Forza e Coraggio

Considerazioni

Forza e Coraggio

A Perugia ho una cugina abbastanza piú anziana di me; andavo a trovarla un paio di volte all’anno; dapprima viaggiavo con l’auto, in seguito col treno, ma in questi ultimi tempi, dato il codice vigente del rapporto “età/distanza”, mi accontento di sentirla al telefono. Ci scambiamo informazioni e notizie sui nostri acciacchi, sui parenti e/o conoscenti scomparsi di recente, sul tempo (in questo caso gli effetti meteo, fonte di dolori) e su parecchie altre cose che in genere non vanno bene ma con le quali dobbiamo in qualche modo convivere.

 

Due al telefono

 

In chiusura di telefonata ci salutiamo con una formula che ormai è entrata di diritto nel nostro lin­guaggio conversativo; non pretende di essere spiritosa, viene detta con mestizia unita ad una punta di insofferenza. Il che vale per entrambi: da parte sua, in quanto convinta; da parte mia, per un misterioso rispetto del suo convincimento.

Secondo il mio concetto di telefonata, passati cinque minuti, che sono lunghissimi data la fragilità argomentativa, io tendo a chiudere: «Vabbè… allora… che vuoi che ti dica… Forza e coraggio!» e lei, sempre pronta (a volte mi viene da pensare che non aspetti altro) mi rimanda la seconda parte: «E bravo te! Che dopo aprile viene maggio!».

A seguito di questa pluriennale esperienza, lo slogan mi è rimasto, come dire, un pochino sullo sto­maco. Ho deciso pertanto che l’unico modo per mandarlo giú è quello di recuperarlo in senso qualitativo. In tal caso, non c’è nulla di meglio che scriverci sopra un bell’articolo e vedere l’effetto che fa.

Ed è appunto quello che sto facendo, anche se per ora non sono in grado di sapere se sarà un bel­l’articolo; ma a volte, quando una cosa risulta utile, l’eventuale bellezza può anche passare in seconda linea. Cosí mi accingo a scrivere, sperando che, almeno, la seconda linea tenga.

Cosa c’è da dire su un motto popolare (o populistico? certi aggettivi cominciano ad avere contorni non ben definiti) tipo: «Forza-e-coraggio-che-dopo-aprile-viene-maggio»? Dicono vox populi vox dei, ma io stento a crederci dal momento che, prendendolo per vero, in parecchie circostanze, Dio non ci avrebbe fatto una bella figura.

Da quanto ricordo, c’era un detto consimile, almeno per la parte iniziale, con una piccola svolta di ottimismo avveniristico: «Forza e coraggio, che il male è di passaggio!». Non cambiava molto nella struttura e nella sostanza, ma il filo logico tra la prima e la seconda parte era piú solido, e volendo, ci si poteva sentire incluso un invito a sopportare gli avvenimenti con imperturbabilità o con paziente rassegnazione, a piacere.

Certo, si tratti di un male che passa o di mesi che si susseguono, il pensierino richiama in modo evidente il fattore tempo; dopo aprile viene maggio, sta a significare che tutto scorre, le cose cambiano e magari si rimettono a posto, hai visto mai? Questa sarebbe tuttavia una interpretazione fiduciosa sulla quale Eraclito non sarebbe stato d’accordo; nel suo “panta rei” il protagonista indiscusso è il continuo divenire, ma esso, e qui sta la differenza, non reca mai la certezza di un divenire migliorativo. Fiducia e ottimismo di senso non ne avrebbero molto, infatti, dal momento che chi adopera lo slogan in genere, si lamenta dell’età, dell’artrosi o di altre gramaglie. E per tornare alla versione di calendario – mi chiedo poi – perché sono stati scelti proprio i mesi di aprile e maggio ? Soltanto perché gli altri non avrebbero fornito la rima in “-aggio”?

Se la questione era tutta nel combaciare dei versi, anche: «Coraggio! Sei a posto! Dopo Luglio arriva Agosto!» ci stava a pennello. Oppure si poteva tentare, chessò, la carta della comparazione geografica; «Calma e pazienza, che dopo Matera viene Potenza». Oppure storico-politica: «Sii prudente e vacci piano, che dopo Mentana viene Teano». Ma è evidente che non avrebbero avuto lo stesso carisma di Forza e Coraggio, il quale resta quindi il principale capostipite della nostra filiera aforismatica.

Piuttosto, aprile e maggio sono i mesi della primavera inoltrata e, anticamente, degli effetti climatici che essi portavano. Ad esempio, ricordiamo, uno per tutti, “l’acqua di maggio”, sinonimo di buona salute e rinvigorimento fisico. Ho precisato “anticamente” in onore di Eraclito e del suo panta rei; qui oggi le cose cambiano veloci, clima compreso, e piú che scorrere, corrono a tutta birra in barba ai semafori, alle segnalazioni di controllo e ai pronostici degli esperti.

Tuttavia un collante c’è: il tempo che passa, la stagione che arriva, il meteo che cambia… ma è tutta qui la pillola di saggezza che uno si aspetta dopo il sentirsi ripetere quell’adagio che per cento, mille volte, dalla cornetta del telefono è penetrato nell’orecchio e da lí è dilagato, sparpagliandosi per un’interiorità minuziosa e ficcanaso, per la quale la caccia degli etimi, la scoperta dei fonèmi e dei puzzle ideogram­matici, rappresenta, come dire, una dilettevole ghiottoneria?

Andando un po’ piú a fondo, mi pare che, pure da una frase tutto sommato banale e cincischiata come questa, può saltar fuori un significato recondito, un armonico concettuale, una vera e propria chicca di antica saggezza.

Forse è cosí, ma per scoprirlo dobbiamo cercare quel punto in cui il contatto tra realtà e astrazione viene a galla come un gonfiabile da salvataggio. Se funziona, salva il naufrago. Non è determinativo, ma offre una possibilità.

Analizziamo un po’ le parole “Forza” e “Coraggio”. I loro significati sono molto ampi, tuttavia per­mettono una prima distinzione abbastanza condivisa: la forza va intesa, nella maggior parte dei casi, come fatto fisico, vigoria, robustezza, gagliardia; appartiene alla sfera della fisicità, sia pure con le dovute eccezioni. Invece il coraggio (quello che secondo don Abbondio “uno, non se lo può dare”) ha piú a che fare con l’elemento psicologico, c’è chi sostiene a spada tratta che sia una nobile virtú dell’anima. Io ci andrei cauto. Forza e Coraggio non sono sinonimi, ma il loro uso nella parlata comune tende tranquilla­mente a debordare da una parte e dall’altra.

Idea!Si dice, comunque, la forza del destino, la forza del pensiero, la forza d’animo… A nessuno verrebbe in mente di mettere in queste locuzioni il Coraggio al posto della Forza. Ecco quindi che il termine di forza, pur abbracciando sicuramente il muscolare della corposità, si pone anche, altrettanto validamente, se non piú, a sottolineare aspetti che con la materia e con i volumi non c’entrano affatto. Vale quanto si afferma pure sulla luce: c’è quella fisica, che occupa i nostri interessi e le nostre ricerche, ma c’è parimenti quella predialettica, per quanti vogliano prenderne atto. Chi lo nega e si trova sulla sponda opposta, dovrà invece spiegarsi il mistero in base al quale, perfino nei fumetti per bambini e ado­lescenti, la percezione di un’idea è contrassegnata da una lam­padina che si accende sulla testa chi l’intuisce. Come la luce, la forza, prima di manifestarsi nel sensibile, è di natura metafisica.

Il Coraggio, dal suo canto, rappresenta un virtuale animico che ovviamente può variare, e di molto, da un individuo all’altro. Del resto, ci possono essere persone coraggiose, ma mentalmente o fisicamente fragili, e ci possono essere dei fini, acuti intuitori, gravati però da pavidità o abulia. Non occorre spingere, ce n’è per tutti.

Ma di sicuro laddove Forza e Coraggio coesistano e trovino la capacità di allearsi l’una all’altro, l’umano si produce nel pieno delle sue possibilità, e quel che ne deriva è un qualchecosa che si pone come un punto d’arrivo, non certo finale, ma intermedio e importante, sulla via dell’evoluzione.

Quindi esaminando la nostra frase troviamo che da una parte si richiamano due valori, uno mentale e fisico, l’altro animico e caratteriale, che vengono messi in relazione con il passare del tempo e, fatto interessante, tutto ciò a partire dalla primavera, stagione iniziale del ciclo solare annuo.

Qui l’interpretazione può dividersi: o ci riferiamo ad una semplice esortazione, indicando nel fattore tempo la panacea d’ogni male, oppure possiamo tentare di gestire il significato secondo i princípi della Scienza dello Spirito: lentamente, di vita in vita, nei passaggi da una reincarnazione a quella successiva, abbiamo la possibilità di sviluppare la nostra forza e il nostro coraggio, comprendendo il messaggio che ci arriva da un’originaria dimensione, da fuori dello spazio e del tempo, attraverso un’innata potenzialità di base, che può essere piú o meno evidente, piú o meno nascosta, ma c’è. Dipenderà dal rapporto con cui trattiamo dentro di noi il precipitato di tutte le elaborazioni esperienziali compiute nello stato fisico di esseri incarnati e in quello incorporeo di esseri puramente spirituali.

In altri termini, i concetti di forza e di coraggio richiamano quelli di spazio e di tempo. La forza sfolgora, irraggia, è un qualcosa che tende espandersi in tutte le direzioni, e lo spazio è quindi l’area ideale del suo effondersi; il coraggio invece ha bisogno del tempo, non si trova mai compiuto, bell’e pronto per l’uso. Quand’anche capitasse, vuol dire che se n’è già fatta di strada, e può quindi manifestarsi nel sensibile grazie ad un periodo di preparazione, a volte lungo e latente; perciò ancora piú incredibile quando si svela in concomitanza di un dato evento.

Tra Forza e Coraggio corre lo stesso rapporto che per Aristotele vigeva tra Potenzialità e Attuazione. Se lo si riguarda debitamente, la connessione regge.

Come mi è stato però ribadito da alcune voci, c’è forse un granchio nel mio ragionamento. Infatti la primavera inizia il 21 di Marzo, e quindi non sembra lecito prendere i mesi di Aprile e di Maggio come primi rappresentanti in ordine cronologico del ciclo stagionale in vigore.

Johann Carl Friedrich Gauss

Johann Carl Friedrich Gauss

Pertanto sono andato a rileggermi i metodi e le modalità riguardanti il computo del tempo nel corso dei secoli, Ho constatato le grosse difficoltà relative alle varie scuole di calendaristi, che non potevano (o non volevano?) collimare tra loro, tant’è vero che nel 1816 Gauss (preso dalla disperazione, suppongo) stabilí un algoritmo, una specie di equalizzatore aritmetico, che, sia pure con una modesta approssimazione, andava a parificare le impo­stazioni teoriche di giuliani, gregoriani, ortodossi, astronomi, meteo­rologi ed esoteristi.

Il pomo della discordia era proprio l’inizio della primavera, non solo per il fatto che da questo punto comincia il ciclo delle stagioni, bensí, soprattutto, perché a seconda di dove veniva posizionata la data nel calendario, essa incideva sul calcolo della Pasqua, o calcolo del­l’epatta relativo alla prima lunazione di primavera, che dir si voglia.

Non sto naturalmente a riportare qui la tiritera alquanto complessa e rarefatta che riguarda una disputa tra dotti di varie epoche; storica mente sarà interessante, ma non riesco ad appassionarmi piú di tanto.

Il mio problema, adesso, è trovare una serie di pensieri che, par­tendo dal binomio Forza e Coraggio, si saldino al concetto della Pasqua, intesa quale inizio di un qualche­cosa di estremamente importante per l’uomo e per la realtà in cui è immerso dall’origine.

Nel farlo, lascio da parte i teoremi del passato. Se voglio percepire la Pasqua come punto iniziale capace di conciliare veramente (non in via approssimativa, ma al 1000%) quanto menti e cuori terrestri hanno sin qui escogitato, devo prendere in considerazione la parola di Gesú Cristo. Egli non disse: «Tutto è compiuto» riferendosi al Suo Natale; non lo disse al Battesimo nel Giordano; e non lo disse nei giorni in cui la stagione invernale cedette il passo alla primavera. Lo disse sulla croce, prima di spirare.

«Tutto è compiuto», per me, significa : «Ecco: ora tutto può cominciare». Questo, solo questo, conta. Il resto è dialettica: scientifica, rigorosa, piacevole, ingannatrice, contradditoria, stupefacente, artefatta e misteriosa; fate voi.

La Pasqua dà quindi inizio ad una rinascita, ad una innovazione che non è garantita da nessun determinismo di natura, e non si cura di astri, di stagioni, di equinozi, di passaggi del Mar Rosso e cose del genere. Non se ne cura nel senso che le possiede tutte, e, se vuole, ne riaccende il senso ogni volta in cui l’anima umana, stanca d’infinite diatribe e di stentati scenari, cerca in se stessa la verità.

Nonostante questa presa di posizione, che a me continua a sembrare chiara, sono certo che ci sarà sempre un interlocutore pronto a ribattere: «Mio caro signore, lei dice bene ma in tal caso la festività di Pasqua dovrebbe accadere esclusivamente dal mese di Aprile in poi. Perché mai si verifica in alcuni anni, non molti a dire il vero, che essa accada in marzo?».

Se fossi un astronomo chiamerei in causa il fenomeno che nella scienza esatta passa sotto la voce di “precessione degli equinozi”; oppure se fossi un calendarista, tirerei in ballo gli aggiustamenti intervenuti sul numero dei giorni dell’anno, e il particolare della bisestilità che, anziché risolvere la faccenda, è stata pianificata nel senso numerale, con espedienti ed intromissioni, lasciando però fuori una composizione risolutiva; per non dire delle istanze di astronomi e meteorologi, che magari qualche diritto a farsi sentire l’avevano. Ma le convenzioni umane hanno per l’appunto il compito di servire in praticità, immediatezza e condivisione di maggioranze; la giustezza o l’eleganza degli assunti essendo ormai anacronismi, interessano solo pochi cultori, i quali, oltretutto, godono anche di tempo disponibile.

Pur non avendo nulla da spartire con le categorie suddette, o forse proprio per questo, sarei rimasto piuttosto imbarazzato all’ultima obiezione. Ma – quando si dice il caso! – pochi giorni fa questo specifico problema mi è stato risolto da un fisico, durante una conferenza sulla meccanica quantistica. La cosa mi è apparsa subito molto interessante e merita di venir descritta in modo appropriato. Spero di riuscirci, perché la comprensione del tema, per quelli come me che sono digiuni del mondo quantico, non è immediata. Una volta però afferrato il nocciolo della questione, si scopre che esso può diventare un paradigma sul quale modulare ulteriori interrogativi, nonché fornire una buona chiave interpretativa dei medesimi.

Principio di indeterminazione

Principio di Indeterminazione

Principio di Indeterminazione di Heisenberg: nel mondo sub-atomico delle particelle, molte leggi della fisica ordinaria, galileiana e newtoniana, non valgono piú. Se, ad esempio, di una particella si vuole conoscere la posizione, allora risulta impossibile conoscere anche la velocità. Se invece si va a verificare e si misura il suo moto, se ne perde la collocazione. Ovvero: allo stato attuale, non è dato conoscere, con­temporaneamente, l’uno (posizionamento) e l’altra (velocità).

Con un balzo (che molti non mi perdoneranno, ma non ci faccio caso) trasporto il Principio di Indeterminazione di Heisenberg nella ricerca della Pasqua; e dico cosí: se cerchi la precisione asso­luta sul calendario o nel computo cronologico, ti perdi la Pasqua, nel senso che non ne hai l’essenza. Se invece possiedi l’essenza, che è il concetto di questa festività, e nella tua anima vive appieno il significato della Resurrezione, allora non hai piú alcun bisogno di capire quale data del calendario rispetti maggiormente le istanze religiose, astronomiche o meteorologiche.

Sono stato indotto, forse un po’ trascinato, in questa ricerca perché nel circolo antroposofico della mia città è sorta una diatriba sulla datazione della Pasqua, che minacciava (e minaccia tuttora) di non finire. Alcune persone hanno sollevato dei dubbi sul fatto che per una bizzarria molto singolare (ovviamente, affermano, smossa da forze avverse all’uomo) si siano manipolati i conteggi dell’equinozio, del plenilunio, e insomma, la cronologia dell’epatta sia stata alterata, in modo da “spostare” la Pasqua in una data che potrebbe non coincidere con il vero giorno di Pasqua. Anche nel numero scorso dell’Archetipo è stato trattato questo argomento, con l’articolo a firma Jonathan Hilton, dal titolo “Una confusione sulla Pasqua” (www.larchetipo.com/author/jonathan-hilton/).

Da quanto ho espresso poco sopra, ritengo che non ci si debba troppo preoccupare se la data sia esatta o no: la Pasqua è la Pasqua della Resurrezione! Punto e basta. Forse è per questo che la sua collocazione nel tempo è sempre discutibile, ma non è colpa della Pasqua. La Resurrezione è un evento individuale: prima della fine dei tempi le anime non risorgono in massa. La festa di Pasqua può darsi in senso col­lettivo e universale ma come ricordo, stimolo, insegnamento ritualmente voluto e celebrato.

Nessuno di noi sa di preciso l’attimo in cui passò dallo stadio dell’infanzia a quello dell’adolescenza e poi a quello della maturità. Sa bene che queste stagioni ci sono state, sa di averle avute, e se vuole può indicativamente affermare che i passaggi si sono verificati in quello o in quell’altro periodo della sua vita. Ma solo indicativamente.

Una tale ricerca rimane però fine a se stessa; non risulta determinare il corso dello sviluppo evolutivo. Anche se non sono portato a condividerle, posso tuttavia capire le esigenze di quanti abbiano il pallino della certezza e la reclamino in ogni occasione a tutti i costi; anche a costo di porre la finalità della ricerca in secondo piano; il che significa stravolgerla, farla sparire, perché se di un concetto vai a sminuire la potenzialità intrinseca che attraverso quel concetto doveva esprimersi, quel che resta è puro formalismo, sul quale costruire ulteriori riflessioni diventa pericoloso quanto edificare case sopra terreni cedevoli.

È follia applicare alla ricerca della Pasqua il Principio di Interdeminazione di Heisenberg ? Non sono io a farne la questione; per me ha funzionato, è stato utile, e quel che piú mi convince è che continua a funzionare laddove viene tentata l’unificazione di due polarità solo apparentemente conciliabili,

L’esempio che segue sarà di maggior facilità in quanto non solleva troppi pregiudizi e non urta suscettibilità precostituite. È una pura verifica il cui esito va constatato volta per volta sulle posizioni o sugli arroccamenti di cui certe anime sono sature. Il binomio da testare è il Potere (del mondo) e la Libertà Individuale: non occorrono grandi sforzi per intuire con una certa sicurezza che perseguendo l’uno si va a perdere l’altro. Per cui ogni forma di lotta o protesta contro il Potere del mondo (uno dei tanti, perché il concetto di Potere assume tutti gli aspetti possibili e immaginabili) è del tutto insensata e anche ipocrita per chi riesca guardarla in controluce. Rappresenta infatti il tentativo di un potere, piccolo e temporaneo, di aggredire uno maggiore e stabilizzato, onde scalzarlo dal vertice, salirci sopra e sedersi al suo posto.

Che dopo, il tutto ci venga propinato condito da forti ideologismi, sacrosante rivendicazioni o faccia vibrare la corda dei diritti e della dignità umani, non cambia una virgola. Si tratta sempre della danza degli egoismi, che l’umanità viene costretta a ballare, sotto la spinta di un’orchestra e di un coro extraumani, tanto piú pericolosi quanto comunemente impercepiti.

La Libertà Individuale si realizza solamente coltivandola giorno dopo giorno dentro di sé, in silenzio, in solitudine; non richiede alcun esternamento; non nutre brame, non alimenta passioni, non culla desi­deri; non invade l’ambito altrui né sogna mondi migliori, ove tutti si vogliano un gran bene e il male non esista. Ama ciò che c’è, quel che la vita e il mondo hanno messo a disposizione, e si sostiene con la forza di una coscienza che sa di non dover niente a nessuno, e vuole essere grata a tutti per il loro svariatissimo apporto, qualunque esso sia stato.

Due filosofiNell’antica Atene vivevano un tempo due filosofi, due maestri del sapere, che usavano la loro arte in modi del tutto opposti: uno aveva per discepoli i figli dei piú nobili ateniesi, era ricco, florido e ben riverito; l’altro viveva invece da eremita, era sempre sporco, lacero, denutrito e inviso alla popolazione. Un giorno il primo in­contrò l’altro, seduto a terra, in un campo di rape, intento a rosicchiarne alcune per sfamarsi. Colpito da quella visione, esclamò: «Eh, mio caro, se tu avessi imparato a bussare alle porte dei potenti, adesso non dovresti star qui a rosic­chiare le rape!». Al che l’altro, imperterrito, gli replicò: «Eh caro mio, se tu avessi imparato a rosicchiare le rape, adesso non ti occorrerebbe bussare alle porte dei potenti!».

Il che mostra come la storiella del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto venga da lontano; su di esso ciascuno è libero di trarre considerazioni e modellare l’esistenza.

La Forza c’è, e c’è da sempre. Se non ci fosse, non avremmo neppure potuto incarnarci e scendere in una dimensione estremamente lontana dal Mondo dello Spirito. «La Forza di un Dio mi ha guidato dentro la Morte» ha scritto Rudolf Steiner; Lui solo, e pochi altri, si sono resi conto di quale e quanta forza sia necessaria perché una nascita sulla Terra possa concretizzarsi.

E questa Forza continua anche dopo: cresce, ci sviluppa, ci irrobustisce, ci solleva dalla posizione orizzontale, ci allunga braccia e gambe, ci fa correre, respirare, pensare e amare. Ci indica la via del Coraggio: certo, chi non sa nulla della Forza, cosa può saperne del Coraggio?

Abbiamo accostato al mese di Aprile il concetto della Resurrezione; ma cos’è la Resurrezione se non l’esplosione piú alta e potente di una Forza spirituale che, volutasi annientare per l’umano e nell’umano, ritorna divina, grazie all’umano? A noi ci è stato tramandata la cronaca del fatto, l’esempio, il monito, quale possibilità di un risultato che è il non plus ultra della conoscenza di sé, della consapevolezza di sé, dell’attuazione del proprio sé; il compendio stesso dell’umano, neppure immaginabile con la piú sfrenata delle fantasie né con la piú ardente delle fedi, se non si fosse verificato l’Evento sul piano storico, in quell’epoca e in quei luoghi, dove, sotto varie forme e diversi ruoli, eravamo tutti presenti.

Esserci accostati alla Forza, esserci imbevuti della Luce sfolgorante di quella Verità, ricordarla, ri­viverla per tutte le vite successive… non basta. Dopo Aprile viene Maggio, e nel mese di Maggio la tradizione ci parla di Maria, dell’Anima, del mistero dell’Iside Sofia.

Mistero che sonnecchia in noi e forse non avrebbe potuto ridestarsi dalla sua tomba d’oblio, se prima non fosse intervenuta la Resurrezione. Se l’IoSono non si fosse ripresentato al mondo dopo averlo fecondato del Suo sangue di uomo, e non avesse compiuto quel che di fatto ha compiuto.

L’universo si è modificato, la Terra si è modificata, l’umanità è stata beneficiata per i secoli a venire.

A questo punto, in ogni individuo si è accesa la scintilla della liberazione; una scintilla che non può restare scintilla; che dovrà diventare fuoco, ma d’ora in poi potrà diventarlo solo grazie ad una azione libera; libera in quanto la prima è già stata resa concreta da quell’IoSono che si è immolato sulla croce per ogni creatura del futuro, di ogni epoca e di ogni luogo. L’Anima potrà allora ricongiungersi con lo Sposo, ritrovare in sé l’elemento sperduto dell’antica androginia: l’Anima diventerà Animo, ossia Coraggio: nel tempo, col tempo.

Molte cose, alcune anche decisamente belle, si possono trovare in quella frase della Forza e Coraggio, abbinata ai mesi di Aprile e Maggio, che mi era sembrata da principio piuttosto banale e poverella: tipico di chi non trova nulla di meglio da dire e conclude una stanca telefonata con mezza password in attesa che dall’altro capo del filo l’interlocutore (nel caso mio, l’interlocutrice) la completi secondo un ritua­lismo ormai automatizzato.

Ma invece non è cosí; può sembrare cosí, e infatti lo è, se ci si ferma, se non si passa oltre, se non si presta un minimo di attenzione e di interesse a quel che diciamo e facciamo.

Non voglio proseguire. Sono convinto di aver costruito dei pensieri che mi hanno giovato in molti sensi. Del resto, quando tiri in ballo la Pasqua e i suoi significati non può accadere diversamente.

Mandorlo fioritoHo svolto un percorso che probabilmente sarà esposto alle critiche di quanti amano la rigorosa ortodossia scientifico-morale; per questi, abbinare teorie di fisica a simboli religiosi, partendo da un detto popolare, e colorarne gli aspetti a pennellate autoreferenziali, come fossero pezzi di un’oggettività tutta da dimostrare, non suona bene. Vengono piuttosto scambiati per ingredienti di un fritto misto irrituale e sconcertante.

Eppure una strada di questo genere è stata tentata da quando il mondo si chiama mondo; il suo nome è “Arte”. Non ha nulla a che fare con la mirabolante grandezza o con l’eventuale miseria del prodotto finito. È una strada che va percorsa con il cuore e la mente uniti in reciproco sostegno e conforto. Altrimenti quel che ne esce allo scoperto è solo un’apoteosi dell’ego, oppure un oltraggio alla natura umana.

L’Arte è, prima di ogni altra cosa, l’arte di mettere assieme sva­riati particolari, di comporre gli ingredienti secondo un personale senso di armonia; quando ci riesce, allora tutto è chiaro e non solleva obiezioni.

In questi giorni mi è stato riferito un pensiero di Nikos Kazant­zakis, che non conoscevo, e che mi ha colpito per la sua tenera fre­schezza, un autentico soffio di sublime, offerto in limpida sintesi: «La Quercia chiese al Mandorlo: “Parlami di Dio”. E il Mandorlo fiorí».

Colgo l’idea, chiedendo rispettosa licenza al poeta (e scrittore) cretese; ne adopero l’ispirazione per ultimare questo articolo. In fondo, se vogliamo, ho un appiglio: non so se il Mandorlo possa essere il simbolo del Coraggio; non sono nemmeno sicuro che l’Anima umana si rispecchi in toto nel Divino; ma sicuramente la Quercia è il simbolo della Forza: «Chiese la Forza (dello Spirito) al­l’Anima (dell’uomo): “Parlami del Coraggio”. E l’Anima risorse».

 

Angelo Lombroni