Grande reset e terapia sociale del lavoro

Sociologia

Grande reset e terapia sociale del lavoro

Klaus Schwab

 

Klaus Schwab, economista molto influente, fondatore e direttore esecutivo del World Economic Forum, ha teorizzato un Grande Reset dell’intera struttura sociale e produttiva occidentale dopo la fase Covid-19 e la sempre piú tragica situazione economica. La sua proposta è stata accolta con notevole timore dalle varie società civili europee, scatenando non solo ipotesi complottistiche sulla stessa origine della sindemia secolare, tuttora incerta, ma anche notevole preoccupazione riguardo al futuro sociale di milioni e milioni di persone.

 

Branko Milanovic

 

In realtà, come specifica Branko Milanovic, professore alla City University of New York, in Capitalism, Alone. – The future of the system that rules the world, saggio uscito nel 2019, abbiamo duecento anni di esperienza quando si parla di macchine che sostituiscono il lavoro umano. Ogni qualvolta si è profilata all’orizzonte un’automazione su vasta scala di attività precedentemente svolte da esseri umani, si sono dipinti scenari desolanti di disoccupazione di massa e disgregazione sociale. Ogni volta, queste paure sono state vissute come uniche e assolutamente nuove. E ogni volta, passato lo shock, si è scoperto che vi era molta esagerazione in quell’iniziale e ingiustificato timore.

 

Lo stesso avvento dei robot non rappresenta nulla di nuovo. Le macchine hanno sostituito gran parte del lavoro ripetitivo sin dall’origine della rivoluzione industriale. L’ossessione dei robot ha a che fare con il loro antropomorfismo, molti parlano dei grandi profitti che trarrebbero i “proprietari dei robot”, ma non esistono proprietari dei robot, bensí aziende che implementano queste innovazioni tecnologiche. È vero che le stime di percentuali di posti di lavoro minacciati dall’automazione variano notevolmente, andiamo ad esempio da una variazione tra il 6 e il 55% del Giappone a quella tra il 7 e 47% degli USA, ma in termini assoluti; se si considerano le distinzioni piú fini tra le mansioni nell’ambito di un’occupazione, le percentuali sono molto piú contenute, e per i Paesi OCSE vanno dal 6 al 12%. Inoltre queste percentuali non forniscono la cifra dei necessari posti di lavoro che saranno creati dalle nuove tecnologie e dai nuovi modelli di produzione energetica che richiederanno ben altre figure sociali di operatori. Lo stesso potremmo azzardare riguardo alla innovazione strutturale e a quella di produzione che tanto interessava il grande Schumpeter, purtroppo dimenticato a vantaggio del piú occidentale e meno sociale Keynes.

Aresu USA e Cina

 

Alessandro Aresu, ne Le potenze del capitalismo politico, rileva che il dinamismo tecnologico alimenta un mondo tutt’altro che piatto: nel mondo del “capitalismo politico”, sotto la patina “morale” dell’avanzamento delle aziende e della tecnologia, non si approfondirebbe soltanto la posta in gioco sul potere all’interno degli USA, ma si svilupperebbe una partita intrecciata con la guerra tecnologica tra USA, Cina e Russia. Una partita globale, dunque, combattuta con le armi del geodiritto e della “guerra ibrida”.

 

Alla luce di queste scarne, ma speriamo essenziali notizie empiriche, emerge anzitutto che è evidentemente impossibile evitare l’avvento, su sempre piú capillare scala sociale, di una società tecnologica digitalizzata.

 

Società tecnologica digitalizzata

 

Emerge poi, che la teoria del Grande Reset, ben lungi dall’essere l’ennesimo atto di forza dei magnati d’Occidente, differentemente da come è stato sinora percepito, è invece un chiaro atto di debolezza. È dall’inizio degli anni ’80 che l’Occidente è in declino. La spesa pubblica per ricerca e sviluppo è iniziata a scivolare negli USA, negli stessi anni in cui Vogel descriveva l’ascesa del Giappone “neocorporativo” come risveglio asiatico secolare in vista di una nuova èra di civiltà, sotto l’1,2% del PIL.

 

Nel 2016 scende addirittura allo 0,6 per cento. Nel 2025, secondo una recente analisi della ricerca medica pubblicata da “The Journal of the American Medical Association”, la Cina, e probabilmente lo stesso Giappone, sostituiranno gli USA nel ruolo di Paesi leader dello sviluppo internazionale nel settore sanitario.

 

sopra: Scuola Waldorf – Kanagawa, Giappone sotto: Scuola Waldorf – Pechino, Cina

sopra: Scuola Waldorf – Kanagawa, Giappone
sotto: Scuola Waldorf – Pechino, Cina

 

Il risveglio sociale asiatico non vi sarebbe stato senza l’uso piú coraggioso e spregiudicato della tecno­logia che tale fascia di civiltà ha saputo realizzare. Massimo Scaligero, in Lotta di Classe e Karma, notava la stessa funzione storica positiva di certi fenomeni politici condannati dai capitalisti liberali occidentali, in quanto attuarono la Rivoluzione industriale in Asia, superando la vecchia struttura patriarcale.

 

 

Ciò non vuol dire, naturalmente, che non vi siano attualmente fatti pericolosi che potrebbero emergere da un’intelligenza artificiale con un algoritmo in perpetua evoluzione, o che non vi siano temibili teorie secondo le quali sarebbe un normale percorso evolutivo la convergenza di nanotecnologia, genetica e intelligenza artificiale verso la nascita di una razza di nuovi “uomini-macchina”. Il concetto di “uomini-macchina” è infatti, dal punto di vista logico, un non senso come quello di “super computer”. In base al teorema di Godel, l’evoluzione algoritmica è connessa e programmata al paradigma originario, o prototipo madre, di conseguenza l’infinità non può che consistere nella combinazione dell’insieme dei dati con il dato originario. Lo stesso concetto di mutamento antropologico proposto dal postmodernismo, che deriverebbe dall’utilizzo frenetico e ininterrotto delle nuove tecnologie, è solo parzialmente reale. L’èra scientifica e la civiltà tecnologica digitalizzata non dovrebbero trovare lo scienziato limitato gnoseologicamente alla sterile adorazione della conquista tecnica, ma viceversa dovrebbero trovarlo pronto nella presa di coscienza di quel potere intuitivo che è alla base della suddetta conquista.

 

R. Steiner, Dallo stato unico all’Organismo sociale triarticolato

 

Rudolf Steiner, nella prospettiva ardita di declinazione sociale di una civiltà tecnologica realmente moderna e dinamica, invita alla “compenetrazione artistica” del fenomeno tecnologico (Come si opera per la Tripartizione dell’Organismo Sociale). Il movimento tripartito della realtà chiama direttamente in causa sia l’essenza spirituale, e non quantificabile con il salario, del lavoro umano, come ben compresero i sindacalisti rivoluzionari francesi agli inizi dello scorso secolo (R. Steiner, Dallo stato unico al­l’Organismo sociale triarticolato), sia la quintessenza artistica e architettonica di una comunità sociale. Elemento quest’ultimo trascurato dagli esegeti della Tripartizione.

 

Nella concezione sociale antroposofica, viceversa, l’impulso artistico e quello architettonico assumono una rilevanza centrale e precipua, di concreta terapia sociale, in modo particolare proprio nel contesto della civiltà digitalizzata della grande ristrutturazione, che starebbe agli operatori spirituali temperare in comunità sociale tecnologica, aperta e inclusiva, prevenendo sul nascere la preoccupante prospettiva del totalismo livellatore individualista e algoritmico.

 

Stile architettonico steineriano

Stile architettonico steineriano

 

Lo stesso lavoro, nella prospettiva comunitaria steineriana, è un atto spirituale che si invera come terapia sociale di smaterializzazione della macchina-materia e di comunione sociale dei nuovi tempi: «La nostra concezione scientifico-spirituale vuol vivere in uno stile architettonico da lei stessa generato. Essa deve e può creare in modo da permeare di sé la vita materiale esteriore nelle concatenazioni sociali. …La Scienza dello Spirito non preten­de soltanto che si lavori nelle fabbriche, pretende che quando si aprono le porte della fabbrica per andare al lavoro vi si introduca lo Spirito, affinché ogni macchina sia permeata da quello stesso spirito che eleva la visione del mondo alle supreme altezze del conoscere, all’immortalità (R. Steiner, Etica e Civiltà – O.O. N° 334).

 

 

Silvano Aspromonte