Il Senso del Tatto

Pedagogia

Il Senso del Tatto

Rudolf Steiner nella sua prima presentazione dell’organismo sensorio non parlò del senso del tatto. A quel tempo il Dottore era del parere che l’impressione tattile fosse una risultante dell’attività di altri sensi. Dopo pochi anni corresse radicalmente la sua idea, arrivando a dedicare un ruolo molto importante al senso del tatto, che divenne, appunto, la pietra di paragone di tutto l’edificio sensorio.

 

Dei dodici sensi che caratterizzano la dottrina dei sensi antroposofica, Steiner ne rico­nobbe inizialmente solo dieci. È giusto ricordare questo, perché si continua a credere che l’attività di Steiner fosse di tipo mistico: ispirata direttamente da una sorta di divinità benevola. Uno dei dodici sensi individuati da Steiner, ad esempio, è stato solo di recente descritto anche dalla scienza: parliamo del senso viscerale, che nelle descrizioni di Steiner è incluso nel suo senso della vita.

 

Potremmo dire, senza sbagliare, che il bambino percepisce con la pelle: la questione, però, è piú complessa. Il corpo del bambino è avvolto da questo corpo invisibile (di cui abbiamo ricordato l’affinità con lo schema corporeo) che, a sua volta, è in grado di percezione.

 

La considerazione che esiste di questo spazio intermedio è interessante anche da un punto di vista poetico e filosofico. Merleau Ponty e Sartre, i grandi esponenti dell’esistenzialismo francese, hanno riflettuto molto su questo tema.

 

Come nella poesia che concludeva il precedente articolo, ci si può avvicinare a un’altra persona e non aver chiaro se quella persona è realmente fuori di me o se in qualche modo mi appartiene; se è in un luogo ben preciso o se il suo essere innominale, per me, si effonde ovunque. È esattamente in questo spazio intermedio che si sviluppa quel sentimento della distanza e della vicinanza. Eppure in questo spazio intermedio non opera di certo la percezione tattile.

 

Quando ci riferiamo al senso del tatto, dobbiamo ricordare che esiste un piano della percezione tattile che va di là della pelle. Tale spazio viene chiamato: spazio della risonanza.

 

Nella nostra esperienza di vita facciamo spesso l’esperienza della risonanza: essa giace solitamente oltre la spessa coltre di pregiudizi, simpatie e antipatie, che avvolgono il nostro percepire.

 

Parlo spesso dell’ “innamorato” come di una sorta di dissolvitore degli enigmi sensoriali. Le cose però sono un po’ piú complesse. Nell’essere dell’innamorato irrompe la realtà altrui come folgore, come evento che ci pone dinanzi ad una domanda riguardo al tema della libertà. L’individualità dell’innamorato subisce l’alterità: quel mondo superno sovrasta il suo essere, lo sopraffà. Eppure sono questi i rari momenti in cui possiamo avere un’esperienza di cosa voglia significare cogliere l’elemento dell’essere altrui: musica.

 

E ci siamo detti Ciao

 

Ho scritto recentemente una canzone che tratta di questo argomento “…E ci siamo detti: «Ciao!»” (https://youtu.be/JVooOOxkkhM).

 

Di fronte alla simpatia o all’antipatia regoliamo la nostra distanza. Quando la voce della persona si svela come musica, allora ci troviamo di fronte a qualcosa di particolare.

 

Se curassimo realmente una discipli­na dell’interiorità, quello squarcio con il quale l’innamorato coglie l’essere dell’al­tro diverrebbe una realtà molto piú frequente e non subíta: diverrebbe un’espe­rienza cosciente.

 

Ogni persona possiede la sua musica, il suo motivo interiore, il suo Io. Nella nostra epoca dobbiamo imparare ad aprirci al mistero dell’altro in modo cosciente. La percezione dell’in­namorato può svelarci cose interessanti, essenziali, ma la sua condizione porrà sempre l’in­dividualità al servaggio dell’alterità.

 

Torniamo a noi. Quando il bambino conquista uno spazio di azione attraverso un gesto di distanziamento, vorrebbe creare uno spazio per poter diventare attivo e, con le proprie mani, incominciare ad esplorare il mondo esterno in modo tattile: tastando.

 

Donatello «Vergine e Bambino»

Donatello «Vergine e Bambino»

 

Questo senso dell’autonomia si sviluppa essenzialmente attraverso l’amore e porta man mano il bambino a crearsi un piccolo spazio di autonomia. L’autonomia consiste non solo nel creare uno spazio fra sé e il mondo, ma anche nel diventare attivo nella conoscenza del mondo, attraverso l’esplorazione tattile.

 

Quando dico che l’autonomia si sviluppa essenzialmente per mezzo dell’amore, intendo dire che se un bambino non è stato avvolto con quelle famose cure amorevoli, se il corpo non è stato sufficientemente riscaldato dalle cure parentali, esso faticherà a staccarsi dalla mamma.

 

I bimbi che gattonano vanno in avanscoperta e poi, con la coda dell’occhio, guardano la mamma. Se potessero parlare, direbbero qualcosa del genere: «Eccola, è sempre lí. Svolge le sue faccende ma è con me, non mi abbandona. Ed io posso continuare ad esplorare».

 

Il bambino che invece non compie questo gesto di distanziamento, resta spesso incollato alle gambe della mamma e, se ella si sposta, il bambino incomincerà a preoccuparsi, a diventare irrequieto, a piangere. Allora dovrei chiedermi: «Cosa accade in questo spazio di risonanza?».

 

Il gesto di iperprotezione, ad esempio, rappresenta un ostacolo per lo sviluppo dell’auto­nomia. L’amore è libertà mentre l’iperprotezione è la negazione assoluta della libertà.

 

Il bambino direbbe: «Ho bisogno di trovare una nuova posizione che mi possa consentire di guardare il mondo da una certa distanza. E poi, guadagnata questa distanza, vorrei avvicinarmi in modo autonomo a quelle cose che mi interessano».

 

Questo andare verso le cose che interessano avviene innanzitutto attraverso il tatto.

 

Le esperienze tattili in questa fase di sviluppo sono esperienze fondamentali. Lo spazio in cui i bambini non possono toccare le cose, dove vengono ripresi quando toccano qualcosa, dove iniziano a sentire la parola «No! No! No!» – in grado di invalidare ogni processo di autonomia – è uno spazio in cui i bambini si ammalano. Spazi del genere rappresentano la fucina per l’iperattività. E non bisogna credere che tali spazi siano prerogativa di un particolare tipo scuole, né che le scuole Waldorf ne siano esenti!

 

Una scuola statale – per paradossale che sia – vive di carte, regolamenti, statuti, ordini del giorno, obblighi, divieti, diritti, sindacati… vive di relazioni che, per garantire la propria sussistenza, non hanno alcuna necessità di essere vive. Eppure dal livello in cui essa opera non può creare il danno che invece genera chi, lavorando da una sfera vivente, eterica e cosciente produce per negligenza, per un’insussistenza interiore.

 

Il mio caro amico Silvano Agosti è solito ripetere: «Le prigioni che racchiudono gli esseri umani sono invisibili, per questo le loro barriere risultano invalicabili».

 

Attenzione alle barriere invisibili, alla sofisticazione linguistica che trasforma frasi del tipo: «No! Non puoi salire su quel ramo perché cadrai, ti farai male e dovrò sorbirmi quei rompiscatole dei tuoi genitori!» in un piú caldo e steineriano: «Caro Mattia, sei proprio sicuro di voler andare là? Di salire sul rametto dove dorme il buon folletto?». Meglio vietare che risultare meschini e ipocriti: i bambini riconoscono l’essenza delle nostre parole.

 

Torniamo a noi. Attraverso il senso del tatto, il bambino può imparare a relazionarsi con il dolore. Consideriamo attualmente il dolore come un nemico, come qualcosa da cui stare alla larga. Vorremmo i nostri bambini esenti da ogni dispiacere e contrizione. Questo atteggiamento, come già detto, sottende ad una mancanza di rispetto per la vita e per il destino del bambino.

 

Ginocchio sbucciato

 

È naturale che un bambino si faccia un bernoccolo, un livido, o – se piú grandicello – ritorni a casa con un ginocchio sbucciato. Queste cose devono succedere! Come insegnante mi ritrovo, non di rado, dinanzi a genitori terrorizzati, privi di ogni fiducia esistenziale. Il panico viene trasmesso ai figli, mentre l’impossibilità di trarre alimento da una qualsivoglia fiducia interiore, viene proiettata sulla comunità: maestri, alunni, genitori di altri bambini diventano i capri espiatori per giustificare la propria impotenza. Eppure basterebbe riuscire a chiedere aiuto… questo passo, però, non è mai scontato.

 

Nei primi mesi di vita del bambino ha una grande importanza fare in modo che egli possa disporre di spazi in cui muoversi liberamente. Possono accadere anche cose pericolose e bisogna essere desti: il prezzo della libertà passa per questi eventi.

 

È ovvio che non lascerò giocare i miei bambini sull’orlo di un precipizio o accanto a una discarica. È chiaro che curerò l’ambiente in cui i miei bimbi vivranno e giocheranno, considerando, questa, un’ovvia prosecuzione di quel gesto di “amorevole cura” di cui abbiamo parlato in precedenza. L’iperprotezione, però, è un’altra cosa. Se impediamo ai bambini di conoscere il dolore, di relazionarsi con il mistero di una lacrima, con la contrizione per la visione di un animale morente… impedirò al bambino di sviluppare il germe per la futura compassione dell’altro. Se ai bambini verrà impedita la relazione con le proprie sofferenze, con i propri dolori, se lo si educherà a considerare la malattia e la sofferenza quali eventi contingenti e tangenziali, impediremo, all’umanità di domani, di riconoscere e alleviare il dolore altrui, incidendo drammaticamente sulla percezione dell’Io dell’altro. La compassione diverrebbe un errore ontologico.

 

Rudolf Steiner ha detto che l’esperienza tattile del bambino è un’autentica esperienza religiosa. Aggiungo con parole mie che quando un bambino fa un’esperienza tattile, entra in contatto con la sostanza di cui è fatto mondo, anzi, entra in contatto con la sostanza da cui il mondo stesso è generato. Qui compare il concetto della sostanzialità del Mondo di Rudolf Steiner. E sono ancora una volta debitore ad Henning Köhler per la scoperta di questo concetto.

 

Nell’esperienza tattile il bambino entra in rapporto con “l’officina” in cui viene plasmato il mondo: entra in rapporto con le forze formatrici del mondo, con l’essenza delle cose che egli percepisce.

 

Quando un bambino porta qualcosa in mano, oppure la strofina sul suo collo o sul pancino, oppure la gusta tenendola un po’ in bocca, si dedica ad un’attività contemplativa. Si tratta di una percezione totalmente diversa dal nostro tipo di percezione. Ed è per questo che noi capiamo cosí poco la sacralità dell’esperienza tattile del bambino. Il carattere religioso dell’esperienza tattile può essere sperimentato solo con certi materiali, e certamente non con la plastica, perché essa non garantisce al bambino alcuna esperienza contemplativa. Il bambino non potrà dire tra sé, come invece diceva per l’albero: «Sí, cara plastica, io credo di conoscerti. Ma dove, io e te ci siamo, conosciuti? Dove ci siamo incontrati?».

 

L’esperienza tattile del bambino ha carattere religioso solo quando si riferisce alle esperienze che il bambino può provare con oggetti derivanti dal regno naturale.

 

Secondo Steiner, attraverso l’esperienza tattile noi entriamo in sintonia con l’essenza delle cose, diciamo pure: “con la cosa dall’interno”. La percezione del bambino è una percezione poetica. I poeti riescono a capire le cose dall’interno, a descriverle, a coglierne i processi segreti.

 

Il senso del tatto

 

I due processi, percezione e propriocezione, accadono contemporaneamente: il bambino, toccando un frutto, percepisce se stesso e contemporaneamente entra in profonda comunicazione con il frutto. Nel­l’intensificazione dell’attenzione prende coscienza di sé. Questa è la vera autonomia. Da questo silenzio, nato dal mio essere presso me stesso, entro in relazione con il frutto. Questo legame è molto profondo e con questo possiamo comprendere la connessione tra autonomia e il piú intimo legame con le cose.

 

L’esperienza della separazione in sé – ammesso che non sia traumatica– è un’esperienza che il bambino vuole sperimentare attivamente. Il bambino non vuole solo la sicurezza del legame ma anche quella della separazione, dello scioglimento del legame.

 

Il bambino, per conquistare la sua autonomia, ha bisogno che l’adulto sia in grado di “lasciarlo andare”. L’iperprotezione è la manifestazione di un legame insicuro, la cui insussistenza si manifesta nell’impossibilità di inverare i processi di fiducia e separazione.

 

La separazione è un fatto positivo, naturale. L’importante è che venga sperimentato nel giusto modo.

 

Merleau Ponty

Merleau Ponty

 

I ricercatori in ambito spirituale hanno considerato l’angoscia come un’esperienza di separazione dal Mondo spirituale.

 

Martin Heidegger e Merleau Ponty hanno parlato del­l’angoscia in questo senso. Merleau Ponty, nella sua Feno­menologia della Percezione, rifacendo il verso a Heidegger scrive: «L’uomo è gettato nella natura…».

 

Spigolature della coscienza

 

L’uomo sperimenta, quando nasce, di essere “gettato” sulla Terra, sperimentando cosí questa sorta di trauma originario.

 

Nell’etimo di gettare, però, è incluso un significato su­periore, di tipo effusivo e ger­minativo (effundo, spargo).

 

Per questo motivo lo stato di solitudine e isolamento procurato dalla “gettatezza” non va considerato in modo unilaterale. La gettatezza non è la condizione di chi ha capito di aver preso ’na bella sola. Essa rappresenta la condizione necessaria per una rinascita quali esseri individuali, autonomi.

 

Nel salutarvi mi permetto di affidarvi questo prezioso pensiero di Giancarlo Roggero, contenuto nel suo libro: Spigolature del­la Coscienza – diario spirituale in aforismi (Editrice Estrella de Oriente):

 

«Il sogno ha la virtú di trasformare le esperienze tattili in immagini».

 

Nicola Gelo

(2. continua)