In cammino con Christian Rosenkreuz alla ricerca della Vita Eterna

Economia
In cammino con Christian Rosenkreuz alla ricerca della Vita Eterna

OVVERO SUL MISTERO DEL DENARO

Con questo articolo vorrei raccontare ai lettori parte di un viaggio di ricerca, che mi vede impegnato da un paio di decenni a cercare di comprendere in profondità le sane leggi della vita sociale e il mistero del denaro, la cui soluzione risulta centrale nel nostro tempo per scongiurare il declino della civiltà umana.

Per una coincidenza spirituale, il Giovedí Santo del 2015 è uscito il mio libro Padre perdonaci, con il sottotitolo Il significato del denaro nel Mistero del Golgota e nell’economia della salvezza, nel quale ho esposto approfonditamente i risultati della mia ricerca sull’opera di Rudolf Steiner e di Nicolò Giuseppe Bellia, arricchita dalle mie personali ricerche sulle corrispondenze tra le leggi del vivente, apprese alla scuola trentennale della pratica biodinamica, e le leggi del denaro.

Il giovane riccoIn quella esposizione ho inserito anche organicamente lo studio di alcuni brani dei Vangeli, in particolare quello di Giovanni, da me riscoperti in chiave economica e monetaria, ponendo in una nuova luce questo aspetto del loro contenuto. Ho scoperto successivamente di essere costantemente accompagnato nella ricerca dalla presenza di Lazzaro-Giovanni, di Christian Rosenkreuz.

Il primo brano che voglio qui considerare è tratto però dal Vangelo di Marco al capitolo 10: «Uscito Gesú sulla strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesú gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non uno: Dio. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre”. Egli allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Allora Gesú, fissandolo, lo amò e gli disse: “Una cosa ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò addolorato, poiché aveva molte ricchezze. Gesú, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!”. I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesú riprese: “Figlioli, com’è difficile entrare nel regno di Dio! È piú facile che un cammello passi per la cruna, che un ricco entri nel regno di Dio”. Essi, ancora piú sbigottiti, dicevano tra loro: “E chi mai si può salvare?”. Ma Gesú, guardandoli, disse: “Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio”».

Le parole di Gesú, la frase in cui indica come si può arrivare alla vita eterna, è qualcosa che mi ha veramente interessato, perché in quella frase Egli ci sta parlando proprio del mistero del passaggio cosciente della Soglia del Mondo Spirituale. Quel giovane, quell’uomo ricco, se ne andò addolorato perché aveva molte ricchezze. È una frase che fin da bambino sentivo commentare in chiesa. E i commenti erano: «Bisogna spogliarsi delle ricchezze, dare i nostri beni ai poveri e poi seguire il Cristo».

scambiarsi denaroOccupandomi invece del tema del denaro, mi accorsi che in realtà questo non è detto in quella frase. È detto: «Vai, vendi quello che possiedi». La prima azione non è quella di dare i beni, ma di vendere i beni. E quindi si tratta di scambiare i beni con denaro, cioè vendere a chi ha denaro. Questa scoperta per me fu una grande gioia, perché già avevo compreso che il denaro di per sé non è un elemento negativo, non è di Satana, non è lo sterco del diavolo, ma è qualcosa di molto diverso. In questo versetto, sentire che l’utilizzo del denaro è il primo passo per la vita eterna mi diede una grande gioia. Sentivo che adesso avevo compreso la risposta del Cristo alla domanda fatta da quel giovane.

Ma mi colpí un’altra cosa, quelle parole dette dall’evangelista Marco prima della risposta di Gesú: «Allora Gesú fissandolo lo amò». Chi ha letto Rudolf Steiner sa che egli indica il fatto che quando sta scritto che Gesú amava qualcuno, ciò significa che quello è un discepolo iniziato da Lui. Io mi dissi allora: «So che Lazzaro è iniziato da Lui, so che lo sono anche Marta e Maria, queste Gesú “amava”. Dice il Vangelo di Giovanni Lazzaro: «Gesú amava Lazzaro, Marta e Maria». E questo giovane chi è? È un altro discepolo iniziato? mi chiedevo.

Portai questa domanda nel cuore e la risposta venne inaspettatamente tre anni dopo l’uscita del mio libro. Quasi alla fine della lettura del libro di Sergej Prokofieff, Le sorgenti spirituali dell’Europa orientale e i futuri misteri del Santo Graal, trovai una nota in cui viene citato quel passo del Vangelo di Marco. Prokofieff scrive: «Secondo una tradizione proto-cristiana, quel­l’uomo non è altri che Lazzaro. E questo è testimoniato dalle parole: “Gesú lo amò”».

Qui si manifesta dunque l’incontro di Lazzaro, di Christian Rosenkreuz, con il Cristo. Qui inizia qualcosa, c’è una precisa domanda che egli rivolge al Cristo. E c’è una risposta del Cristo che indirizza direttamente all’economia, al denaro come via per la vita eterna. Con quella risposta viene a lui affidata la missione di comprendere il mistero del denaro.

Possiamo soffermarci un po’ ad osservare il processo che viene descritto in questo brano del Vangelo di Marco. Questo uomo, possiamo ora dire Lazzaro, chiede la via per la vita eterna. La richiesta della vita eterna, della felicità eterna dopo la morte, noi sappiamo essere un elemento inizialmente egoistico. Steiner ci fa osservare che siamo molto interessati al nostro destino futuro, ma non a conoscere da dove proveniamo. Siamo interessati all’immortalità, ma non all’inna­talità. Questo desiderio è espressione dell’ego, che vuole qualcosa per sé nel futuro. Quindi possiamo dire che qui viene posta una domanda che è segnata da questo ego. La risposta del Cristo: «Osserva la legge», indica il primo passo. Egli non è venuto ad abolire la legge, ma a darle pieno compimento. Quindi adesso, dato che Lazzaro ha osservato i comandamenti fin dalla giovinezza, può fare un passo ulteriore, un passo oltre la legge. E questo passo è indicato nella parola: «Vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, poi vieni e seguimi».

Se noi prendiamo in considerazione veramente questa indicazione, ci rendiamo conto che, di fronte alla prima azione richiesta, al vendere, siamo subito richiamati a uscire da noi e a prendere in considerazione i bisogni dell’altro. Poiché il valore di una merce lo dà il consumatore.

Di fronte al fatto che io voglio la vita eterna per me, il Cristo mi indica: «Vendi quello che possiedi». È abbastanza naturale che se qualcuno vuole qualcosa di alto valore, è disposto a cedere quello che ha, a cui assegna meno valore.

Questo avviene nello scambio economico. Lo scambio economico, la compravendita, avviene tra due individui quando ciascuno dei due assegna piú valore a ciò che vuole ricevere rispetto a ciò che intende cedere. C’è un vantaggio per entrambi. Quando io voglio vendere devo tener conto del bisogno altrui. Poniamo che io metta all’asta i miei beni; colui che vince l’asta è colui che piú di tutti desidera quei beni, naturalmente nell’ipotesi che tra i concorrenti ci sia una parità nella possibilità di comprare. Vedete che il valore dei beni lo dà il consumatore. Dalla vendita si riceve del denaro. Questo denaro ha un valore diverso da quello che aveva per me il bene venduto. Il bene che possedevo aveva valore per il mio utilizzo, per il mio bisogno. Il denaro che ricevo trae invece il suo valore dal bisogno dell’altro. Quindi, già nell’atto di vendere io sono uscito da me, dal mio bisogno personale, e posso sperimentare, nel valore del denaro che ora ho in mano, il valore che l’altro assegna alle cose in relazione al proprio bisogno. Questo è il primo passo.

elemosinaLo sviluppo naturale di questo primo passo, cioè dell’aver sperimentato cosa significa percepire il bisogno dell’altro, mi porta alla possibilità di vedere il bisogno dei poveri. Qui sta il passaggio dal denaro d’acquisto al denaro di donazione. In mezzo ci sarebbe il denaro di prestito, che qui non è considerato. È considerato in altri brani dei Vangeli. Qui si parla del passaggio al denaro di donazione. Nel momento in cui nella vita economica si sperimenta l’elemento altruistico, cioè che lo scambio è un servizio reciproco, a quel punto si scopre la legge della fraternità, quella legge che ha come naturale sviluppo, proprio perché è un impulso umano fondamentale, originario, la comprensione che il piú grande valore che io posso ricevere nella vita economica è la possibilità di donare. Io non ricevo nulla di tangibile per me, ma ricevo semplicemente la gioia di donare. In economia, infatti, non si dovrebbe parlare di scambio di beni, ma di scambio di valori.

Alla luce di queste considerazioni, potei gettare una nuova luce su quella risposta, data a Lazzaro come enigma dal Cristo, ma data per questo come atto d’amore, per incitare alla ricerca attiva. È una parola d’amore che viene affidata a Lazzaro affinché la sviluppi, come un compito per sviluppare la sua piena umanità in favore dell’intera Umanità. Ma la parola d’amore del Cristo ha come primo effetto quello di rattristarlo, di addolorarlo. Da quel momento Lazzaro porta con sé questo dolore. Poiché solo dal dolore può nascere amore e conoscenza.

Maria unge i piedi di GesùOra possiamo chiederci. Se questo è il compito affidato a Lazzaro, non dovrebbe esso apparire in qualche modo anche in relazione al suo risveglio, alla sua Iniziazione?

Infatti lo troviamo nel brano scritto da Giovanni Lazzaro, che racconta il fatto accaduto dopo il suo risveglio, la cosiddetta “Unzione di Betania” (Giovanni 12, 1-8): «Sei giorni prima della Pasqua, Gesú venne a Betania, dove era Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. Là fecero dunque un banchetto per lui e Marta serviva; e Lazzaro era uno dei commensali. Allora Maria, presa una libbra di unguento di prezioso nardo genuino, unse i piedi di Gesú e glieli asciugò con i suoi capelli; la casa si riempí del profumo dell’un­guento. Disse allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, quello che stava per consegnarlo: “Perché non si è venduto questo unguento per trecento denari e non si è dato il ricavato ai poveri?”. Ma disse questo non perché gli importava dei poveri, ma perché era ladro e, avendo la cassa, portava ciò che vi veniva messo dentro. Disse allora Gesú: “Lasciala, perché lo doveva conservare per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, me invece non mi avrete sempre”».

Lo stesso fatto è raccontato anche in Matteo 26, 6-13. Qui si dice che l’unguento fu versato sul capo di Gesú da una donna. Poi è scritto: «A quella vista i discepoli si indignarono e dissero…». Quindi si capisce che non solo Giuda è preso dall’indignazione. Ma egli comunque è il piú indignato, tanto che va subito dai sommi sacerdoti: «Allora uno dei Dodici, quello chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: “Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?”. Essi stabilirono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo» (versetti 14-16).

Denaro a scadenza

Denaro a scadenza

Ma torniamo al passo di Giovanni. Non avevano forse tutte le ragioni per indignarsi, Giuda e gli altri? La domanda di Giuda testimonia che egli voleva mettere in pratica proprio l’indicazione che Gesú aveva dato a Lazzaro che chiedeva la vita eterna, cioè di vendere i beni e dare il ricavato ai poveri. Prego ora di fare attenzione alle successive parole dell’evangelista, di Giovanni Lazzaro, poiché esse sono fondamentali per la nostra comprensione: «Ma disse questo non perché gli importava dei poveri, ma perché era ladro e, avendo la cassa, portava ciò che vi veniva messo dentro». Quella scritta in corsivo è la traduzione letterale dal greco di Alberto Bigarelli, tratta da: Nuovo Testamento – Interlineare, Ed. San Paolo, 2000. La traduzione italiana a fianco non corrisponde però a quella letterale dal greco. È scritto infatti: «Lo disse, però, non perché gli stavano a cuore i poveri, ma perché era ladro e, avendo la borsa, sottraeva ciò che vi veniva messo dentro». È comprensibile che si sia cambiata la traduzione rispetto al greco. Dato che l’evangelista dice che Giuda era ladro, doveva per forza prendere di nascosto il denaro dalla cassa. Altrimenti, come si potrebbe comprendere il testo originale? Come può Giuda essere ladro solo per il fatto di tenere la cassa e portare il suo contenuto?

A questa domanda si può rispondere in modo preciso. Giuda è ladro inconsapevole, in quanto si serve del denaro, essendo il cassiere. È il denaro, il ladro. E rende ladro chi se ne serve. Infatti il denaro è un mezzo di potere, di sopraffazione, perché non muore. Questo può sembrare in contraddizione con quanto detto sopra, che esso è strumento di fraternità e comunione. Lo diverrà solo se sarà reso mortale, se gli uomini accetteranno che esso si consumi e muoia come la merce di cui rappresenta il valore. Io faccio quindi l’avvocato difensore di Giuda. Egli non rubava, l’evangelista non lo dice. Anzi Giuda, nella sua coscienza morale, pensava di essere piú coerente di Gesú. Egli non è quindi piú colpevole di tutti noi. In quanto portiamo in tasca questo denaro ladro di vita, che non muore, siamo tutti ladri inconsapevoli.

Ma quando Giovanni scrive che a Giuda non interessavano i poveri, dice il vero, anche se Giuda crede di averli a cuore. In realtà egli, avendo il denaro, può usarlo per soddisfare i suoi scopi. Egli era il cassiere, e non era infrequente che usasse il denaro per aiutare i poveri. Lo testimonia di nuovo lo stesso Giovanni narrando dell’Ultima Cena, che ora ci vogliamo rappresentare vivamente tenendo contemporaneamente di fronte a noi il dipinto di Leonardo da Vinci: «Detto questo, Gesú fu turbato nello Spirito e testimoniò, e disse: “In verità vi dico che uno di voi mi consegnerà”. I discepoli si guardarono gli uni gli altri, domandandosi di chi parlasse. Uno dei suoi discepoli, quello che Gesú amava, stava adagiato sul grembo di Gesú. Simone Pietro allora gli fece cenno di chiedergli chi fosse quello di cui parlava. Allora quello, chinatosi sul petto di Gesú gli disse: “Signore, chi è?”. Gesú rispose: “È quello a cui porgerò il boccone che sto per intingere”. E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda di Simone Iscariota. Allora, dopo il boccone, entrò in lui Satana. Gli disse allora Gesú: “Ciò che vuoi fare, fallo presto”. Nessuno dei commensali capí perché gli dicesse questo. Siccome Giuda teneva la borsa, alcuni pensavano che Gesú gli avesse detto: “Compera quanto ci occorre per la festa”, o di dare qualcosa ai poveri. Allora, preso il boccone, quello uscí subito. Era notte» (Gv. 13, 21-30).

Se osserviamo attentamente quanto vive nelle anime dei discepoli di Gesú, ci appare chiaro quali fossero le loro aspettative. Giuda e gli altri vivono profondamente l’attesa messianica dei profeti dell’Antico Testamento. Essi credono che Egli sia il Messia atteso, e pensano che si stia preparando a divenire il re del popolo d’Israele. Il giorno seguente l’unzione di Betania, avviene infatti l’ingresso trionfale in Gerusalemme con l’osanna della folla: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!» (Gv. 12, 13). Essi pensano che stia per venire il momento della resa dei conti con il potere politico e religioso del loro tempo. Per Giuda il denaro dato ai poveri è un mezzo per conquistare il consenso popolare per questa grande impresa. Per questo si scandalizza per lo spreco dell’unguento compiuto da Maria Maddalena. Egli crede nel denaro come mezzo di potere buono, per realizzare la giustizia sociale, il fine piú alto dell’attesa messianica.

Leonardo L'Ultima CenaOra facciamo una parentesi e prendiamo in considerazione le indicazioni che ci dà Rudolf Steiner in merito alla relazione esistente tra la tentazione del pane cui Satana sottopone Gesú nel deserto e il mistero del denaro, fatto col metallo, le pietre della terra. Si allude qui alla condizione dell’uomo. La sua schiavitú dipende dal fatto che egli è costretto a lavorare per ottenere il denaro, fatto di metallo, per ottenere il pane per saziare la propria fame. È costretto a trasformare le pietre in pane. Steiner ci dice anche che la risposta di Gesú: «Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio», lascia aperta la partita con Satana, che «se ne andò per ritorna­re al momento opportuno». Di questo momento ci narra Giovanni con le parole sopra citate: «E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda di Simone Iscariota. Allora, dopo il boc­cone, entrò in lui Satana».

Osserviamo la scena nel di­pinto di Leonardo. Steiner ci dice che in questo dipinto è rappresentato il significato del­l’intera evoluzione terrestre, il cui fulcro è il Mistero dell’Eucaristia. Sappiamo che esiste una relazione intima tra Leonardo e la figura di Giuda. Leonardo si è dedicato nella sua vita allo studio di certi aspetti enigmatici, come ad esempio quello del suicidio. In questo dipinto si impegnò a fondo a rappresentare in particolare la figura del Cristo, che voleva esprimesse la luce che scaturisce dall’interno, e quella di Giuda, che doveva esprimere la tenebra che nasce da dentro. C’è quindi una relazione intima tra Giuda e Arimane, nel senso che Giuda deve confrontarsi piú di ogni altro con questa entità dell’ostacolo. Nel dipinto egli è rappresentato mentre con la mano sinistra prende il boccone di pane e con la destra, con gesto da Scorpione, tiene la borsa del denaro. L’economia moderna si sta suicidando perché gli uomini faticano a comprendere che il denaro non vale quando lo trattengo, ma solo quando lo spendo. Prendere il pane e trattenere il denaro, che quel pane dovrebbe far circolare da uomo a uomo, porta al suicidio. Lo scorpione è l’animale che, se posto alla luce del sole, non può resistere e si suicida col suo stesso pungiglione.

E qui Giuda è infatti rappresentato nel gesto di arretrare di fronte al Cristo Sole, tendendo all’orizzontale, la posizione in cui Steiner raffigura Arimane nella statua lignea del Rappresentante dell’Umanità. Non è forse Leonardo in relazione con l’impulso arimanico anche in un altro elemento fondamentale cui egli ha dato impulso come geniale pioniere? Si tratta della tecnica e della meccanica, fondamento di ciò che è oggi divenuto tecnologia e meccanizzazione nell’eco­nomia moderna capitalistica, fondata sul potere del denaro.

Rudolf Steiner ci indica, in una conferenza tenuta ad Oxford il 28 agosto 1922 (O.O. N° 314), l’importanza capitale di comprendere oggi l’economia moderna in modo nuovo, proprio a partire dal rapporto con la tecnica e le macchine: «Oggigiorno non si ha il giusto istinto per trovare i concetti che devono venir ottenuti partendo dalla vita odierna, che è pervasa ovunque di industrialismo. Si dovrebbe solo riflettere su come la vita abbia agito intensamente nelle passate epoche dell’umanità.Cristo giudice La teocrazia era un tempo talmente impressa in tutta la vita sociale che anche la realtà economica scaturiva direttamente dalle direttive teocratiche. Lí però arriva fino all’agri­coltura. …Chiedete all’uomo che sia cresciuto insieme alla campagna, alla terra, cosa sia per lui il pane. Per lui il pane è in primo luogo un dono di Dio. …E poi si formarono gli ordinamenti sociali fondati sul mondo del commercio, della piccola industria. Sorse la questione del lavoro. …E allora si presenta un modo di pensare molto diverso: tutti i concetti che abbiamo – proprietà, diritto umano di fronte a diritto umano – ricevettero a quell’epoca una coloritura giuridica, dialettica e logica. …Prego, guardate il grandioso dipinto di Michelangelo che oggi si trova nella Cappella Sistina a Roma – Cristo, il Giudice del mondo – dell’epoca in cui la vita giuridica statale afferrò con la massima intensità ogni cosa. …Nel dipinto di Michelangelo Dio è il grande giurista. … Il contadino era legato alla terra. Il commerciante, o l’artigiano, era collegato all’altro uomo. Solo, non si studia debitamente come l’uomo assumesse valore per l’altro uomo quando comprava da lui o gli vendeva qualcosa che aveva prodotto egli stesso e con cui era ancora collegato. Lí era determinante quello che veniva pensato in modo giuridico. Per il prezzo giusto era allora decisivo ciò che agiva da uomo a uomo, ciò che si svolgeva tra città e compagna, la reciprocità, ciò che uomo e uomo dovevano stabilire di comune accordo. Ma venne il tempo in cui l’umanità si trovò di fronte alle macchine, alla tecnica. L’uomo che oggi è inserito specialmente nel mondo meccanico, è strappato da tutti i precedenti rapporti, non è piú legato alla terra, non è piú collegato a quanto si svolgeva vicendevolmente tra uomo e uomo all’epoca in cui dominavano il commercio e la piccola industria. Egli è poggiato sulla propria umanità. ….Dobbiamo portare di nuovo tutto in movimento, dobbiamo immergerci nella vita, dobbiamo vedere com’è diventato l’indu­strialismo, come si è staccato dall’uomo. In ogni serratura, cosí come in ogni chiesa gotica, c’era dentro qualcosa di umano. Da ciò emanavano gli impulsi sociali. In quello che oggi il lavoratore fa in fabbrica e in quello che l’architetto esibisce come grande magazzino nella sua mostruosità estetica – che è però giusto conforme al presente, perché il grande magazzino è lo stile architettonico del presente – in ciò non si esprime proprio piú nulla che stia in una qualche relazione con l’essere umano. Usiamo dunque qualcosa che non promana piú da noi stessi. Dai terreni emanava l’essenziale dello Spirito, cosí che l’uomo diceva: “Quello che la terra mi dà, il pane, è un dono di Dio”. …E in seguito, quando l’uomo dava all’altro ciò che si era acquisito col commercio e la piccola industria, si creava un rapporto umano. Gruppo ligneoUn rapporto umano con la macchina è impossibile! La macchina è fredda, se ne sta lí fredda. E noi non sappiamo arrivare a una formazione di giudizio sociale perché non siamo in grado di dare all’uomo un contenuto di tutt’altra provenienza, un contenuto che non può sbucar fuori dalla macchina come dal terreno, o dal commercio e dalla piccola industria… Del Dio teocratico dell’Oriente si poteva avere una chiara rappresentazione. Il Giudice Universale l’ha dipinto Michelangelo. Che aspetto debba avere Colui che opera a partire dall’ordinamento industriale, questo cerchiamo di rappresentarlo noi a Dornach».

Qui Rudolf Steiner si riferisce al gruppo ligneo del Rappresentante dell’Umanità, da lui qui messo in relazione direttamente con l’industrialismo legato al capitalismo moderno. Una questione legata fortemente alla figura di Giuda.

Torniamo al dipinto di Leonardo e vediamo come vi sia rappresentato Lazzaro Giovanni, il discepolo che il Signore amava. Lo osserviamo mentre ascolta le parole che Pietro gli rivolge dopo che il Cristo ha detto: «In verità vi dico che uno di voi mi consegnerà». Pietro, con la mano sinistra appoggiata alla sua spalla destra, con gesto da Sagittario, gli dice: «Chiedigli chi è». Con la mano destra egli impugna la spada, pronto ad usarla contro il traditore. Pietro e Giuda sono i soli tra gli apostoli che non hanno le mani libere. Uno tiene il denaro, e l’altro la spada. Uno tradirà e l’altro rinnegherà.

Se Giuda è posseduto da Arimane, forse allora Pietro è posseduto da Lucifero? Lo testimonierebbe il suo temperamento collerico, di contro alla tendenza calcolatrice di Giuda. Se osserviamo come Leonardo li ritrae, vediamo Pietro con la testa luminosa e volitiva rivolta attivamente in avanti e sotto di lui Giuda, con figura scura, che si ritrae all’in­dietro. Si trovano nello stesso rapporto spaziale in cui vediamo Lucifero e Arimane nel gruppo ligneo.

Pietro estrae la spada

Pietro estrae la spada

Se ora immaginiamo che le loro mani non libere si uniscano, abbiamo l’immagine dei due Ostacolatori avvinghiati tra loro alla destra del Rappresentante dell’Umanità. Tra di loro, quieto in se stesso e in profonda relazione interiore con il Cristo, c’è Lazzaro Giovanni nell’atteggiamento della Vergine, della Madre che egli prenderà con sé come propria Madre sotto la Croce. Egli fa da ponte tra i due suoi compagni vicini e il Cristo.

Quando da bambino ascoltavo il brano che racconta l’arresto di Gesú nell’Orto degli Ulivi, nel momento in cui Pietro prende la spada, pensavo che avesse preso la spada ad un soldato per poi usarla. Invece no, quella era la sua spada. Le parole di Gesú sono chiare: «Rimetti la tua spada al suo posto». La spada di Pietro è la parola, con cui egli vuole affermare la giustizia. È un’affermazione di giustizia che vuole imporsi con la denuncia rivolta fuori di sé.

Il Mahatma Gandhi

Il Mahatma Gandhi

Polarmente avete invece Giuda che usa in modo occulto il denaro, che opera per comprare il consenso ai fini del potere. Naturalmente per lui si tratta di un potere buono, che si giustifica con il fine. Siamo nel periodo dell’anima razionale e noi abbiamo la sua essenza espressa con un motto semplice: “Il fine giustifica i mezzi”.

E questo è ciò che vive in modo diverso sia in Giuda che in Pietro, e che come conseguenze porta da un lato a tradire e dall’altro a rinnegare.

Il Cristo porta invece l’elemento della coscienza, che si esprime nel motto: “I mezzi e il fine sono la stessa cosa”. Non so se sapete chi ha pronunciato questa frase. Si tratta di una “grande anima”, il Mahatma Ghandi. Il fine e i mezzi sono la stessa cosa. Il Cristo dice: «Non si possono ottenere frutti buoni da un albero cattivo». Esprime lo stesso significato. Questa è la virtú dell’anima cosciente, quella che Lazzaro ha ricevuto divenendo Giovanni.

Diversamente dalle mani di Giuda e da quelle di Pietro, quelle di Lazzaro Giovanni sono congiunte in quiete. Il fine ideale, la sinistra, e i mezzi per attuarlo, la destra, sono la stessa cosa.

Abbiamo qui di nuovo il tema del denaro, la necessità del deperimento del denaro. Il fine, il pane, che deve circolare tra gli uomini per essere consumato, e il mezzo di scambio, il denaro, che deve favorire lo scambio fraterno del pane, devono avere la stessa natura. Entrambi devono deperire, morire. In Christo morimur, nel Christo la Morte diviene Vita. Qui di nuovo ci parla Christian Rosenkreuz.

 

Stefano Freddo (1. continua)