CARNEVALE: una opportunità

Socialità

CARNEVALE: una opportunità

Bimbi mascheratiDa poco terminati gli echi del Capodanno e dell’Epifania, ecco arrivare il Carnevale, un rito collettivo risalente ai festeggiamenti dei Lupercali dell’antica Roma, che avevano ragioni oggi dimenticate. Ne residua il mascherarsi, il rendersi inconoscibile, il travestirsi da ciò che si vorrebbe essere e non si è: le bimbe da principesse, o da fate, e i maschietti da supereroe dei fumetti. Per gli adulti, se si partecipa a qualche festa organizzata (sempre che i tempi attuali di restrizioni e distanziamenti lo permettano), la maschera spesso si affitta e aiuta a sentirsi diversi almeno in quell’occasione.

 

La ragione del camuffamento nasceva dalle disparità sociali e dal rigore della divisione in classi difficilmente superabile, che andava dagli schiavi ai cittadini e fino agli aristocratici. Una ripartizione in caste mal subita ma considerata inevitabile. C’era però un momento dell’anno in cui la recinzione cadeva e per le strade tutti erano uguali, nobili e plebei, uniti nel voler dare una rappresentazione di sé diversa dall’usuale.

 

CarnevaleSenza trascendere fino alla licenziosità, che spesso diveniva il fine ultimo della festività fescennina, possiamo considerare da un diverso punto di vista l’occasione del Carnevale: un libero sfogo ai desideri che ognuno reca in sé di quanto avrebbe voluto fare della propria vita, e anche un livellamento delle opportunità non riscontrabile nel vivere quotidiano. Le caste esistono tuttora, non palesi, ben celate dietro una sbandierata democraticità e ben protette da steccati difficilmente valicabili.

 

Le opportunità vengono offerte ostentatamente a tutti. In realtà, senza un’efficace presentazione (quella che una volta era chiamata raccomandazione, vocabolo oggi rifuggito, ma la sostanza resta), ottenere un’adeguata collocazione lavorativa in ogni campo e livello, dal professionale all’artistico, è praticamente un’utopia.

 

Il ricordo personale di un’epoca che oggi appare lontana e diversa, e che ancora conservava un ben preciso distacco delle classi lavoratrici, mi riporta a una festa che organizzai, come addetta alle Relazioni Pubbliche nell’allora Centro Nucleare della Casaccia del CNEN, poi dal 1982 trasformato in ENEA. Vigeva all’epoca una netta divisione, oggi anacronistica, ma che appariva allora strettamente applicabile, secondo la quale gli ingegneri, i fisici e i laureati in generale si davano fra loro del “tu”, ma venivano ossequiati con il “Lei” da impiegati, tecnici e operai. Fra loro impiegati e tecnici si davano del “tu”, ma davano del “Lei” alle altre categorie, e gli operai dovevano dare del “Lei” a tutti gli altri. Una regola la cui osservanza era applicata con rigore.

 

In occasione, appunto, del Carnevale, la decisione di una festa nell’ampio spazio della mensa aziendale venne dal Direttore del Centro, ingegner Gianfranco Franco. Il locale fu trasformato con arredi festosi, stelle filanti e palloncini colorati. Un complesso musicale, come si chiamava all’epoca quella che ora si definisce band, allietava la serata con i motivi e le canzoni degli anni Sessanta, allora attuali e a tutt’oggi non ancora dimenticate. Fungevo da presentatrice, e avevo organizzato giochi di società per rallegrare l’ambiente. All’inizio della serata il Direttore fece una proposta: per la durata della festa tutti dovevamo darci del tu, non dovevano esistere barriere fra noi. Si ballò, si rise e ci si divertí sinceramente fino a notte inoltrata. Un momento magico, che scaldò i cuori e ci avvicinò tutti come non era mai accaduto prima.

 

Naturalmente nei giorni seguenti ogni cosa tornò al suo posto, le barriere furono rialzate. Ma quello che era accaduto restava nel fondo degli occhi: ci si guardava in modo diverso, una nuova comprensione era nata, anche se ben nascosta ma considerata possibile.

 

Poi arrivò il Sessantotto, e nulla fu come prima. Le barriere non caddero, furono divelte a forza, per dare luogo a un livellamento al basso, come nel girotondo che termina con “tutti giú per terra”. Il “tu” era obbligatorio per tutti, la stima e la considerazione erano definite una debolezza, l’autorità veniva contestata anche nei casi di personaggi di tutto rispetto.

 

Carnevale blasfemoIl Carnevale assunse un aspetto licenzioso, a volte blasfemo, affatto divertente: le strade delle città si riempirono di maschere brutali, oscene, persino disumane. Intanto la violenza correva per le strade, fronti opposti si scontravano, la politica fu scossa dalle fondamenta.

 

Poi, con il tempo, la febbre si calmò. Il risultato fu che al posto di quelli che c’erano prima si erano messi gli altri, quelli che avevano contestato l’autorità, e adesso la pretendevano, e tuttora la pretendono. Un’autorità che non dovrebbe essere ottenuta con la forza ma con la considerazione guadagnata per i giusti risultati conseguiti a favore non di se stessi ma della società tutta.

 

Poi quanto acquisito non è bastato piú. Coloro che si erano procurata una visibilità non solo per le proprie doti intellettive ma anche, e soprattutto, per la capacità di accaparrare, accumulare, a volte rapinare, celati dietro anonime grandi imprese multinazionali, hanno pensato bene di salire piú in alto, rampare verso il cielo, come a Babilonia con la torre che sfidava gli Dei. L’occasione propizia si è presentata grazie a una epidemia studiata a tavolino e realizzata in un laboratorio del lontano Oriente. Nulla di riconducibile ai mandanti.

 

Ed ecco tutti asfissiati da una maschera, per un Carnevale che ha poco di allegro e molto di grottesco, una sfilata di persone ottenebrate dalla paura di un eventuale contagio, per le strade ma a distanza, o chiusi in casa per difesa.

 

I corsi e i ricorsi storici dovrebbero insegnare che alla rivoluzione segue sempre una restaurazione. Dopo la spallata rivoluzionaria francese è tornato un nuovo Napoleone; dopo i moti risorgimentali per l’uscita dalla servitú dei grandi latifondisti del Sud, i contadini si ritrovarono a dover emigrare per una nuova servitú nelle industrie del Nord; dopo il terremoto di Mani Pulite per recuperare una parvenza di onestà del Sistema, un Sistema attuale che di onestà non ha conservato neppure l’apparenza.

 

Cerchiamo allora di dare un senso nuovo e diverso al prossimo Carnevale, una trasformazione di noi, oltre la maschera, in ciò che veramente avremmo voluto essere e che forse, per pigrizia a volte, o per una necessità che sembrava insuperabile, non siamo riusciti a realizzare. E guardiamo gli altri negli occhi. Nel fondo di essi c’è l’Io che si nasconde dietro le apparenze, e che è sempre degno di essere incontrato.

 

 

Marina Sagramora