L'impensabile forza del pensiero

Socialità

L'impensabile forza del pensiero

È possibile che esista, accanto al DNA biogenetico, per cui ereditiamo dai nostri antenati i tratti fisici e finanche caratteriali, grazie a un misterioso imprinting cromosomico, anche la possibilità che i luoghi conservino, per occulta simbiosi e incredibile osmosi, gli umori psicofisici di chi li ha abitati, conformati, adeguandoli alle necessità di essere e vivere in un certo qual modo, in perfetta autonomia. Visitando Roma, il forestiero, turista o pellegrino che sia, disponendo di un medio bagaglio culturale, giocando con rimandi e citazioni mnemoniche, potrà rendersi conto, dopo una sommaria presa di contatto con luoghi e abitanti, come gli umori degli antichi quiriti, passati per travaso cellulare ai nuovi romani, abbiano solo superficialmente improntato le anime e i modi del postulato principe del cristianesimo: “ama il prossimo tuo come te stesso”, dando la preferenza al carpe diem epicureo per i gaudenti, e al dettato stoico sustine et abstine per il vasto novero di disoccupati, tartassati e sfrattati. I disperati, a reddito nullo, rapinano i caffè dei cinesi nel modo gladiatorio mors tua vita mea: a Cinecittà, zona Togliatti, ai primi di novembre, un anziano e maldestro bandito della mala romana ha pagato con la vita una tentata rapina. Anche i cinesi all’uopo sono gladiatori e praticano la cruenta mors tua vita mea in versione karate.

Traffico romanoRimane la città eterna eternamente stravolta dal ludus magnus della guerra spicciola, episodica, occasionale, tra persone che neppure si conoscono, in quel moderno circo gladiatorio che sono le strade, dove secutores, reziari, mirmilloni e bestiari, protetti dalle corazze di suv, furgoni, bus e snodati, incalzano i pedoni, gli andabati, che duellavano nell’arena indossando un “elmo ottuso”, ossia privo di fori per gli occhi. Cosí conciato, il soggetto combatteva alla cieca, e se pur valoroso e attaccato alla vita, diventava vittima del primo autista distratto o indisciplinato… pardon: dell’avversario gladiatore con gladio e bipenne o rete e tridente.

Strano, come certi nomi superino i secoli e si ripresentino, con mutata valenza d’uso, nel presente ipertecnologico. La “rete” attiva gli smartphone, prima causa di distrazione per gli automobilisti, e quindi di incidenti, mentre il nome “tridente” è stato dato alle tre strade – Corso, Babuino e Ripetta – in cui si svolge il maggior volume di traffico della Roma che conta, nel doppio senso di status symbol e di maneggio del denaro, ma dove chi vi transita, cammina e sosta, si snerva e si logora, per cui piú che centro storico diviene centro stoico.

Questo gran daffare, consumistico piú che produttivo, riduce la capitale a una tana di castori, i roditori che costruiscono dighe; intorno al buco che ospita il loro nevrotico fervore, i residui ingombranti dei materiali usati per lo sbarramento del fiume; nel caso di Roma gli sfasci degli autoveicoli usurati, le aree di smaltimento dei rifiuti ingombranti, come gli elettrodomestici e gli apparati elettronici dismessi: un anello che corre parallelo al Grande Raccordo Anulare e lo tempesta dei sinistri castoni di ferraglia rugginosa, plastica e fòrmica.

Il mea culpa per tutto ciò non lo fa nessuno. Dai costruttori di automobili e frigo, di tv e poltrone motorizzate, di docce e montascale, fino agli utenti degli stessi, nessuno chiede venia per lo sconcio. Ci si accorda d’istinto, tacitamente, per individuare un responsabile e metterlo alla gogna, caricarlo di tutti i mali che affliggono la comunità e giustiziarlo sulla pubblica piazza dei media. Con l’occasione, gli si accollano anche i rifiuti, le buche stradali, le trombe d’aria e le bombe d’acqua, e cosí il teocalli sacrificale è bell’e pronto per immolarci la vittima di turno, meglio se donna e inerme. Gongolano i petrolieri, i mazzettari, i faccendieri, i venditori di caldarroste e gli spacciatori di neve.

Spelacchio

Spelacchio

Intanto, visto che è Natale, si regala alla vittima uno spelacchio trentino, a mo’ di scherzo.

Il discredito del personaggio pub­blico con sabotaggi e calunnie non solo ne mina l’autorità ma danneggia, secondo Marco Aurelio, tutta la società che lo esprime, dandone per scontata la parità morale: «Se i marinai dicessero male di chi governa la nave, o i pazienti del loro medico, penserebbero essi ad altri? O come potrebbero salvare l’equipaggio il primo e guarire i malati il secondo?». Il cittadino di un governo iniquo e incapace nella gestione dei pubblici affari non dà alcuna garanzia che anche i prodotti delle sue attività nel campo alimentare, artigianale o industriale non siano altrettanto iniqui. Ecco allora il parmigiano, il gorgonzola, l’olio d’oliva e il Lacrima Christi ingaggiare duelli con i falsi omologhi USA e cinesi. Il gorgonzola, si apprende dai media, ha di recente riportato una vittoria per l’esclusiva di autenticità sui vari imitatori del mondo. Vittoria di Pirro? I caciari nostrani vigilano. Quelli sardi piú degli altri e in una annosa questione, non di lana caprina, sono riusciti a dimostrare che il rinomato, piú che aulente pecorino romano, sarebbe un prodotto originario della casearia sarda.

Sophia Loren "La ciociara"

Sophia Loren  “La ciociara”

Roma scivola sempre piú in una condizione di anomia proprio per mancanza di etica nella lotta politica. Le parti in causa si debilitano nel demonizzare l’avversario piú che nell’esibire le corone d’alloro dei propri trionfi amministrativi. Male questo assunto per contagio dalla realtà sociopolitica nazionale, piú disposta alla zuffa ideologica che alla comunanza di intenti e di azioni costruttive. L’anno prossimo saranno 150 anni dalla presa di Roma, il 20 settembre del 1870. Che l’essere stata eletta capitale del Regno, non ancora nazione unitaria sia stato un onore esaltante e remunerativo, molto ricorda il “troppo onore” tributato dalle truppe alleate alle donne di Ciociaria e a quelle di Normandia, Bretagna e Picardia da parte dei marines del D-Day. Molti nemici, molto onore.

Cesare diceva che era meglio essere il primo in un villaggio della Gallia che il secondo a Roma, e se lo pressavano perché assumesse l’imperio dell’Urbe, poneva come condizione sine qua non il comando di una legione apposta per il controllo della città intramoenia. Considerando che la legione tipo, tra princeps, milites, hastati ed equites contava diecimila uomini in armi e valutando il populus, gli abitanti dell’Urbe, circa centomila tra cittadini, provinciali e burini, Cesare assegnava un milite armato di gladio e clipeo a ogni cittadino, per proteggerlo e allo stesso tempo per controllarlo.

Contando ormai Roma, solo in termini statistici, non reali, tre milioni di abitanti, già per controllare e tutelare questi non basterebbero tutte le legioni di cui disponeva l’Urbe per gestire il suo impero. Cesare rifiutò la corona regale tre volte, ai Lupercali del 44 a.C., ma non per timore di non farcela a gestire la città e l’impero. A Roma era già arrivata Cleopatra con Cesarione. Che fosse il riposo del guerriero, o il miraggio di un regno che nei fasci littori al lauro e alla quercia avrebbe intrecciato la palma del Nilo?

Vincenzo Camuccini «Morte di Cesare»

Vincenzo Camuccini «Morte di Cesare»

Ma lo scettro regale non si addiceva a chi aveva impugnato la spada per troppi anni. Vissuto col ferro, del ferro di congiurati perí, alle Idi di marzo, un mese dopo il gran rifiuto della corona di re. Bruto e Cassio erano repubblicani, un’anteprima della democrazia, una forma di sistema sociale che prevedeva, come la parola lasciava intendere, la partecipazione del popolo, il demos, al governo della cosa pubblica. Immaginate: Pericle e soci che aprono le porte dell’areopago all’irsuto popolano della Beozia e gli affidano il governo della flotta o la presidenza dell’Accademia del Portico, dove i massimi intelletti greci speculavano di etica, filosofia e scienze varie…

Nasceva tuttavia, con l’uso arbitrario e allargato del termine democrazia, una delle ipocrisie piú tenaci che mente umana abbia elaborato. e dannose, considerando che, ritenendola una panacea di tutti i mali che affliggono l’uomo, molti si sono immolati per difenderla, facendo proprio il motto “libertà, uguaglianza e fraternità” che a ben altri valori etici e morali si ispira.

La filosofia se n’è occupata nel corso dei secoli fino a concluderla nell’Illuminismo, che stranamente, per assonanza semantica, suona come illusionismo. Non la religione merita la qualifica di oppio dei popoli, bensí la democrazia, nelle sue varie forme ideali ed etiche e le sue declinazioni pragmatiche.

Questi, gli idealisti platonici, ma già al tempo dell’autore del Timeo e de La Repubblica, i vari Marchesi del Grillo ellenici, misero le mani avanti e in un outing impietoso, socratico, enunciarono lo stato delle cose e degli individui: il primo discrimine nel collocarli in alto, in basso o nel mezzo della scala sociale lo operava la natura, per cui Pericle era Pericle, Talete era Talete. Tutti gli altri, il gregge.

Non era bieco razzismo ma crudo realismo, che i Greci, misurati e obiettivi nella morale, non ravvisarono alcunché di intervento divino nella divisione psicogenetica ma solo in base al QI, che allora era dote del genio individuale, l’“a chi tocca tocca”, una roulette genetica e non frutto del karma pregresso come gli indú, che addirittura ne avevano stabilito una scala valori, dai bramini ai dalit, i paria, gli intoccabili, imitati secoli dopo dai calvinisti che parlando di favor dei assegnavano il governo dello stato sociale, ossia il meglio ai migliori – dal dentista indolore al coiffeur d’alto bordo – al giudizio inquestionabile e irrevocabile dell’Eterno. In nessuna di queste forme esclusive di vita c’entravano i vari Giove o Apollo, Venere o Giunone. Tutto dipendeva invece dall’eteria, ovvero l’aristocrazia dei migliori, perciò avevano suddiviso la società greca secondo l’eteria di appartenenza:

– Naturale genetica: i piú forti e i piú furbi emergono, si impongono, si coalizzano per farsi servire dai meno dotati, usandoli come schiavi o coatti da sacrificare in scontri col nemico.

– Sacerdotale, sciamanica: i piú deboli fisicamente ma con quoziente cerebrale maggiore si coalizzano e si fanno mediatori tra i dominanti genetici e una divinità onnipotente. Unzione divina tramite epifanie, rivelazioni, contatti del terzo tipo, vedi Mosè.

– Aristocrazia genetica e ordine sacerdotale: si alleano e stabiliscono mezzi e modi per farne parte. Nascono il profeta e l’eroe. Gli altri vivono per essere trattati per uso e abuso dai piú determinati.

– Aristocrazia intellettuale: cova l’esteta, l’iniziato ai misteri mediatici e accademici, l’esegeta, il guru dei massimi sistemi.

Queste forme di potere particolare e settario nell’ambito collettivo generico operano la spoliazione dei diritti del singolo individuo e degli aggregati di individualità volti ad attività e scopi indipendenti.

Rivoluzione

Rivoluzione

Col tempo, l’inibizione della libertà e la privazione dei diritti toccano un picco d’intollerabilità cui i danneggiati e gli esclusi reagiscono nei modi piú disparati, spesso commettendo abusi e soprusi che nelle forme piú estreme, come la rivoluzione e il terrorismo omicida, hanno in molti casi dimostrato.

L’alibi piú comune addotto dalle eterie prevaricanti è: «Ma c’è la democrazia, siamo tutti liberi di agire in ogni campo. Perché non lo fai anche tu? Forse perché sei un incapace, un disadattato e non ti dai a fare per paura o carenza di iniziativa e talento».

Qualora poi la spoliazione diventasse insopportabile persino a un nerd defatigato, il gruppo di persone formante l’eteria messa sotto accusa creerebbe una legge ad hoc per legalizzare le proprie malversazioni, glorificandone persino la morale. E se non bastasse la legge su misura, ecco l’eteria rimediare un Masaniello, un Cola di Rienzo, un Grillo, una Virginia, tribuni di risulta, vittime sacrificali, per disinnescare il furor populi indirizzando la massa verso vie d’uscita solo apparenti.

Il furore degli inermi, degli esclusi, dei deboli, di chi rovista nei cassonetti, non può neanche venir esorcizzato dal feticcio sciamanico delle elezioni. Le cose vanno male? Si vada alle urne! E già la parola “urna” la dice cupa e dura sull’esito dell’ennesima consultazione elettorale, che sia indetta per salvare il governo o giubilarlo, se riconfermare sindaca la Raggi o abbandonarla al pugnale di un Appio Claudio prodotto dalle varie consorterie palazzinare, caldarrostare e porchettare cui s’è ormai ridotta l’eteria de’ noantri, intrecciante furlane, rigodoni e tarantelle sui “testacci” di Malagrotta.

Roma, specchio del mondo, si salva con la virtú secondo Seneca, con il pensiero e la conoscenza del karma secondo Scaligero: «La conquista della libertà è una conquista del pensiero: senza una tale conquista, la prigionia dell’uomo continua a proiettarsi in un destino il cui svolgimento sembra giungere dall’esterno, onde egli privo di pensiero crede di dover cambiare qualcosa all’esterno, mentre in realtà all’esterno si proietta ciò che è richiesto all’interno dal karma e che solo il pensiero libero può incontrare in sé e conoscere. Se tale pensiero è alienato e manca persino di consapevolezza della propria alienazione, ad opera di codificatori che appaiono pensatori, l’uomo contraddice il karma, usa negativamente la propria libertà, aggrava il karma. Il pericolo è che al punto di rottura del limite, le difficoltà siano tali che l’uomo debba, per ricominciare daccapo, perdere tutto: ricominciare dal problema del vitto e della illuminazione. Lo vedranno coloro che oggi si ribellano perché hanno poco e a cui sarà tolto anche quello che ritengono poco. La conoscenza del karma è decisiva alla restituzione dell’orientamento dell’uomo: l’uomo che sappia che non v’è difficoltà che egli sopporti, di cui debba accusare altri, perché questa difficoltà riguarda lui, essendosela egli preparata con le proprie mani per la propria integrazione, cessa di odiare, cessa di accusare: è salvo, perché da quel momento comincia per lui la comprensione delle proprie difficoltà. Egli comincia a essere una forza viva della corrente sociale» (M. Scaligero, Lotte di classe e karma – Tilopa, Roma 1970).

L’eteria ignora la forza impensabile del pensiero, questo è il suo limite. Abituata a dominare le masse con la forza del denaro o usando la repressione, entrambi strumenti materiali, non si aspetta che il “sustine et abstine”, la sopportazione e la privazione dello stoico, cui le masse non per loro scelta devono ricorrere per ritagliarsi una fetta di vita, generi nei vessati l’elaborazione di forze reattive alla lunga piú dirompenti di qualunque rivolta di piazza.

Forze che invece, se attivate non da rivalse materiali ma da una sana volontà di stabilire la legge del cuore, saranno in grado di sconfiggere l’ordine occulto dell’impero del male e ristabilire l’armonia sociale, prima nei singoli Paesi e poi via via nell’intero pianeta. E Pace in terra agli uomini di buona volontà!

 

Ovidio Tufelli