Introduzione alla lettura di Massimo Scaligero

Testimonianze

Introduzione alla lettura di Massimo Scaligero

Massimo Scaligero

Massimo Scaligero

Rinuncerò a dare di M. Scaligero un ricordo “personale”: ricordo che in ciascuno di coloro che l’hanno incontrato si è trasformato nella radicale consapevolezza dell’incontro con il proprio destino, nella sempre piú chiara coscienza dell’orientamento e dello sviluppo che la propria vita doveva prendere. Un ricordo personale di lui sarebbe sempre riferire sul proprio itinerario spirituale: a chiunque lo abbia seguito, infatti, egli si è presentato ed ha operato secondo le molteplici e a volte inconsapevoli richieste, provenienti dai recessi piú segreti dell’essere. Capacità autentica del Maestro di connettersi, nella misura e nei modi adatti, con il destino del discepolo, nel rispetto scrupoloso ed impersonale della sua libertà.

Eppure, rinuncerò a dire che M. Scaligero è stato un Maestro: perché lo è stato. La pienezza spirituale dei suoi pensieri ha edificato un ponte sulle sponde della vita e della contraddizione. Lasciamo dunque che sia egli a parlare di sé, mediante sé. Quasi tutti amano parlare di sé: ma questo sé non è che l’ego, un sé di superficie, labile, rapido nel trasformarsi per nascondersi, tutto teso a ingannare e ingannarsi, ma soprattutto deciso a non raggiungere il fondo della propria identità. Ma non è a questo sé che qui si allude; piuttosto a quel “parlare di sé” che unico può essere trasferito ad altri, che assume sempre veste impersonale, che ritrova i contenuti nel piú profondo della struttura corporea, animica e spirituale e che solo in tali profondità scopre la propria identità sovrasensibile.

È quel e “parlare di sé” che R. Steiner premette alle sue opere fondamentali, quando afferma: «L’Autore di questo libro non descrive nulla di cui non possa testimoniare per esperienza propria, per quella specie di esperienza che può esser fatta in questo campo. Perciò egli esporrà unicamente cose che, in questo senso, ha sperimentato lui stesso» (Teosofia, O.O. N° 9). Questo è il metodo della verità ed il metodo di M. Scaligero, il quale non vuole dare parole e concetti per l’intelletto, bensí vere conoscenze per la vita.

Quello che nei suoi libri colpisce è proprio la concretezza della sua esperienza: chi legge sente di percorrere il suo itinerario; non mi riferisco tanto ai suoi scritti esplicitamente autobiografici, ma piuttosto a quelli, e sono i piú, dove non accenna minimamente a sé come persona.

La concretezza è la chiave di lettura dci libri di M. Scaligero, la concretezza “vera”, quella diametralmente opposta all’astrazione intellettualistica che rimane astrazione anche quando veste i panni formalmente perfetti della logica scientifica. La concretezza come presenza di sé allo Spirito: coincidenza di intuizione e atto, esperienza dinamica della realtà che si svuota della propria concretezza per la concretezza dei veri pensieri.

A chi non si munisce di questa chiave di lettura della presente spinta al concreto interiore, l’approccio all’opera dello Scaligero diviene letteralmente impossibile, e diviene impossibile per l’incapacità a decifrare la sua “avventura” spirituale, le tappe del suo percorso verso il sovrasensibile: anche quando si crede penetrarle attraverso i dati autobiografici.

A questo proposito il confronto con l’opera di R. Steiner, di cui M. Scaligero si ritenne sempre fedele discepolo, è illuminante. Per certi aspetti l’approccio con l’opera dello Steiner può sembrare piú facile: il suo costante sforzo è stato quello di tradurre la descrizione della penetrazione del sovrasensibile, in un linguaggio accessibile al tipo umano il cui male endemico è l’intel­lettualismo. Cosí l’espressione dello Steiner risulta un sacrificio compiuto sul piano del linguaggio per aiutare il discepolo a superare la barriera della parola, della dialettica. Sacrificio, inoltre, motivato dalla necessità di non conchiudere l’esperienza sovrasensibile nella rigidità di un concetto troppo definito. Ma proprio questa scorrevolezza, questa limpidità di pensiero può trarre in inganno, avendo il lettore l’illusione della immediata comprensione, invero estremamente rara. I lettori dello Steiner rischiano di stazionare nell’anticamera della “vera” conoscenza.

La Logica contro l'uomo

 

M. Scaligero non consente sale d’attesa: o si entra decisamente o si rimane fuori del tutto. Scaligero non ha riguardi per il suo lettore e non concede gratificazioni. Il suo lettore non può che essere un lettore concreto, pronto a rimettere in questione tutto se stesso, a inventariare scrupolosamente tutte le sue forze, a valutarne l’esatta consistenza e decidere quindi della propria autonoma trasformazione. M. Scaligero non consente che il lettore si acquieti nel sapere: pretende che il conoscere sia soprattutto concreto, interiore operare.

Chi si accosta a M. Scaligero con intendimento intellettualistico, non procede e non può procedere nella lettura; trova il linguaggio faticoso, difficile, spinoso: si arresta dinanzi a una barriera rocciosa di cui non sa scalfire la materia e nella quale non trova entrata. Solo se la lettura si trasforma in agire, in profondo agire interiore, la roccia si fa cristallina, trasparente, luminosa. Quel che è richiesto è il pensare secondo essenzialità.

M. Scaligero non è un filosofo: per questi è sufficiente la coscienza ordinaria. È un pensatore: per questo invece è necessaria la dilatazione della coscienza ad opera di un pensiero depurato dai limiti del convenzionale. È estremamente arduo capire un pensatore: il filosofo vuole l’intelletto, il pensatore il saldo pensiero. Per questo i grandi pensatori sono inconosciuti alla loro epoca e non conosciuti per ciò che hanno veramente di grande: possono essere compresi solo se i lettori si trasformano in altrettanto potenti e solidi pensatori.

M. Scaligero rifugge le formule o le regole, ma pone il discepolo sull’unica strada possibile dopo l’avvento dell’Io nel sensibile: quella del pensiero, del pensiero puro, del pensiero libero dai sensi, e costella la strada di punti di riferimento che consentono a chi la percorre di sapere dove si trova. La difficoltà della lettura è la difficoltà radicale a pensare secondo il fondamento, oltre le rappresentazioni quantisticamente riflesse dal mondo e generalmente assunte come pensieri; la disciplina del leggere diventa cosí la disciplina del pensare.

M. Scaligero non ha scritto dei libri: ha scritto un unico libro in molteplici capitoli, e il centro di questo unico libro è anche il centro di tutti i suoi capitoli: il pensiero. Non si può aver capito solo qualche capitolo di quel libro: o lo si è compreso per intero o non lo si è compreso, perché lo strumento di lettura è unico e unico ne è l’oggetto: il pensiero. Oggetto e strumento nella loro identità: non nei prodotti del pensare, ma nel processo, nel movimento produttivo del pensare stesso.

L’invito alla concretezza è permanente in Scaligero. Si fa particolarmente intenso e insistente nei momenti essenziali del suo procedere: nel rapporto critico con i contenuti gnostico-sapienziali, nella verifica dcl processo interiore della percezione sensoria, nell’ineludibile rapporto corporeità-pensiero. In tali momenti l’invito è: partire dalla manifestazione per arrivare allo Spirito, mai viceversa. Lo Spirito è il concreto ed è nel concreto. In questo concreto bisogna trovarlo: non sono consentite fughe o astrazioni; l’invito è a inserirsi risolutamente nel­l’esperienza del sensibile, perché qui l’Io prende coscienza di se stesso; nella vera penetrazione del sensibile si ha la possibilità di verificare la potenza di creazione e di immagine del pensiero. Segreti dello spazio e del tempoLa potenza del sensibile, per essere conosciuta, necessita di altrettanta e maggiore potenza del pensiero. Questa è la vera norma morale che M. Scaligero ci consegna: norma priva di morbidezza di sentimentalismo, ma fonte di robusto amore: agire con il pensiero liberato. E il primo agire è quello immediato, concreto, quotidiano del processo sensorio: l’occasione per la liberazione del pensiero. Non una liberazione astratta e moralistica, ma reale e agíta sul reale.

Le descrizioni e le indagini di M. Scaligero sulla “percezione” ampliano notevolmente le descrizioni dello Steiner, ma esse sono comprensibili solo se sperimentate, se autonomamente e consapevolmente verificate: non può sorgere infatti autocoscienza alcuna – a meno di non accontentarsi di quei gusci vuoti che sono i concetti degli attuali filosofi – senza la propria autonoma verifica. Scaligero non chiede mai di essere creduto sulla parola: anche se la sua parola, come avvertiamo subito leggendolo, ha l’autorità necessaria per essere creduta. Egli pone sempre il problema nella sua vera attualità, in piena aderenza alla situazione del lettore; enuncia la soluzione, ma si sofferma soprattutto sulla via per giungervi: alla descrizione del percorso, agli ostacoli da affrontare, alle forze da coinvolgere, ai possibili errori ed alle possibili deviazioni, ai limiti e ai vincoli da superare, egli dedica la massima cura del suo insegnamento. Processo sensorio e pensiero liberato sono i termini fondamentali del suo insegnamento, dai quali è derivabile, per conseguente sviluppo interiore, l’intero percorso iniziatico. Essi sono d’altra parte il tema centrale di Filosofi a della libertà (O.O. N° 4) di R. Steiner. Su questo tema nessuno è andato in profondità quanto M. Scaligero: quello che lo Steiner non ha potuto dire – in attesa della maturazione dei tempi – è da lui stato detto.

Costante quindi in lui l’invito al discepolo di verificare le sue indicazioni: l’indagine del­l’atto percettivo non può che essere auto-esperienza. È un invito esplicito a camminare con le proprie gambe, ad avventurarsi con coraggio nell’esperienza di se stessi: esperienza globale che non lascia fuori nulla del nostro male e del nostro bene: dai processi fisiologici ai moti dell’Io in essi.

La persistente attenzione dello Scaligero ai  processi fisiologici, il costante richiamo al rapporto mondo fisico – sfera della coscienza – pensiero, costringe il lettore a non dirottare su strade che lo allontanino dal significato profondo e dal riconoscimento della funzione della corporeità. E questo infatti il punto concreto di partenza: il pensiero nel sensibile; la liberazione avviene solo rendendosi consapevoli dell’inerire del pensiero alla corporeità e nell’intuizione delle relative e sottili tecniche di scioglimento. Prescindendo da tale assunto, la liberazione del pensiero è una astrazione. Ma non si entra nella corporeità con l’ordinario pensiero razionale, astratto, morto: non pensiero, ma guscio del pensiero; disidentificando questo dal supporto neuro­cere­brale, il pensare è restituito alla luce della vita, il sistema nervoso risuonando secondo la legittimità del suo fine: «…La via rosicruciana insegna che l’anima deve sperimentare il mondo sensibile mediante il sistema nervoso, senza però lasciarsi afferrare dalle forze strumentali del sistema nervoso» (in M. Scaligero, Dallo Yoga alla Rosacroce – Tilopa, Roma 1972).

Dallo Yoga Alla RosacroceAl lettore di Scaligero non è consentito rifugiarsi in falsi paradisi o nelle forme raffinate del realismo ingenuo: egli è continuamente indotto a confrontarsi con il “vero” reale, partendo non dalla rappresentazione del sensibile, soggettiva e viziata dal caos pensare-sentire-volere, ma dal sensibile puro cosí come si manifesta originariamente all’immediatezza dei sensi.

«Soltanto ciò che è stato suscitato dal sensibile con moto cosciente può essere sperimentato, mediante volontà, come iniziale vita soprasensibile. Tale il senso della vicenda del­l’uomo sulla Terra. …Nell’esperienza del reale, l’Io muove secondo un primo nesso con l’alterità, ma questa è già tacitamente il concetto: l’immediato moto del pensiero che esige essere riconosciuto, anzi veduto» (op.cit.).

Questa è l’inusitata concretezza di fronte alla quale la Scienza dello Spirito ci pone: il concetto, l’immediato moto del pensiero, non può essere riconosciuto se non è veduto. L’inusitato si fa scandalo per i filosofi passivi, idealisti o realisti che siano; ma è l’inusitato che Scaligero esige dal suo lettore; vedere il concetto, perché solo questo vedere dà la garanzia di cominciare a sperimentare il pensiero, a vivere il pensiero. Non si realizza infatti qualcosa solo per il fatto di capirla: il pensiero è una forza primordiale che va esperita, destinata a spegnersi se la si vuole afferrare mediante la sola comprensione: «…Occorre liberarsi dall’idea che il capire sia l’azione fondamentale: è indubbiamente fondamentale; ma in quanto si attui come un superiore volere» (op.cit.). Il pensiero è dunque il vero noumeno, l’ante­cedente puro, per il quale non ha senso parlare della diversità formale soggettivo-oggettivo, essendo comunque questa già sua produzione. In quanto connaturato all’Io precede e contempla il mondo come spettatore non visto.

Il disegno di pensieri che impronta l’opera di M. Scaligero, è in realtà disegno di forze che deve essere seguito, come si è visto sopra, mediante continuità di volere e attenta dedizione piuttosto che ridotto in filosofemi ed esercitazioni dialettiche. Crediamo sia possibile ravvisare in questa una delle possibili chiavi di lettura di Scaligero, non dimenticando che l’autentica chiave universale da lui sempre sollecitata attraverso ogni pensiero in chi legge, è l’Io: l’ospite celato che fa di ogni uomo un uomo anche se in ogni momento tradito nell’oblio quotidiano. L’aver ricordato questo, l’averci restituito la nostra memoria, sarebbe già sufficiente per guardare a Massimo Scaligero come alla Guida interiore piú grande della nostra epoca.

 

Elio Uccelli 


Edizione Pro Loco Veroli, Novembre 1982.