Conoscere i Vangeli

Spiritualità

Conoscere i Vangeli

Giovanni Battista, tra la comunità di Qumrân e il cristianesimo delle origini

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Zaccaria ed Elisabetta

Zaccaria ed Elisabetta

La storia di Giovanni Battista – Yohanan [yhwh ha avuto misericordia] ben Zekaryah come lo chiama in modo ebraico Luca (3, 2) – comincia con un quadretto idilliaco, una confortante immagine di amore coniugale, che richiama alla memoria l’armoniosa intesa di Filemone e Bauci, i vecchi coniugi che chiesero agli dèi di morire insieme. Al tempo di Erode il Grande c’era in Israele un vecchio sacerdote di nome Zaccaria che aveva come moglie una lontana discendente di Aronne, di nome Elišeba (Elisabetta): «Erano entrambi giusti dinanzi a Dio e vivevano rispettando tutti i comandamenti e i precetti del Signore, in modo irreprensibile. Ma non avevano avuto figli perché Elisabetta era sterile», scrive Luca (1, 5-6). Zaccaria ed Elisabetta erano Ebrei molto osservanti a pieno titolo.

Luca continua la sua narrazione del Vangelo dell’infanzia di Giovanni descrivendo il culto offerto da Zaccaria di fronte all’altare dell’incenso (mizbeah ha-ketòret), situato fra la menorah e il tavolo dei pani, nel Santo, che faceva da vestibolo al sancta sanctorum. Luca dice che, mentre tutta l’assemblea pregava nel Tempio, un angelo del Signore apparve in piedi a destra dell’altare. Il sacerdote si spaventò, ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria». Questa formula “non temere” percorre tutta la Bibbia e si trova di frequente nei Vangeli, per confortare ogni volta l’essere umano di fronte all’irrompere dello Spirito nella materia. Lo Spirito difatti non discende placido: lo Spirito irrompe, spazzando talora il precario equilibrio umano, lo Spirito sopraggiunge con il sacrificio, le prove, le malattie, perché egli stesso si era preparato questi momenti.

Il fatto che Giovanni Battista nascesse da un’anziana coppia di giusti, considerata sterile, e che la nascita fosse annunciata da un angelo è un grande sintomo storico della vicenda umano-divina del Cristo. Nella coppia israelitica rivive infatti il modello fondante dell’ebraismo: la missione della coppia Abramo-Sara, anch’essi ormai anziani quando nacque loro Isacco, annunciato dagli angeli sotto le querce di Mamre. Questa consonanza fra le due coppie vuole suggerirci che Elisabetta e Zaccaria preparano la rifondazione del popolo ebraico, in quanto generatori di un nuovo Isacco, capostipiti di una discendenza questa volta non biologica, ma puramente spirituale.

Da dove sorgeva la necessità di questa rifondazione? Dalla crisi politica e religiosa attraversata da Israele duemila anni fa.

Nel I secolo, quando il Battista e Gesú si rivelano al mondo, la Palestina versa in una grave crisi politica: la nazione di Israele non è sovrana della Palestina, perché la Galilea è sotto il comando di Erode Antipa, la “volpe”, come lo definí il Cristo, mentre la Giudea e la Samaria sono sotto il governatore romano Ponzio Pilato. Questa mancanza di sovranità da parte degli Ebrei suscitava non poche ribellioni contro il potere romano e molteplici aspettative messianiche di liberazione dagli invasori [Erode Antipa, 4 a.C.-39 d.C., era il piú giovane dei figli di Erode il Grande. Nacque nel 20 a.C. dalla samaritana Malthace, una delle dieci mogli del re, e fu educato a Roma al tempo di Augusto. Sposò una figlia del re nabateo Areta IV. Fra il 18 e il 22 costruí Tiberiade in onore di Tiberio. Nel 27-28, a Roma, si invaghí di Erodiade, moglie del fratello Filippo. Costruí la fortezza di Macheronte, che dominava il mar Morto. Nel 39 Caligola mandò Antipa in esilio a Lione].

Anche dal punto di vista spirituale Israele viveva una profonda crisi, perché era ormai terminata l’epoca profetica, come si legge in Sanhedrin, 11a: «I nostri Rabbi insegnarono: “Dal momento della morte degli ultimi profeti, Aggeo, Zaccaria, Malachia, lo Spirito santo [dell’ispirazione profetica] si allontanò da Israele, ma essi erano ancora in grado di ascoltare la voce celeste, la batqol”».

Esistevano tre importanti correnti religiose:

  1. I Sadducei rappresentavano la ricca nobiltà sacerdotale ma anche la fazione legata al potere romano. Avrebbero infatti voluto uno Stato ebraico strutturato sul modello ellenistico. Questa fazione non aveva seguito fra il popolo, non credeva alla Torah orale, cioè alla tradizione, e rifiutava la resurrezione dei morti.
  2. I Farisei erano il ceto borghese: artigiani e commercianti guidati da scribi e dottori della Legge. Al di là degli stereotipi, i Farisei erano credenti molto legati alla rigorosa precettistica ebraica. Conducevano una vita semplice e digiunavano due volte alla settimana per la salvezza d’Israele. Diversamente dai Sadducei, credevano nell’immortalità dell’anima e nella resurrezione dei morti e reputavano sacra non soltanto la Torah ma anche la tradizione (chiamata Torah orale), ovvero quegli insegnamenti dei maestri, che furono poi raccolti nei testi della Mišnah.
  3. Gli Esseni di Qumrân erano un movimento di tipo comunitario e di tendenza radicale. Amministravano insieme i beni della comunità (come avverrà per i primi cristiani) e aspettavano il regno di Dio, che sarebbe stato preceduto dall’avvento di due Messia, uno sacerdotale e l’altro regale – guarda caso proprio come i due bambini Gesú descritti da Rudolf Steiner. Gli Esseni si consideravano “i poveri di yhwh”, “gli eletti di Dio” o “i figli della luce”: insomma si ritenevano i veri eredi delle promesse fatte da Dio ai patriarchi, ed erano convinti che Dio avrebbe stretto con loro una Alleanza nuova ed eterna. Gli Esseni ammettevano l’esisten­za di un dualismo luce-tenebre, un dualismo morale, angelico, non ontologico. La Regola della Comunità (III, 18-25) riporta infatti: «Dio creò l’uomo per dominare il mondo e pose in esso due spiriti …: sono gli spiriti della verità e della menzogna. Dalla sorgente della luce provengono le generazioni della verità e dalla fonte delle tenebre le generazioni della menzogna. In mano del Principe delle Luci [identificato con Michele] sta il dominio su tutti i figli della giustizia; essi procedono su vie di luce. E in mano dell’Angelo delle tenebre [chiamato Belial] sta il completo dominio sui figli della menzogna; essi procedono in vie di tenebre».
Gli Essseni e i rotoli di Qumran

Gli Essseni e i rotoli di Qumran

Gli Esseni erano perfino convinti che alla fine dei tempi i Figli della Luce avrebbero sconfitto i Figli delle Tenebre in una guerra epocale.

Gli Esseni rispettavano molto le norme ebraiche di purità e praticavano religiosamente la tevilah, l’immersione rituale, accompagnandola con un atto di pentimento interiore, detto tešuvah. Si legge infatti nei manoscritti del Mar Morto: «Non si può entrare nell’acqua …se non ci si è prima allontanati dalla propria malvagità, perché l’impurità si attacca a tutti i trasgressori della Sua parola» (Regola della comunità, 5, 13-14); «Chi sottomette la sua anima alle leggi di Dio avrà purificato la sua carne quando sarà asperso con l’acqua della purificazione e sarà santificato nell’acqua della purezza» (Regola, 3, 8-9).

Per preservare questa loro purità, per non tradire le promesse divine, gli Esseni sul finire del II secolo a.C. si ritirano nel deserto di Giuda, sulla riva occidentale del Mar Morto e qui fondano una specie di comunità. Nel perseguire questa scelta di isolarsi dalla corruzione politica e morale del loro tempo, gli Esseni battono antiche vie, già percorse dai profeti: anche il profeta Elia si era ritirato in questo deserto al tempo del re Achab per contestare la monarchia e ascoltare la parola di Dio nel silenzio del deserto; anche il profeta Isaia aveva invitato a ritirarsi nel deserto con il ben noto appello: «Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!» (Isaia 40, 3-5). Non a caso questo versetto di Isaia sarà fatto proprio sia dagli Esseni (1QS VIII, 12-16) sia dal Battista.

Leonardo «Giovanni Battista»

Leonardo da Vinci «Giovanni Battista»

Nel Quinto Vangelo (conferenza IV, O.O. N° 148) Rudolf Steiner sostiene che Giovanni era un giovane che aveva preso contatto con l’ordine degli Esseni e viveva come fratello laico nella comunità, vestito come loro, tanto da portare in inverno una veste fatta con pelo di cammello, eppure in sé non aveva potuto rinunciare del tutto agli insegnamenti del giudaismo. La scienza oggi conferma che Giovanni Battista fu vicino agli Esseni. «Giovanni – scrive lo storico ebreo David Flusser – è cosí vicino agli Esseni, che è possibile che egli inizialmente appartenesse alla loro comunità, ma che poi l’abbia lasciata, perché ne respingeva il separatismo settario e voleva rendere accessibile la penitenza per il perdono dei peccati a tutto Israele». Giuseppe Flavio scrive che gli Esseni «disdegnavano il matrimonio ma adottavano i figli altrui nell’età in cui lo spirito ancora tenero si lascia penetrare facilmente dai loro insegnamenti» (Guerra giudaica, II, 120). Potremmo acconsentire con questo storico immaginando che il pio Zaccaria abbia inviato Giovanni a Qumrân.

Questo è il retroscena storico e spirituale dietro la personalità di Giovanni, dietro la sua missione.                                

 

La missione del Battista

 

Si dice che la grande spiritualità greca derivi tutta dalla visione spirituale: l’uomo ellenico vede gli archetipi spirituali sotto forma geometrica, vede la bellezza degli dèi e la trasfigurava nelle forme armoniche dell’arte scultorea. Il pensare era per i Greci tutto un immaginare visivo. Israele invece deplora questa via e sceglie la via dell’ascolto: il popolo di Mosè ascolta la voce di Dio nel deserto e mai lo raffigura. Israele è il popolo dell’ascolto, dello Šema’, dal nome del loro credo: «Ascolta, Israele. Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno». La Grecia è il mondo della visione, Israele il mondo dell’ascolto: la prima ha lasciato ai posteri una filosofia sorta dall’imma­ginazione, il secondo ci ha lasciato un patrimonio religioso sorto dall’ispirazione. È l’eterna polarità fra Atene e Gerusalemme – almeno lo è stata fino ai primi secoli del cristianesimo.

Giovanni Battista, da autentico ebreo, inizia la sua missione con l’ascolto. Questa missione è cosí annunciata nel capitolo 3 del Vangelo di Luca (1-4): «Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare [29 d. C.], mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea [dal 26 al 36 d.C.], Erode tetrarca della Galilea [dal 4 a. C. al 39 d.C.], e Filippo [Era figlio di Erode il Grande e di Cleopatra], suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconítide [dal 4 a. C. al 34 d.C.], e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna [suocero di Caifa e sommo sacerdote emerito; esercitò il suo ruolo dal 6 al 15] e Caifa [esercitò la sua funzione dal 18 al 36], la parola di Dio scese su Giovanni figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia (40, 3-5): “Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”».

Per i cristiani delle origini Giovanni Battista è l’ultimo dei profeti, ma è anche l’ispiratore del monachesimo, in quanto primo di una lunga serie di asceti che si ritirarono nel deserto di Giuda: sul suo esempio infatti, agli albori del cristianesimo, altri grandi asceti sceglieranno il deserto, le lavre [grotte di monaci] e i cenobi. La scelta del deserto da parte del Battista si innesta nella tradizione della sua nascita: l’annuncio della sua nascita miracolosa riflette infatti l’annuncio della nascita di Sansone, tanto che, come questi, Giovanni diviene un nazireo. I Nazirei (Gdc 13, 4-5; Nm 6,1-21), spesso messi in relazione con i Recabiti (1 Cr 2, 55; Ger 35) che vivevano nel deserto, si lasciavano crescere i capelli e si astenevano da bevande alcoliche [Gdc 13: «La moglie di Menoach era sterile e non aveva mai partorito. L’angelo del Signore apparve a questa donna e le disse: “Ecco tu sei sterile …ma concepirai e partorirai un figlio …sulla cui testa non passerà rasoio, poiché il fanciullo sarà un nazireo consacrato a Dio fin dal seno materno; egli comincerà a liberare Israele dalle mani dei Filistei»].

Anche Giovanni si ritira nel deserto. Per Giovanni, come per Elia e come per gli Esseni di Qumrân, il deserto è il luogo dell’ascolto della Parola, della rinascita spirituale: il luogo della tešuvah, della metànoia, della conversione del pensiero. Per “deserto” non bisogna tuttavia intendere rigidamente il deserto roccioso di Giuda, ma la “solitudine” in senso lato. Rudolf Steiner ricorda infatti che la parola greca erêmos significa “luogo solitario” oltre che “deserto”. Tanto piú che il luogo in cui Giovanni battezzava non era certo deserto, se Marco (6, 39) scrive che i presenti sedevano sull’erba verde.

Ciò è confermato da un’altra circostanza. Giovanni – scrive H. Stegemann – scelse la riva orientale del Giordano, di fronte a Gerico, perché essa era un luogo fortemente simbolico: il luogo attraverso il quale Giosuè aveva introdotto il popolo d’Israele nella Terra promessa (Gs 3-4). Battezzando sulla riva orientale del Giordano, Giovanni si propone come il precursore, in quanto traghettatore del popolo verso una nuova coscienza. «Il Battista pretendeva da ciascuno un’immediata “conversione” alla volontà di Dio un tempo rivelata sul Sinai».

Sono queste le motivazioni spirituali che inducono Giovanni a scegliere il deserto, a quanto pare, una zona a 16 km in linea d’aria dalla comunità di Qumrân. Giovanni evangelista parla di Betania, un luogo detto “casa delle barche” perché c’era un intenso traffico di traghetti. Non si sa dove fosse questo posto: per Origene si poteva identificare con Bethabara; oggi si tende a situarlo a Tell Medesh. Qui Giovanni predicava contro i doganieri che esigevano piú del dovuto (Lc 3,13: «Non esigete piú di quanto vi è stato fissato»). Qui Giovanni attacca Erode Antipa, reo di aver sposato la moglie del fratello.

 

Il battesimo nel Giordano

 

Battesimo nel Giordano

«Battesimo nel Giordano» Icona ortodossa

Nonostante le assonanze con la tradizione, il battesimo praticato da Giovanni non ha precedenti biblici né essenici. Nella tradizione israelitica non esisteva infatti la figura religiosa di colui che battezzava altri: esistevano soltanto riti di purificazione che ciascuno praticava per sé. Ma il battesimo di Giovanni non ha uno scopo lustrale, non serviva per ottenere la purità rituale, bensí per cancellare i peccati, per rimettere i peccati: insomma per dare una svolta al karma. Per questo motivo era un atto unico, e non ripetuto o ripetibile come i bagni rituali ebraici.

Che cosa proclama Giovanni? «Metanoeîte» (Mt 3, 2), cioè «mutate pensiero (noûs)». Quando Giovanni il Battista ripeteva «mutate pensiero» voleva dire: «Andate incontro a un nuovo modo di pensare e di percepire, diverso da quello che serve per comprendere la comune realtà». Questo volgersi a un nuovo modo di pensare veniva espresso dalla tradizione ebraica con il nome di “ritorno” (tešuvàh), solitamente reso in italiano con “conversione”, “pentimento”. Giovanni dice: «Io vi battezzo in acqua ai fini di un ritorno» (Mt 3,11): ritorno all’ascolto, al deserto, alla vera patria dell’anima ebraica, in cui Dio si era rivelato a Israele.

Giovanni proclama: «Mutate pensiero, poiché il regno dei cieli è vicino». Il “regno dei cieli” annunciato da Giovanni non era un’esperienza iniziatica (che prevede la visione di specifiche entità divino-spirituali, la quale a sua volta si imprime poi sul corpo eterico), ma si trattava di un’esperienza per cosí dire propedeutica a una nuova consapevolezza dello Spirito, una visione che apriva le menti degli Ebrei alla certezza che davvero esiste, dietro la comune realtà fisica, un Mondo spirituale percepibile dall’uomo: un nuovo Io. Che cosa sia il “regno dei cieli” possiamo comprenderlo soltanto se riflettiamo su ciò che avveniva durante il battesimo praticato da Giovanni sulle rive del Giordano.

Nel tunnel

Esperienza di pre-morte

Come spiega Rudolf Steiner, e come confermano molti studiosi, i battezzandi rimanevano sott’acqua fin quasi a rischio di annegare, e in seguito a ciò vivevano quella che oggi viene chiamata “esperienza di pre-morte” (NDE – Near Death Experience) o “esperienza extracorporea” (OBE – Out of Body Experience): i battezzandi piú evoluti spiritualmente subivano per pochi attimi il distacco del corpo eterico e del corpo astrale dal corpo fisico, e vedevano passare davanti ai propri occhi tutto il panorama della loro vita fin lí vissuta, in una visione retrospettiva: il progetto della propria vita.

Ci si è posti piú volte questo interrogativo: nei Vangeli si parla spesso degli angeli che inter­vengono in determinate circostanze spirituali vissute dal Cristo (Natale, Tentazione, Getsemani, Resurrezione), ma come mai non si parla mai dell’arcangelo Michele? Compare mai nella narrazione evangelica un esplicito riferimento alla missione eterna di questo arcangelo?

Arcangelo Michele

Arcangelo Michele

Sulla scorta della Bibbia (Dn 10, 13), il piú famoso autore di angelologia cristiana, Dionigi l’Areopagita, nel nono capitolo della Gerarchia celeste (trad. di G. Burrini, Tilopa, Roma 1994), scrive che l’arcangelo Michele (in ebraico, Mika’èl, “chi è come Dio?”) è il principe, la guida celeste del popolo ebraico, l’entità spirituale che veglia sui destini della comunità d’Israele. Questo sostiene la tradizione esoterica cristiana ispirata da Dionigi, alla quale fa idealmente seguito la cristologia steineriana, che vede in Michele l’entità celeste dell’intel­ligenza e del pensiero impersonale, l’entità che da sempre ha guidato l’intelletto umano nel suo cammino di conoscenza verso il Mondo spirituale. Tanto grande e vasta è la sovranità di Michele sul popolo di Palestina che, a prestare fede a Rudolf Steiner (Il Vangelo di Matteo), gli Ebrei sono stati il primo popolo nel quale si sviluppò il cervello come strumento del pensare, la prima etnia nella quale l’intelligenza rappresentò – oltre al cuore – una via attraverso la quale il Divino potesse discendere nel­l’interiorità umana ed esprimersi come elemento morale. Questo dono del pensiero come facoltà di coscienza spirituale venne fatto per la prima volta ad Abramo, e quindi fu trasmesso al “seme di Abramo”, cioè ai patriarchi, e dopo questi ai profeti.

L’ultimo dei profeti dell’antico Israele, secondo il cristianesimo, fu Giovanni il Battista: nelle sue parole e nella sua missione riemerge tutto il valore dell’antico profetismo, il nucleo stesso dell’ispirazione michaelita veicolata dall’organo fisico del pensiero. L’invito di Giovanni a «mutare pensiero», l’esperienza offerta dal battesimo nelle acque del Giordano, il ritorno alla vita nel deserto, come avevano fatto gli Esseni di Qumrân, sono le caratteristiche michaelite del messaggio del Battista, che si identifica tutto con quel battesimo di acqua, con quel rito di purificazione che è il passo ineludibile che introduce al battesimo di fuoco (Mt 3, 11), al battesimo pentecostale donato dal Cristo. Il messaggio di Giovanni sorge da una profonda ispirazione michaelita, che da allora fa parte integrante della missione del Cristo, anzi ne è momento essenziale, che si offre a chiunque intraprenda con intensità di pensiero e di fede il cammino verso la comprensione interiore dell’azione del Cristo sulla Terra.

Diversamente dagli Esseni, che ammettevano al bagno rituale solo quanti avevano seguito il noviziato di un anno, Giovanni ammetteva tutti: sotto questo aspetto, Giovanni è una specie di cristiano ante litteram. Come il Cristo, Giovanni si rivolge a tutte le genti (alle «folle», scrive Luca,

3, 7-10), ai pubblicani, ai soldati romani, alle prostitute, ai Cananei e ai Samaritani, o in senso lato al «popolo della terra», che non osservava le pratiche religiose, specialmente in Galilea, senza distinzione di censo e di razza.

Cosí facendo, Giovanni si distacca dall’Io del popolo ebraico e anticipa “nella solitudine” (en tê eremô) la futura via dell’Io individuale, donata all’uomo dal Cristo.

 

Ma chi era Giovanni?

 

Elia e il carro di fuoco

Elia e il carro di fuoco

Di lui i Vangeli di Matteo e Marco narrano meraviglie, nel senso che lo presentano come Elia ritornato in vita. Secondo una profezia biblica di Malachia (3, 23), Dio infatti aveva annunciato: «Io vi manderò il profeta Elia prima del grande giorno del Signore». Secondo questa profezia poco prima che il Messia discenda sulla Terra verrà il profeta Elia ad annunciarlo. Il Cristo, in diversi luoghi di Matteo e Marco, conferma che Giovanni Battista non è altri che Elia ritornato in Terra: Mt 11,14: «Giovanni …è quell’Elia che deve venire»; Mt 17, 12: «Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi l’hanno trattato come hanno voluto …Allora i discepoli compresero che Egli parlava di Giovanni il Battista» (Mc 9,13). I Vangeli di Luca e Giovanni non segnalano invece l’identità fra Elia e Giovanni.

Il caso di Elia-Giovanni è l’unico caso di reincarnazione ammesso dalla tradizione neotestamentaria. Del resto, il principio della reincarnazione non era certo estraneo all’ebraismo mistico, tant’è che lo si ritrova chiaramente formulato nelle correnti esoteriche medievali, ovvero nella Qabbalah catalana e provenzale, dove veniva chiamata trasmigrazione delle anime o ghilgúl.

Non è un caso che Giovanni battezzi al di là del Giordano: in questo posto Elia era stato rapito da Dio. Vi è di piú: Giovanni si presenta perfino vestito come Elia, di cui si legge che «era un uomo peloso, una cintura di cuoio gli cingeva i fianchi» (2 Re 1, 8 – L’idea che il profeta rivesta un mantello di pelo ritorna in Zc 13, 4). Non diversamente Matteo (3, 4-6) scrive: «Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano carrube e miele selvatico». Era legittimo attendersi il ritorno di Elia là dove era stato assunto in cielo.

Gli storici rilevano addirittura altre caratteristiche: Giovanni sarebbe stato perseguitato da Erode Antipa ed Erodiade come già il profeta Elia fu perseguitato dal re Achab e da Jezabel, che tentò persino di ucciderlo (1 Re 19, 2).

 

Qual è la funzione di Elia-Giovanni?

 

Non sappiamo quale fosse secondo l’Antico Testamento la missione eterna di Elia; lo sappiamo però dalla mistica ebraica medievale, che attribuisce un grande ruolo al profeta rapito su un carro di fuoco. Nella Qabbalah ebraica il ruolo del profeta Elia è molto importante, in quanto egli funge da angelo custode dei mistici ebrei, da guardiano dell’ideale di pietà ebraica, il guardiano che ritornerà al tempo del Messia e il garante della tradizione. Nello Zohar, Elia è visto come il messaggero per antonomasia, quasi come un angelo che assume di tanto in tanto la forma umana per rivelare i segreti relativi alla fine dei tempi o per trasmettere insegnamenti mistici uditi nell’Accademia celeste (yešivah). Non dimentichiamo che anche secondo la tradizione cristiana ortodossa Giovanni è assimilato a un angelo e dipinto sulle icone con poderose ali; Giovanni venne dipinto sotto queste sembianze perché il profeta Malachia aveva detto nell’annunciare Elia: «Ecco io manderò mal’akí [il mio messaggero o il mio angelo] a preparare la via davanti a me e subito verrà nel suo tempio il Signore che voi cercate e l’angelo del patto che desiderate, ecco, viene, dice il Signore delle schiere» (Ml 3, 1).

Il mistico ebreo che beneficia della “rivelazione di Elia” (gilluy ‘Eliyahu) vive un’esperienza di risveglio interiore, che viene a sostituire l’esperienza biblica della profezia e quella talmudica della “voce celeste” (bat qol), la forma di ascolto spirituale che si era sostituita alla profezia. I grandi qabbalisti ricevettero “la rivelazione di Elia”: Šim’ on bar Yoha’y, ‘Abraham ben David de Posquières (1120-1197), Yishaq Luria, il Baal Šem Tov.

Anche il Cristo aveva avuto la “rivelazione di Elia”. Scrive infatti Rudolf Steiner nel Quinto Vangelo (conf. IV) che Gesú «vide sparire la persona fisica di Giovanni Battista e apparire Elia».

Anche l’ebraismo tradizionale conserva attualmente memoria della funzione di Elia. Il profeta Elia porta i messaggi divini di generazione in generazione, si rivela in visione e talvolta compare sotto forma umana. Elia è la figura invisibile che presenzia a ogni circoncisione, dunque a ogni battesimo, la figura che introduce il neonato all’interno del popolo ebraico, ma è anche la figura che alla fine dei tempi concilierà le piú diverse opinioni, le concezioni discordanti. Quando due Ebrei rivelano posizioni contrastanti, dicono ancora oggi: «Questo dissidio lo risolverà Elia».

Bellini Giovanni Battista

Giovanni Bellini «Testa di Giovanni Battista»

A distanza di secoli dalle intuizioni e dalle visioni dei qabbalisti medievali, Rudolf Steiner conferma questa straordinaria prospettiva spirituale nel commento al Vangelo di Marco: «In Elia ci si presenta lo spirito di tutto l’antico popolo ebraico. Tutto ciò che si agita e vive nel­l’intero popolo ebraico antico è contenuto nello spirito di Elia. Possiamo parlare di lui come dello spirito del popolo ebraico. …E si potrebbe dire: il modo migliore per apprendere ciò che opera nello spirito di Elia è di fare agire in sé il salmo 104, ossia tutta la descrizione di Yahwèh come divinità della natura che opera attraverso ogni cosa. Elia non va identificato con questa stessa divinità; egli è l’immagine terrena di questa divinità ed è nel contempo anche l’anima dell’antico popolo ebraico …Elia rappresenta lo spirito del popolo ebraico, lo spirito del popolo dell’Antico Testamento. In un certo modo esso era già lo spirito dell’Io; in Elia però non si presentava come lo Spirito del­l’uomo singolo, bensí come lo spirito del popolo intero. …Ciò che piú tardi avrebbe dimorato in ogni singolo uomo, in Elia era ancora in un certo modo l’anima di gruppo dell’antico popolo ebraico».

Rudolf Steiner continua, dicendo nel Vangelo di Marco (Conf. VI – O.O. N° 123): «Nel momento in cui Giovanni fu fatto prigioniero e decapitato per ordine di Erode Antipa, che cosa avviene di quest’anima? Si libera, lascia il corpo fisico, ma continua ad agire sotto forma di aura, di atmosfera spirituale; nel campo di quest’aura penetra il Cristo Gesú. Ma dove si trova allora l’anima di Elia, l’anima di Giovanni Battista? Il Vangelo di Marco lo dice chiaramente. Quest’anima diventa l’anima di gruppo dei dodici apostoli e continua a vivere in tutti noi».

Difatti dopo la moltiplicazione dei pani – un miracolo compiuto sulla scia di Elia, il quale lo aveva già compiuto – il Cristo pensa, secondo Steiner: «Lo spirito di Elia è ora libero e vive in voi …e voi dovete porre la vostra intelligenza al diapason di quest’anima» (conf. VI).

 

Elia-Giovanni nella storia del cristianesimo

 

L’entità di Elia-Giovanni acquisisce un ruolo ancora piú singolare. Originariamente ci doveva essere una tradizione autonoma dei seguaci di Giovanni sia perché la cerchia dei seguaci del Battista era maggiore di quella di Gesú, come attestano gli Atti (18, 24-28), sia perché di nessun discepolo o apostolo c’è cosí dovizia di particolari quanto alla nascita come per Giovanni. In seguito a questa originaria tradizione, il culto di Giovanni Battista si diffuse molto nel Medioevo tanto da venire subito dopo quello del Cristo e della Madonna, almeno fino alla vigilia della Controriforma tridentina, che limitò questo grande culto del Battista.

Giovanni era l’unico santo di cui si celebrasse la nascita nel cosiddetto Natale d’estate, mentre la tradizione commemora i santi nella ricorrenza del giorno della morte, visto come momento della loro vera nascita in cielo.

Ma c’è di piú: la nascita del Battista viene commemorata sei mesi prima di Natale: sono date importanti del calendario astronomico, perché la Natività di Giovanni cade pochi giorni dopo il solstizio d’estate, mentre il Natale cade pochi giorni dopo il solstizio d’inverno. Dal solstizio d’estate il Sole comincia a declinare prima e le giornate iniziano lentamente ad accorciarsi, mentre dopo il solstizio d’inverno le giornate cominciano ad allungarsi. Il simbolismo di questo duplice moto del Sole nel corso dell’anno è stato ritrovato dal cristianesimo nelle emblematiche parole del Battista: «Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3, 30).

Il cristianesimo ha visto in Giovanni Battista il precursore del Sole spirituale: ha simboleggiato in lui l’umanità precristiana, la Legge e i Profeti, e cosí è raffigurato nelle icone russe che raffigurano la Deesis. Questo precursore del Sole spirituale ogni anno gradualmente decresce finché non giunge la Natività che dà al corso dell’anno il segnale della risalita. Giovanni è l’uomo antico, rivestito di un abito peloso, mentre Gesú è l’uomo nuovo (in senso paolino) che rinasce nudo dalle acque, come insegnano le icone russe.

Fuoco di San Giovanni

I fuochi di San Giovanni

In vista di questo scemare della luce solare dopo il solstizio estivo, i popoli europei dalla Scandinavia alla Grecia, a partire dall’alto Medioevo, festeggiarono la nascita di San Giovanni Battista con i fuochi della vigilia di mezz’estate, riprendendo un antico uso pagano. I giovani facevano festa per i campi, cantavano e ballavano attorno ai falò accesi alla vigilia sulle colline o nei crocicchi e saltavano sulle fiamme; facevano rotolare delle ruote, indubbio simbolo solare. Questo rito assai diffuso nel folclore europeo era considerato benaugurante: chi vi partecipava avrebbe avuto buone messi e perfino la guarigione della propria famiglia e del proprio bestiame. Addirittura in Svezia la notte di Sankt Hans era la piú gioiosa dell’anno.

Questa antica tradizione, che univa inconsapevolmente sul piano del folclore il microcosmo con il macrocosmo, veniva invece vissuta a livello di consapevolezza nelle confraternite dei costruttori medievali, che riunivano “i liberi scultori della pietra”.

Loggia massonica Heredom di Cagliari

Loggia massonica Heredom di Cagliari «I due San Giovanni»

Queste confraternite muratorie medievali – i lontani antenati della massoneria – avevano come patroni Giovanni Battista e Giovanni Evangelista per un pre­ciso simbolismo solare: il 27 dicembre, giorno di san Giovanni Evangelista, detto “San Giovanni d’inverno”, esse festeggiavano la nascita del Sole spirituale dopo la notte invernale, mentre il 24 giugno festeggiavano il suo apogeo, la sua pienezza, la sua massima radiosità.

Ancora nel 1525 i costruttori si riu­nirono a convegno, sotto l’egida del vescovo di Colonia, Hermann, per riaffermare la fedeltà della confraternita a San Giovanni Battista, conservando gli antichi tre gradi di apprendista, compagno e maestro. Da allora la mas­soneria conserva la celebrazione di queste due date.

Tutti noi oggi viviamo annualmente il ciclo giovanneo che nel calendario ecclesiastico decorre fra Pentecoste e San Michele: questo ciclo va dal 24 giugno, natività di Giovanni Battista, al 29 agosto, data del suo martirio o decollazione: è un ciclo che prepara segretamente l’anima umana all’atmosfera michaelita. Grazie a questo suo ruolo legato ai ritmi astronomici, la figura di Elia-Giovanni ci appare come rivestita di un’eterna missione spirituale: Elia-Giovanni è l’entità celeste che introduce per primo al mistero di Michele, l’arcangelo solare del Cristo, che apre le porte dello Spirito, che dischiude la visione delle grandi verità spirituali. Noi viviamo a Natale il principio rosicruciano Ex Deo nascimur, a Pasqua riviviamo il principio In Christo morimur, infine a Pentecoste ci immergiamo nel terzo principio, Per Spiritum Sanctum reviviscimus. Dopo che lo Spirito Santo si è effuso in ciascuno di noi attraverso l’azione della Pentecoste, siamo chiamati a contemplare il mondo divino-spirituale, le verità incarnate dalle Gerarchie: siamo chiamati a distaccarci dalle cose materiali, a mutare pensiero, per dedicare i nostri pensieri ai grandi archetipi, alle regioni celesti in cui dimorava da sempre il Logos, prima di incarnarsi nel corpo di Gesú grazie al battesimo del Giordano.

Scrive Mt 3, 16: «Ed ecco, si aprirono i cieli e [Gesú] vide lo Spirito di Dio scendere come colomba». Giovanni Battista è il primo custode di quei cieli che si aprirono agli occhi di Gesú e che ogni anno si aprono per l’anima umana quando tra Pentecoste e San Michele essa segue la sua vocazione giovannea a contemplare l’universo spirituale.

Per svolgere la sua missione Giovanni Battista si era trasferito a Oriente, verso il sole che sorge: se n’era andato sulla riva orientale del Giordano, ad ‘Ain Karem, una fertile oasi con pini, 

cipressi e ulivi, situata al di fuori della stessa Terra promessa: Giovanni predica e battezza a Oriente di Israele. Dietro questi fatti si avverte la presenza di un potente archetipo spirituale: il mistero della direzione Oriente-Occidente. Ogni volta che l’uomo va verso Oriente si dirige verso il mondo della contemplazione, alla ricerca delle forze prenatali, verso la dimensione spirituale che esorbita dalla materia; si pensi solo allo sviluppo storico-geografico del buddhismo che è avvenuto tutto verso Oriente, dall’India al Tibet, alla Cina e al Giappone. Per contrasto, ogni volta che l’uomo si dirige da Oriente a Occidente, va alla ricerca delle forze dell’azione spirituale, che lo sostengono nel portare lo Spirito nella materia, va alla ricerca delle forze del post mortem; il cristianesimo si è infatti evoluto da Oriente a Occidente: dalle coste della Palestina alle estreme coste dell’Irlanda dove, secondo la leggenda arturiana approdò il calice del Graal. Il Buddha è andato verso Oriente, il Cristo verso Occidente. Anche l’apostolo Paolo, andando verso Oriente, verso Damasco, ebbe la grande visione del Cristo eterico, ma poi viaggiò per tutto l’Occidente allora conosciuto per portare il Cristo nella storia.

Giovanni Battista è stato secondo la nostra tradizione il precursore dei viaggiatori spirituali verso l’Oriente: si trasferí dalla Galilea alla Perea per rivivere le forze archetipiche della contemplazione, per farsi mediatore di quelle forze celesti che sono per antonomasia le forze buddhiche. Ecco perché Rudolf Steiner sostiene che «la predicazione di Giovanni Battista è una rinascita della predicazione del Buddha. …Le parole pronunciate da Giovani erano ispirate dal Buddha» (R. Steiner, Il Vangelo di Luca – O.O. N° 114).

Oggi l’umanità sarà chiamata a riscoprire la personalità celeste di Giovanni Battista vedendo in lui l’entità che presiede alla nostra vocazione verso lo Spirito, ma proprio in nome di questa comune vocazione spirituale degli uomini – degli uomini che si sono liberati degli orpelli dei dogmi e sono approdati al deserto, alla solitudine dei cuori – l’entità di Giovanni è destinata a essere il simbolo dell’autentico dialogo fra le religioni, fra Oriente e Occidente, fra la tradizione giudeo-cristiana e la tradizione contemplativa orientale. Giustamente il teologo cattolico Romano Guardini sosteneva che due religioni resteranno alla fine della storia: il buddhismo e il cristianesimo.

Questa dimensione metastorica del Battista fu già intravista dal Vangelo di Giovanni (1, 6-8) che fece di lui non tanto il profeta quanto il primo testimone del Cristo.

 

Carl Heinrich Bloch La resurrezione di Lazzaro

Carl Heinrich Bloch La resurrezione di Lazzaro

 

«Vi fu un uomo mandato da Dio,

il suo nome era Giovanni.

Egli venne qual testimone

al fine di rendere testimonianza alla luce

e perché tutti credessero per mezzo di lui.

Non era egli la luce,

ma era per rendere testimonianza alla luce».

 

Da vero testimone, l’entità di Elia-Giovanni non abbandona mai l’umanità: è sempre con noi: è “l’ami­co dello sposo”, come scrive l’evangelista Giovanni, l’intimo testimone dell’amore di Cristo per gli uomini.

Come Elia cede i due terzi del suo Spirito a Eliseo, cosí il Battista cede il suo Spirito a Lazzaro-Giovanni.

Anche il Cristo si reca sulla riva orientale del Giordano, dove Giovanni Battista battezzava, poco prima di andare a Betania per resuscitare Lazzaro (Gv 10, 40-42).

 

Gabriele Burrini  (4. continua)