sua coscienza. Se vuole, può ammettere che nel mondo esiste qualcosa che fa un’impressione su di lui. Ma in nessun caso, niente può penetrare in lui. Tutto quello che percepisce è creato da lui. Non possiamo nemmeno sapere qualcosa di quello che avviene all’esterno. Prendete lo stimolo nella porpora retinica. Deve essere condotto al nervo ed essere nuovamente trasformato in un modo qualsiasi in sensazione propriamente detta, cosicché il mondo intero che ci circonda non sarebbe altro che quello che abbiamo creato a partire dal nostro essere interno.

Sono le prove fisiologiche che ci portano a dire che sarebbe cosí. Ma adesso esistono anche degli uomini che domandano come arriviamo ad ammettere che esistano al di fuori di noi degli altri uomini che possiamo pertanto conoscere solo dalle impressioni della percezione che riceviamo da loro. Quando un uomo sta davanti a me, non ho dunque che delle vibrazioni come stimolo, e in seguito un’immagine della mia coscienza. È unicamente una supposizione che al di fuori della mia immagine cosciente possa esistere qualcosa di simile ad un uomo. È cosí che la teoria moderna della conoscenza giustifica la sua visione che quello che è il contenuto dell’espe­rienza esterna è unicamente di natura soggettiva. Essa dice: quello che viene percepito è esclusivamente il contenuto della propria coscienza, è la modificazione di questo contenuto di coscienza. Che esistano delle cose in sé, è al di fuori di ciò che è accessibile alla nostra esperienza. Il mondo è per me un fenomeno soggettivo che si costruisce coscientemente o inconsciamente a partire dalle mie sensazioni. Che esistano ugualmente altri mondi è oltre il campo accessibile alla mia esperienza.

Quando io dico che è al di fuori del campo accessibile all’esperienza il sapere se esiste ancora un altro mondo, è ugualmente al di fuori del campo accessibile all’esperienza il sapere se esistono anche altri uomini con delle altre coscienze, perché niente della coscienza di altri uomini può penetrare nell’uomo. Niente del mondo di rappresentazione di un altro e della coscienza di un altro può entrare nella mia coscienza. Coloro che hanno piú o meno aderito alla teoria della conoscenza di Kant hanno questa concezione.

I cento talleriKant ha riassunto la teoria della conoscenza in questi termini: cento talleri possibili valgono quanto cento talleri reali, vale a dire che non posso considerare un oggetto come reale per la ragione che aggiungo una cosa qualsiasi alla rappresentazione. La rappresentazione dà soltanto una immagine. Se un oggetto si presume che esista, deve venirmi incontro, e io tesso intorno ad esso le leggi che elaboro a partire da me stesso. Anche Schopenhauer ha aderito a questa visione delle cose ma in una forma un po’ modificata.

Anche Johann Gottlieb Fichte ha accettato questa visione delle cose durante la sua giovinezza. Ha pensato metodicamente dall’inizio alla fine la teoria di Kant. Forse non esiste una descrizione piú bella di quella che Fichte ha dato nel suo scritto La destinazione dell’uomo. C’è scritto questo: «Non esiste da nessuna parte alcuna realtà permanente, né al di fuori di me, né in me, ma esiste soltanto un cambiamento incessante. Da nessuna parte trovo la conoscenza di una qualche esistenza, e nemmeno della mia propria. Non c’è alcuna esistenza. Io stesso non ho davvero alcun sapere, e non esisto. Le immagini esistono: sono la sola cosa che esiste, e sanno di esistere come immagini; delle immagini che passano furtivamente senza che esista nulla vicino a cui esse passano furtivamente; sono legate insieme dalle immagini delle immagini. Sono immagini senza che ci sia in esse qualcosa di cui sono l’immagine, senza significato né scopo. Sono io stesso una di queste immagini; ma ancor di piú, sono io stesso soltanto un’immagine confusa delle immagini».

Effettivamente, se siete rimasti all’affermazione che nella vostra concezione soggettiva avete a che fare unicamente con costruzioni della vostra propria coscienza, dovete necessariamente accettare il punto di vista che non sapete su voi stessi niente di piú del mondo esterno. Se passate alla rappresentazione del vostro proprio Io, non ne avete di piú che del mondo esterno. Se afferrate fermamente questo pensiero nel suo piú completo significato, vi diventerà chiaro che il mondo esterno si trasforma in una somma d’immagini ingannevoli e che anche il mondo interiore non è altro che una costruzione fatta unicamente da sogni soggettivi messi insieme. Se interpretate in modo giusto questo punto di vista, potete già rappresentarvi dall’esterno, preferirei dire dalla corporeità, che come il mondo esterno non siete altro che una specie di forma di sogno, una specie d’illusione.

Mano che tocca le piantePrendete la vostra mano che trasforma i vostri movimenti in sensazione del tatto. Questa mano non è altro che una costruzione della mia coscienza soggettiva, ed anche tutto il mio corpo e quello che è in me sono ugualmente una costruzione della mia coscienza soggettiva. Ora, prendo il mio cervello: se potessi esaminare al microscopio come la sensazione è nata nel cervello, davanti a me non avrei altro che un oggetto da dover nuovamente trasformare in un’immagine nella mia coscienza.

La rappresentazione dell’Io è dello stesso ordine, è pro­dotta come un’altra qualunque rappresentazione. Accanto a me passano dei sogni, delle illusioni passano accanto a me: tale è la visione del mondo dell’illusionismo, che si rivela essere necessariamente l’ultima conseguenza del kantismo. Kant voleva superare la vecchia filosofia dogmatica; voleva superare quello che era stato proposto da Wolf e dalla sua scuola. Considerava tutto questo come una somma di chimere.

Erano le prove della libertà della volontà, dell’immortalità dell’anima e dell’esistenza di Dio che Kant smascherò come chimere in quanto alla loro forza di prova. E cosa diede come prove? Ha provato che non possiamo sapere niente di una “cosa in sé”, che quello che abbiamo è solo un contenuto di coscienza, ma che Dio dev’essere “qualcosa in sé”. Cosí non possiamo necessariamente provare l’esistenza di Dio nel senso di Kant. La nostra ragione, la nostra comprensione sono applicabili solo a quanto è dato nella percezione. Sono là solo per stabilire delle leggi di quanto riguarda la percezione ed è per questo che le cose, Dio, l’anima, la volontà sono totalmente al di fuori della nostra conoscenza razionale. La ragione ha un limite e non può andare oltre.

Critica della ragion puraNella prefazione alla seconda edizione del libro Critica della ragion pura dice in un punto: «Io dunque ho dovuto sopprimere il sapere al fine di trovare posto per il credere». In fondo, è dunque questo che voleva: voleva limitare il sapere alla percezione sensibile e voleva raggiungere in un’altra maniera tutto quello che sta al di là della ragione. Voleva raggiungerlo sulla via della credenza morale. Per questo diceva che la scienza non potrà mai provare in nessun modo l’esistenza obiettiva delle cose.

Ma c’è una cosa che troviamo in noi: l’imperativo categorico che sorge in noi come obbligo assoluto. Kant lo chiama una voce divina. È sorto al di sopra delle cose, portando con sé una necessità morale assoluta. Kant si eleva a partire da questo, al fine di riconquistare con la fede quello che ha annientato con il sapere. Siccome l’imperativo categorico non ha niente a che vedere con quello che è determinato da un’influenza sensibile, ma sorge in noi, bisogna che esista qualcosa che determina altrettanto bene sia i sensi sia l’imperativo categorico, e che sorge quando tutti i doveri dell’imperativo categorico sono adempiuti. Questa sarebbe la felicità. Ma nessun essere umano può trovare il ponte fra i due. E siccome non può trovarlo, bisogna che un essere divino lo crei. Con questo arriviamo a un concetto di Dio che non possiamo mai trovare utilizzando i sensi.

Deve essere creato un accordo fra il mondo dei sensi e il mondo morale della ragione. Anche se in una vita se ne facesse per cosí dire abbastanza, non siamo malgrado tutto autorizzati a credere che in generale basti la vita terrena. La vita umana va al di là della vita terrena, perché l’impera­tivo categorico esige cosí. E cosí dobbiamo ammettere un ordine divino del mondo. E come potrebbe l’uomo seguire un ordine divino del mondo, l’imperativo categorico, se non avesse la libertà? Kant annienta cosí il sapere per arrivare, grazie al credere, alle cose superiori dello Spirito. Dobbiamo credere! Tenta di reintrodurre attraverso la via della ragione pratica quello che ha gettato fuori dalla ragione teorica.

Anche le visioni del mondo, che in apparenza sono molto lontane dalla filosofia di Kant, si fondano su questa sua filosofia. Perfino un filosofo che ha avuto una grande influenza anche in pedagogia, Herbart, aveva elaborato una sua visione del mondo partendo dalla critica della ragione di Kant: quando guardiamo il mondo, ci scontriamo con delle contraddizioni. Consideriamo per una volta il nostro Io. Oggi ha delle rappresentazioni, ieri ne aveva altre, domani ne avrà nuovamente altre. Allora, cos’è dunque l’Io? Ci appare, ed è pieno di rappresentazioni. Un istante dopo ci appare con un altro mondo di rappresentazioni. Troviamo in lui un futuro, molte qualità e tuttavia si presume che sia “una cosa”. È una cosa e molte cose. Ogni cosa è una contraddizione. Cosí, dice Herbart, ovunque nel mondo esistono solo delle contraddizioni. Dobbiamo prima di tutto aver presente allo Spirito il principio che la contraddizione non può essere l’entità vera delle cose. Herbart ne deduce allora il compito della sua filosofia. Dice: dobbiamo eliminare le contraddizioni, dobbiamo costruirci un mondo senza contraddizioni. Il mondo delle esperienze è un mondo irreale, pieno di contraddizioni. Vede il vero senso, il vero essere nella trasformazione del mondo pieno di contraddizioni in un mondo senza contraddizioni. Herbart dice questo: vedendo le contraddizioni, troviamo il cammino che conduce alla “cosa in sé”, e quando le eliminiamo da noi stessi, penetriamo fino al vero essere, fino ad una vera realtà. Ma ha una cosa in comune con Kant: che quello che ci circonda nel mondo esterno è una semplice illusione. Ha anche tentato di dimostrare in un’altra maniera quello che si suppone avere valore per l’uomo.

Adesso arriviamo al fulcro della questione. Dobbiamo in ogni caso rappresentarci che ogni agire morale ha senso solo se può avere una forma esistente di realtà. A cosa serve qualsiasi agire morale se viviamo in un mondo di apparenze? Qui non potete mai essere persuasi che quello che fate costituisca un atto reale. In questo caso, tutto il vostro divenire morale e tutti i vostri scopi planano nell’aria, inconsistenti. Le idee di Fichte che seguirono furono allora ammirevoli.  Modificò piú tardi il suo modo di vedere le cose ed arrivò alla Teosofia pura. «Per la percezione – diceva – non possiamo sapere niente sul mondo, solo dei sogni di questi sogni. Ma qualcosa ci spinge a volere il bene. In un lampo, questo qualcosa ci fa penetrare con lo sguardo in questo gran mondo di sogni». Vede la realizzazione della legge morale nel mondo dei sogni. Quello che nessuna comprensione insegna deve essere fondato dalle esigenze della legge morale. E Herbart dice: «Siccome tutto quello che percepiamo è contradditorio, non possiamo mai arrivare a delle norme del nostro agire morale. È per questo che per il nostro agire morale bisogna che esistano delle norme che siano molto al di sopra di ogni giudizio emanante dalla comprensione e dalla ragione. La perfezione morale, la benevolenza, la libertà interiore, sono indipendenti dall’attività della comprensione. Poiché nel nostro mondo tutto è apparenza, dobbiamo avere qualcosa dove essere protetti dall’attività della riflessione».

È la prima fase dell’evoluzione del XIX secolo: la metamorfosi della verità in un mondo di sogni. È l’idealismo del sogno che è supposto essere la sola cosa alla quale possa arrivare la riflessione sull’essere, è quello che volle rendere le basi di una visione morale del mondo indipendente da ogni sapere e conoscenza. Volle limitare il sapere per far posto al credere. Per questo la filosofia tedesca ha rotto con le antiche tradizioni delle visioni del mondo che designiamo con il nome di Teosofia. Colui che si designa con il nome di teosofo  non avrebbe mai potuto ammettere questa dualità, questa separazione fra quello che è morale e il mondo di sogni. Per lui c’è sempre stata una unità, dalla forza piú bassa dell’atomo fino alla piú alta realtà spirituale, la piú elevata. Perché anche quello che compie l’animale nel piacere e dispiacere non è che gradualmente differente da quello che emana dai motivi piú puri sulle vette piú elevate della vita dello Spirito. Kant ha abbandonato questa via unitaria che conduceva a un sapere d’insieme e ad una visione d’insieme del mondo, perché ha scisso il mondo in un mondo da conoscere, ma di sola e pura apparenza, e in un altro che ha tutt’altra origine: il mondo morale. Con questo ha perturbato la visione di un numero infinito di esseri. Tutti coloro che non possono trovare l’accesso alla Teosofia soffrono delle conseguenze della filosofia di Kant.

Per finire, vedrete che la Teosofia ha la sua fonte in una vera teoria della conoscenza; ma era necessario che prima vi presentassi la costruzione, in apparenza adattata solidamente, della scienza. Sembra essere dimostrato in maniera indiscutibile dalla ricerca che solo l’etere vibra, che sperimentiamo il verde o il blu, che sentiamo il suono dalle vibrazioni dell’aria. Dimostrare come questo accada realmente, sarà il contenuto della prossima conferenza.

 

Rudolf Steiner


Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner.

Berlino, 4 dicembre 1903 ‒ O.O. N° 52. Traduzione di Angiola Lagarde.