Il valore magico della Parola

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Il valore magico della Parola

Resurrezione

 

 

Al fondo di questo problema dell’Alta Scolastica aleggiava il problema della cristologia, che essa non riusciva a risolvere: penetra il Cristo nel pensiero umano? Come può essere cristia­nizzato il pensiero umano? Come può il Cristo innalzare il pen­siero umano alla sfera ove esso possa congiungersi con quello che è puro contenuto spirituale della fede? …Il piú importante risultato dell’alta Scolastica è dunque un quesito, non è quello che esiste come contenuto della Scolastica stessa, è il quesito: come si può portare la cristologia nel pensiero umano? Come può essere cristianizzato il pensiero? Questo problema sus­siste storicamente dal 1274, data della morte di Tommaso d’Aquino. Fino a quel momento il filosofo medievale non poté giungere che alla soglia di quel problema. Ora esso si pone co­me intimo bisogno del cuore nella cultura spirituale europea.

 

(R. Steiner, La filosofia di Tommaso d’Aquino, Dornach 23 maggio 1920 – O.O. N° 74)




 

Pavel Florenskij e il CristoPavel Florenskij – Un tratto essenziale

 

Pavel Florenskij fu innanzitutto un mistico del pen­siero. La sua opera – la somma dei suoi pensieri – non sconfinò in una deriva misticheggiante bensí nel mar­tirio. Il martirio – aveva scritto – è il sangue che parla della verità. Pavel Florenskij fu dunque un martire del pensiero e come tale serví il Logos. E per quanto lo spiritualismo filosofico non sia la Scienza dello Spirito, con profonda devozione l’animo umano deve avvici­narsi a quelle chiare figure che pur non esperendo la vita del concetto, la intravidero e ne diedero testi­monianza: «Essa è appunto la luce di cui si è tutti assetati. E se ne ha sete viva da tutti, e se il suo bisogno è sentito come forse non è stato mai nella storia, vuol dire che l’apparir suo è vicino» (Donato Jaja, Ricerca speculativa, Teoria del conoscere, 1893).

 

Florenskij intuí la vita spirituale presente nel concetto ma non la realizzò se non nel grande olocausto che furono la sua vita e la sua morte. Poiché la legge del sacrificio è l’autentica legge del vivente (e l’immagine del sacrificio nulla ha a che vedere con il terrorismo suicida).

 

La coscienza dell’Io è stata storicamente preceduta da un sentimento dell’Io e da una sen­sazione dell’Io; stessa cosa potrebbe dirsi per la “luce nel pensiero”: essa si manifestò come sentimento, poi quale sensazione ed infine come coscienza o esperienza.

 

Sviluppare una coscienza dell’Io implica necessariamente un dinamismo conoscitivo: la co­scienza dell’Io si attua nella sua realizzazione, nel suo dinamismo; diversamente essa costitui­rebbe il pallido miraggio di una riflessione.

 

Rudolf Steiner «Slavo e Angelo»

Rudolf Steiner «Slavo e Angelo»

Pavel Florenskij non arrivò ad esperire direttamente lo spirito presente nel concetto ma sanò questa lacuna con la forza del suo stesso spirito e con la purezza della sua stessa fedeltà; fedeltà offerta fino all’effusione del sangue. Egli attraverso la sua opera e testimonianza immise la forza del Logos nell’orrendo vacuum che avrebbe afflitto lo spirito di un’epoca: la nostra.

 

Ed essere fedeli servitori di qualcosa che non si vede ma che si intuisce quale potenza viva nello spazio del cuore non sminuisce, anzi decuplica, il senso della fedeltà e dell’attesa.

 

Scrive infatti Massimo Scaligero: «Se si potesse indicare una qualità che riassuma tutte le virtú richieste al discepolo per la realizzazione della trascendenza del pensiero, si dovrebbe dire: la fedeltà. La fedeltà all’idea prima e perciò all’insegnamento, la fedeltà alla verità intuita, la fedeltà all’amore intuito, la fedeltà al proprio Maestro, la fedeltà alla direzione che ha indicato il giusto sentiero, la fedeltà alla propria tradizione interiore, la fedeltà all’essenza della fedeltà» (M. Scaligero, Iside-Sophia, la dea ignota – Edizioni Mediterranee, Roma).

 

Osservando la biografia di Florenskij potrebbe sfuggirne un tratto essenziale: la collisione della vicenda umana del Grande Russo con quelle forze di mineralizzazione, altrimenti dette ossificanti, che lui studiò da scienziato e trasformò da uomo di Spirito.

 

 

La mineralizzazione dei processi di pensiero – La finta connessività – Uomini senza Io

 

La mineralizzazione operante nei processi di pensiero – ed il suo speculare fosforico – operano nel danno alla connessività dei pensieri (in cui la materia non può essere congiunta alla sua matrice) e nella creazione di un nuovo tipo di connessione agente da gravi stati degenerativi con cui il pensiero diviene incapace di intuire, evocare e trattenere la forza dell’Io.

 

Per speculare fosforico s’intende quel rapporto inversamente proporzionale che s’invera durante la mineralizzazione. Piú il tessuto del pensiero si mineralizza, piú l’essere del pensiero si volati­lizza, allontanandosi irreversibilmente dall’organizzazione corporea.

 

Il tessuto del pensiero è il luogo in cui avvengono naturalmente processi di disidentificazione dell’essere del pensiero. Il tessuto del pensiero è la base di atterraggio e decollo per l’essere del pensiero. Esso può “atterrare”, acquisendo forme e personalità, oppure “decollare”, liberandosi dalle forme e ritornando essenza.

 

Quando la “pista di atterraggio” è troppo vischiosa o scivolosa, si parla di scarsità o eccesso di zolfo nella proteina (R. Steiner, Corso di pedagogia curativa. Quinta conferenza – O.O. N° 317).

 

Nei processi di mineralizzazione, di ossificazione, la “pista di atterraggio” si deteriora in modo irreparabile ed allora l’essere del pensiero, dopo aver tentato l’atterraggio, si allontana dall’orga­nizzazione fisica.

 

Gelo Fig. 1Gelo Fig. 2Nel comune pensa­re, nel pensare rifles­so, la connessività è mera capacità corre­lante. Attraverso l’au­toeducazione si colla­bora al processo di in­dividualizzazione della connessività: la connessività diviene fantoma di quel corpo autonomo che è la testa. Il tessuto del pensiero vivente, quindi, è la sostanza strutturante il fantoma: una sostanza eucaristica, pente­costale: il Logos adamantino.

 

La “connessività individualizzata” è in grado di entrare in comunione con questo elemento eucaristico: essa è l’uomo invisibile in noi.

 

Luca Signorelli «L’Anticristo»

Luca Signorelli «L’Anticristo»

La connessività del pensiero vivente diviene pura volontà e come tale si rende realmente operante entro la sostanza del mondo.

 

Gelo Fig. 3Attraverso il pensiero cadaverizzato agiscono forze dia­metralmente opposte a quelle del Logos adamantino. Il tes­suto del pensiero diviene come una sfera vuota: l’“esterno” si mineralizza divenendo coriaceo, mentre l’interno, a poco a poco, si svuota. La finta connessività agisce avviluppando il tessuto del pensiero (la cui esteriorità è già indurita e nel suo interno è dunque creata una cavità: un vuoto). L’essere del pensiero non può permeare tale involucro, che resta vuoto: pronto per essere abitato dall’antagonista del Logos.

 

Castello di RosaspinaQueste forze connessive sono espressione di una spettrale forza formatrice avulsa dalle logiche e dal­l’economia dell’organizza­zione umana. Sono forze incapaci di percorrere la corrente biologica del tempo (la corrente della vita che nasce e che muore) e non si assoggettano alle sue leggi. Per questo motivo hanno bisogno di mineralizzare e disporre di un vuo­to pneumatico che funga da abitazione per tali forze. Le quali forze non in­generano patologia, perché agenti dall’esterno sull’or­ganizzazione umana.

 

“Cavalcando” i processi devitalizzati, si appropriano del vivente; agendo nei processi di sintesi del pensiero si appropriano dell’individualità umana. Tale forza con­nessiva muove da un livello che ricorda il regno vegetale. Si immagini, ad esempio, l’immensa forza vegetale che avviluppa il castello nella fiaba “Rosaspina”.

 

EsuviaQualcosa di simile a tale avviluppante propulsione ve­getale costituisce l’appor­to della finta connessività. Lo stato di cadaverizza­zione del pensiero diviene allora vettore di un movi­mento automatico della connessività. Tale connessività ha bisogno di buchi di coscienza da riempire e mettere in relazione.

 

Attraverso questa operazione, tale forza individualizza non un fantoma – come nel caso del pensiero vivente – ma un’esuvia, un esoscheletro.

 

Il pensiero vivente permette alla connessività di individualizzarsi fino a diventare fantoma; il pensiero cadaverizzato, esautorando l’Io, permette alla finta connessività di automatizzarsi, di meccanizzarsi, giacché diviene forza operante tra vuoto e vuoto.

 

Nella demenza senile l’Io si allontana e la connessività si interrompe: le forze, allontanandosi dall’organizzazione corporea, possono venire a lungo trattenute in ambienti di illusione e con­tenimento. È come se tali forze venissero stoccate o archiviate per scopi “non corretti”.

 

Il Logos adamantino abita il pensiero vivente, mentre il pensiero cadaverizzato (nella specie, il suo vuoto) è sostituito dall’entità contraria. La connessività del pensiero vivente diviene pura volontà, la finta connessività diviene puro automatismo, volontà automatica.

 

L’individuo, smembrato nell’Io, sperimenterebbe a questo punto una sorta di paradossale stato di coscienza entro il sistema nervoso. Potremmo parlare di una sorta di coscienza simile a quella desunta dalla spettrale cognizione dei nervi sensori e motori. Una capacità percettiva cui man­cheranno coscienza e capacità di formare concetti.

 

L'arcaL’etimo di “mentecatto” rimanda nel significato all’esser “presi nella mente”. Questa nuova genía di mentecatti, assolutamente non infirmati nella salute, realizza, alla vista interiore, una sorta di reticolo luminescente attorno alla regione del capo. Tale reticolo potrebbe assomigliare all’aura dei santi raffigurati nelle iconografie cristiane, ma a ben guardare è costituito da trine finissime simili all’ordito di una ragnatela. L’organizzazione eterica di un sistema nervoso corrotto sovrabbonda oltre l’organizzazione fisica, producendo una sorta di tenebra luminescente, fluorescente, che viene accolta nell’astrale. Tale luminescenza si staglia nel buio inscurendolo, tessendo una luce piú scura del buio.

 

«Con la parola “sobornostj” – scrive Sergej Prokof’ev – in russo si identifica una moltitudine di coscienze individuali che nella loro globalità costituiscono una piú elevata totalità organica».

 

L’immagine speculare della sobornostj è data dalla comunità dei Nicolaiti dell’Apocalisse; tale comunità rappresenta l’espres­sione di un insieme di individualità smembrate nell’Io, annullate nella coscienza e deste in una sorta di io di gruppo di natura sub-umana.

 

Vergine SophiaLa “comunità sobornica” vive in un elemento superiore nato dalla coralità, dalla totalità delle coscienze, dalle singole individua­lità realmente “vive” e operanti nell’Io.

 

I Nicolaiti vivono in branco, dominati da un elemento subumano che li sovrasta e li connette.

 

L’oggetto di tali riflessioni – ove co­scientemente condivise – dovrebbe divenire oggetto di studio proprio in quelle comunità operanti entro la sfera della pedagogia curativa e della sociote­rapia. Ci si limita spesso ad una comprensione salottiera di fatti gravi che richiederebbero invece un radicale processo di trasformazione del proprio essere e delle proprie comunità.

 

Solo in tal modo si potrebbe disporre di un pensiero e di un agire realmente terapeutici.

 

Nicola Gelo (2. continua)