Oltre i nove anni

Pedagogia

 

Oltre i nove anni - LA VITA DEL BAMBINO TRA INFANZIA E PUBERTÀ

 

LA VITA DEL BAMBINO TRA INFANZIA E PUBERTÀ

 

 

Alea iacta est. Il varco del Rubicone

 

I bambini, superata la soglia dei nove anni, smarriscono quella naturale relazione con l’adulto incen­trata sul naturale rapporto di autorità. Il rapporto di naturale autorità adulto-bambino, varcata la soglia dei nove anni, inizia a venir meno. Certo, in alcuni bambini può manifestarsi una forma residuale di relazio­ne mediata dal rispetto per l’autorità conferita naturalmente all’adulto, ma ciò – nella maggior parte dei casi – non avviene piú. Ed è un bene che sia cosí. I bambini incominciano a mettere in discussione l’autorità dell’adulto: questo avviene perché in loro inizia a baluginare il senso della propria dignità. Tale dignità non è altro che un promanare delle forze scaturenti dal centro dell’individualità infantile: dal suo Io in divenire.

 

Disegno alla lavagna

 

La relazione di naturale autorità verso l’adulto viene perduta poiché sorge una  crescente confidenza nelle proprie forze, nel proprio esserci. Ed è dunque comprensibile che il bambino, divenendo sempre piú padrone del proprio mondo – anche e soprattutto del proprio mondo interiore – voglia accommiatarsi da quella relazione che costituiva comunque un orientamento nel mondo conosciuto.

 

I disegni alla lavagna del maestro, venerati fino all’anno prece­dente, diventano oggetto di critica: non sono piú cosí belli, non sono piú cosí “meravigliosamente perfetti”.

 

Tutto diviene oggetto di critica. Il dado è tratto. Il bambino attra­verso la critica evidenzia la sua emancipazione dal mondo infantile. Non è piú possibile tornare indietro.

 

 

Sii dolce con me. Sii gentile

 

Per quanto la vita nelle classi quarte e quinte sia felicemente bur­rascosa, per quanto molti bambini siano simili a puledri scalpitanti, occorre per gli educatori, aver pratica della gentilezza.

 

I bambini di questa età sono molto delicati nella sfera del sen­timento; molto piú di quanto lo potessero essere già precedentemente. Cosí come in prima classe bastava una caduta o un ginocchio sbucciato per vederli piangere e disperare, adesso occorre pensare a questa estre­ma vulnerabilità introiettata nella sfera del sentimento. E cosí come il bambino piccolo non godeva ancora di una adeguata confidenza con il suo corpo, adesso è la regione dei sentimenti a divenire vulnerabile.

 

Il bambino inizia a sperimentare i sentimenti quali forze scaturenti dalla sua anima. Prima era parte­cipe del riso e del pianto: ora ne sperimenta, per cosí dire, il processo formativo che v’è dietro.

 

Un bambino piccolo accetta molto piú facilmente un rimprovero di quanto possa fare un giovanetto di nove anni che, invece, ne mette in discussione – piú o meno apertamente – la sensatezza.

 

Questa è l’età in cui bambini prendono congedo da quella dimensione di «fiducia originaria» ed iniziano ad affacciarsi al mondo sperimentandolo nel profondo del proprio essere. La solitudine è la risultante del risuonare del mondo all’interno del proprio essere. Il bambino inizia a chiudere sempre piú spesso la porta della propria stanza e con maggiore frequenza vuol stare per conto proprio. Non è raro che vecchie paure – come ad esempio la paura del buio – in questo periodo tendano a riaffiorare.

 

 

Per tutte le paure del buio

 

Paura nei bambini

 

A questa età non tutti i bambini rivelano agli adulti il ritorno di alcune paure: questo non vuol dire che esse non siano presenti. Quando un bambino di questa età manifesta un’evidente disarmonia nel ritmo sonno-veglia non è raro che, se sollecitato, riveli ad esempio, di aver paura del buio, dei ladri, che qual­cuno di notte possa far male al papà e alla mamma… Il tema della morte si affaccia – perlopiú quale carico di paure – alla coscienza del bambino. Il bambino, superato lo stato fusionale con la natura, varcato il Rubicone o – per usare ancora un’ulteriore immagine – gettato fuori dal Paradiso Terrestre, non vive piú la morte come un evento naturale. La morte fa paura, e fa paura soprattutto in questo periodo poiché è qui che si inizia a non considerarla piú come “Sora Morte”, come un fenomeno fra altri fenomeni. No, la morte è quella cosa che può portarmi via il papà e la mamma, e che io non posso controllare. Il tema della morte irrompe nella dimensione animica del bambino, creando una discontinuità nell’elemento spaziale e temporale in cui giaceva immesso. Il compito degli educatori, in questo periodo, è rafforzare la fiducia del bambino, riconoscerne la dignità, confermare la giustezza dei propri ragionamenti attra­verso l’utilizzo della riflessione.

 

 

Dove c’è una regola aurea

 

E se il motto dei bambini piccoli potrebbe essere: «Vogliamo sperimentare amore sulla pelle», potrem­mo, per questi giovinetti, coniare il motto: «Cosí come un tempo curavate la nostra pelle con amore, adesso siate gentili, siate discreti con la nostra anima, non tradite né ferite i nostri sentimenti».

 

 

La cacciata dal Paradiso Terrestre. L’incontro con il Male.

 

Attorno ai nove-dieci anni, il bambino scopre in sé quella che potremmo definire la Fucina del­l’Ombra. Mentre il bambino piccolo viveva una relazione edenica con il mondo, mentre il bambino pic­colo sperimentava l’unione segreta con le forze della natura, con la divinità espressa nelle cose, i bambini di nove-dieci anni sperimentano, per cosí dire, quell’esperienza che nella mitologia cristiana viene defi­nita come “cacciata dal paradiso terrestre”.

 

Il paradiso terrestre è l’immagine della nostra infanzia e l’incontro con il malum (che in latino traduce sia il “pomo” che il “male”) ne segna la prossimità al commiato.

 

Il confronto con il male deve essere sperimentato a quest’età. Le nostre scuole (comprese le scuole steineriane e montessoriane) in questo periodo storico dominato dall’ipocrisia, dalla logica del “va tutto bene” non sono preparate alla gestione di questo incontro né vorrebbero esserlo. Ne parleremo piú avanti.

 

 

La dignità non consiste nel possedere onori ma nella coscienza di meritarli

 

Il tema di questo periodo, dicevamo, è la dignità e di conseguenza anche la giustizia e la relazione con la vergogna.

 

«Vengo trattato allo stesso modo degli altri?», «Il mio amico è stato trattato giustamente?», «Mamma, papà: ma noi siamo poveri o ricchi?».

 

Un tema che riguarda la dignità, propria e altrui, ma anche un tema che ha a che fare con la “giustizia”.

 

Il bambino si accorge che quei giochi che lo impegnavano per ore adesso non gli procurano piú quel­l’intenso piacere, scopre la solitudine, la malinconia e il senso di estraneità dall’intima relazione con la natura – ammesso che i bambini di oggi possano ancora sentirla – si fa sempre piú presente. La “dignità” nasce dal processo di commiato dal mondo infantile.

 

Se il bambino nella vita precedente non avrà sviluppato adeguatamente il senso del tatto e della vita (si leg­ga a questo proposito il precedente articolo sul Senso del Tatto) sperimenterà un continuo allarme nella sfe­ra dei sentimenti. Il bambino potrà sentirsi interiormente braccato, ferito dal mondo che preme e urge ecces­sivamente su di lui. Potranno sorgere meccanismi di reazione all’insicurezza e alla vergogna culminanti, ad esempio, nella menzogna come sofisticazione della realtà. Le esperienze provenienti dal mondo percepito sa­ranno sempre “troppe” e non verranno metabolizzate da una regione di sentimento incapace di contenerle.

 

Il bambino avente siffatta costituzione non potrà sperimentare correttamente la sua dignità ma dovrà esservi ricondotto dall’aiuto dei genitori e degli educatori.

 

 

Il lungo viaggio dell’eroe

 

Nelle fiabe quando il protagonista parte per il lungo viaggio riceve un cavallo, l’armatura, la spada lucente, a volte delle monete d’oro…

 

Questi simboli accompagnano ogni individualità umana nella propria avventura biografica. Tali ele­menti sorgono nel bambino a seguito di un sano processo di individuazione che culmina con la scoperta della “dignità: con la coscienza di meritare onori”, come dice Aristotele. Certo: la dignità era presente anche prima, già nei primi anni di vita ma aveva un’altra qualità e un’altra funzione. L’ingiu­stizia subíta dal bambino piccolo si risolve in un pianto, mentre per un bambino piú grande l’ingiustizia assume una connotazione esistenziale.

 

La dignità sorge dall’interiorità del bambino, da un processo di metamorfosi: il bambino trae la dignità da se stesso. Se il bambino non ha sperimentato, nel primo settennio, “amore sulla sua pelle”, se non è stato abbastanza avvolto da calore e protezione (senza per questo venire esonerato dal vivere e anche dal farsi male) se il bambino non ha adeguatamente maturato il senso del tatto, allora il bambino potrà sen­tirsi costantemente braccato, ferito, non riconosciuto nella sua dignità.

 

Questo è lo stato in cui si trovano tanti bambini di oggi. Molti problemi legati all’angoscia e all’irre­quietezza sono legati a questa immagine appena descritta.

 

 

Un abisso nel cui fondo invisibile scorre il rumore di un fiume lontano dai Soli

 

Il bambino piccolo, di fronte alle sue malefatte, dice con estremo candore: «Ma io proprio non volevo! Non l’ho fatto apposta!». Il bambino piú grandicello tende, invece, a discolparsi, a contestare quello che a lui viene imputato. Nasce una nuova relazione con la vergogna, con il coprire la propria nudità, ma anche la scoperta di un mondo interiore che inizia ad essere partecipe dell’Ombra. Compare quindi una ricerca in merito a ciò che è bene e ciò che è male.

 

Se il bambino dovrà capire quel che è male, se effettivamente dovrà farne esperienza, allora non gli si potrà precludere la relazione con il male, con la possibilità di operare anche a danno di qualcuno. Mentre i bimbi piccoli sono naturalmente propensi ad imitare quel che è buono e a rifuggire da ciò che spaventa o è “cattivo”, nei bambini di nove-dieci anni compare questo aspetto ambivalente: ho un cuore buono ma in me trovo anche un abisso, una voragine, un lato oscuro che prima non vedevo e che mi attrae.

 

Parliamoci chiaramente. Se il bambino non fosse attratto da questo abisso – che è dentro di lui e non fuori – se non ne fosse sedotto, non potrebbe iniziare a regolarsi nella sfera del giudizio nel corso della vita: non potrebbe regolare il libero arbitrio che è una peculiarità dell’essere umano.

 

Quando gli educatori sbrigano le dispute dei bambini di questa età senza l’opportuna riflessione oppure colpevolizzandoli, non stanno svolgendo il loro compito.

 

Quando i genitori moralizzano sulla condotta proba e irreprensibile dei loro figli danneggiano non solo la sfera sociale in cui il bambino vive ma anche il bambino stesso.

 

Henning Köhler

Henning Köhler

 

Occorre considerare in modo assolutamente naturale che un bambino di questa età potrà mentire, ru­bacchiare, potrà esercitare il proprio potere anche a scapito degli altri o comunque in modo distruttivo. Queste sono cose alquanto naturali a questa età. Henning Köhler diceva che in questo periodo della vita tutti i bam­bini hanno la tendenza a rubacchiare con l’unica diffe­renza che ci sono alcuni piú furbi che non si lasciano scoprire e gli altri. Non a caso l’etimo di furbo deriva dal francese fourbier che vuol dire ladro, appunto.

 

 

Ladri, assassini e tipi loschi

 

Nelle fiabe non esistono solo principi e principesse. I ladri, gli assassini e i tipi loschi popolano il mondo delle fiabe. I loschi sono spesso impersonati dai tignosi (coloro che nascondono o camuffano la verità). Sono archetipi, sono forze dell’anima, al pari dei giudici e delle vittime.

 

Questi ruoli sono forze dell’anima e il bambino dovrà sperimentarle: ognuno di essi sperimenterà l’azio­ne di tutte queste forze. Alcuni bambini vestiranno maggiormente i panni dei giudici, altri delle vittime, altri dei tignosi, altri ancora dei ladruncoli. Agli educatori piacciono i giudici e le vittime. Fondamentalmente non rompono le scatole e, quando lo fanno, occorre solo rimproverare gli altri.

 

 

Un piccolo esempio

 

Qualche giorno fa, prima di una verifica di storia in una classe quinta, ho assistito ad una scena emble­matica. Entrando in classe in anticipo ho posato i fogli contenenti la verifica di storia sulla cattedra e suc­cessivamente mi sono allontanato un po’. Avevo sbadatamente lasciato le verifiche con il verso con­tenente le domande esposte alla vista di tutti. I maschietti erano impegnati nelle loro discussioni calcisti­che mentre le ragazzine si sono accorte subito delle verifiche e piano piano si sono avvicinate alla catte­dra per captare le domande. Ecco: le fanciulle in questa classe sono molto simili a principessine dedite al loro delicato mondo di sentimenti. La loro relazione con queste forze archetipiche è diversa da quella dei maschietti ma comunque è presente e attiva.

 

È importante ricordare che a questa età tutti i bambini fanno esperienza di queste forze. Non dobbiamo condannare questi atti come se davvero fossero il principio di una china delinquenziale. I bambini hanno il diritto a mettere in scena la commedia di queste forze oscure che sono in loro e che, in questo periodo, si destano. Genitori ed educatori sono chiamati a questa rappresentazione e se qualcuno dice: «No, questa cosa mio figlio non la farebbe mai!» evidenzia una identificazione eccessiva, non sana, e per giunta ipo­crita, con la rappresentazione messa in atto.

 

Teatro bambini

 

Esistono luoghi in cui esercitare, drammatizzare, queste forze? Una volta a scuola si facevano le recite. Vi era un momento destinato alla drammatizzazione. Oggi la scuola non è in grado di offrire ai genitori una visione evolutiva dei propri figli. Non può farlo perché non esiste un’educazione che davvero concorra all’educazione del corpo (si consideri l’attuale stazio­namento dell’alunno su di una sedia, dietro al proprio banco) dell’anima (del mondo dei sentimenti) e dello Spirito (del mondo del pensiero).

 

Le educazioni alternative, quando non sono in grado di realizzare davvero quanto teorizzano, creano piú danno delle altre. L’imperativo è istruire i bambini scollandosi la responsabilità di collaborare al processo di sviluppo dell’essere umano che ci viene affidato.

 

 

Sull’archetipo dell’assassino

 

Dobbiamo considerare come forza archetipica legata all’assassino, l’esercizio del proprio potere a svantaggio degli altri, l’esercizio distruttivo della propria forza. Posso decidere di sperimentare l’arche­tipo del mentitore ma la forza con cui faccio condannare una persona a seguito delle mie menzogne è frutto di questo voler sperimentare il potere a svantaggio degli altri.

 

Il prof. Henning Köhler soleva ripetere che l’utilizzo del proprio potere “impazzito” per cagionare danno negli altri non produce, nei giovani, quel godimento che invece contraddistingue gli adulti che esercitano il mobbing. Lo schema carnefice-vittima, sia per i bambini che per i ragazzi, non funziona. I ragazzi che infliggono sofferenze agli altri soffrono allo stesso modo delle loro vittime. Potremmo dire, forse in un modo eccessivamente riduttivo, che essi “vengono risucchiati dal ruolo” e sicuramente avreb­bero bisogno di aiuto.

 

Quando si impiegano le proprie forze in modo distruttivo è perché non è stato possibile impiegarle a beneficio della vita sociale. Chiedersi quale sia la vita sociale di un ragazzino di oggi ci porterebbe troppo lontano, ma la domanda potrà essere certo oggetto di riflessione individuale.

 

 

A Naso. Dove si parla della formazione del giudizio e del gusto

 

I bambini di nove-dieci anni hanno un senso dell’olfatto molto piú sensibile del nostro. Non cambia la capacità olfattiva, i ragazzi non diventano cani da tartufo, aumenta però la loro sensibilità agli odori. So­no attenti agli odori. Questo è un dato facilmente osservabile.

 

Io ricordo l’odore degli amici delle elementari: non ricordo piú i nomi ma ricordo che gli odori costi­tuivano una sorta di mappa silenziosa, una cosa importante. Ricordo l’odore dell’astuccio, della cartella e di tanto in tanto ritrovo quegli odori tra i banchi delle classi e me ne commuovo.

 

Il mio primo amore arrivò portato dal profumo della pelle di una mia amichetta. Era un giorno d’estate e con gli altri bambini giocavamo a biglie nel cortile.

 

Nel periodo attuale la percezione olfattiva è costretta al “sonno” da quei mezzi che ne ottundono e ini­biscono la piena espressione. Potremmo dire che molte scelte dei bambini di questa età sono fatte “a naso”. Spesso nelle discussioni dei bambini compaiono espressioni di ribrezzo e disgusto. Ci sono odori che fanno schifo, cibi che disgustano. I maschietti potrebbero ridere per ore parlando delle loro puzze mentre questo tema non interessa affatto i bimbi piú piccoli per cui i bisognini e le puzzette sono cose del tutto naturali: non fanno ridere ma certamente possono umiliare.

 

Paul Valéry

Paul Valéry

 

L’acuita sensibilità olfattiva produce una divisione in classi di simpatia e antipatia: una divisione “a naso”. Ci sono persone simpatiche e altri antipatiche, persone che “puzzano” e altre che sono “fiche”, cibi che disgustano anche se sono sani e altri che entusiasmano anche se immondi.

 

Paul Valéry diceva che “il gusto è composto da mille disgusti” e, in questo pensiero possiamo constatare come queste classi di giudizio, me­diate dalle forze di simpatia e antipatia, costituiscano il primo passo verso la discriminazione del giudizio e del gusto. Questo giudizio e questo gusto non rappresentano ancora un giudizio equilibrato né un gusto sano, non dobbiamo dimenticarlo: i giudizi dei bambini a questa età rappresentano l’avvio verso una conquista del giudizio che avverrà solo molti anni piú avanti.

 

Credere, come oggi si fa, ai giudizi del bambino come se fossero espres­sioni perentorie è quanto di piú errato e grossolano si possa fare. Sarebbe come credere alle storielle che raccontano i bimbi piccoli quando ci par­lano, dai loro lettini, di mostri e draghi che abitano nell’armadio e si na­scondono tra i vestiti.

 

I bambini con la peluria non diventano uomini. Le bambine – checché ne dicano le mamme – non devono essere le confidenti delle mamme, le amiche. I bambini devono rimanere bambini e i loro giudizi, le loro espressioni di ribrezzo, disgusto, esaltazione… non possono rappresentare giudizi maturi, consapevoli, equilibrati.

 

Cosí come il pensiero del bambino piccolo è essenzialmente una pura forza di fantasia allo stesso mo­do, con questi bambini piú grandi, la forza di fantasia pervade la sfera del giudizio, la inebria e, se cosí non fosse, il bambino non potrebbe iniziare a creare giudizi propri.

 

 

Sensibili come poeti, goffi come astronauti

 

Il bambino, gettato fuori dal paradiso terrestre, dal sacro territorio della sua infanzia, inizierà a speri­mentare con nuove forze il suo essere al mondo. Spesso i bambini devono conquistarsi un nuovo orien­tamento nello spazio e nel tempo. Tale conquista è evidenziata dalla goffaggine che è espressione di una perdita dei propri confini o, per meglio dire, dell’acquisizione di una immagine corporea.

 

Sono spesso i maschietti ad apparire piú goffi e imbranati. Il loro urtarsi, il loro continuo giocare alla lotta, il loro bisogno di toccarsi, spingersi, rincorrersi, confrontarsi fisicamente è l’espressione dell’appro­priarsi di una nuova fisicità, dello sperimentare il corpo “dall’interno”.

 

Correre per il piacere di correre, urtarsi per sentire me e l’altro uniti e divisi allo stesso tempo: spe­rimentare il mistero del proprio corpo che cambia.

 

Nonostante la loro goffaggine la sensibilità con cui i bambini percepiscono “l’altro” resta sempre mille volte superiore alla nostra sensibilità percettiva.

 

La nostra percezione del mondo, rispetto alla loro, è assai limitata. Deve essere cosí. Solo in alti stati di liricità, si pensi all’innamoramento, possiamo ritornare a percepire con lo stesso slancio dei bambini. Un livello di percezione, il loro, che potremmo definire poetico e che consiste nello sperimentare l’essen­ziale contenuto nelle percezioni.

 

 

Nicola Gelo (1. continua)