I venti di guerra che soffiano all’Est ci hanno fatto comprendere l’importanza della pace. Tutti oggi vogliono la pace, la reclamano, la urlano nelle piazze, sventolando bandiere multicolori che fino a ieri sventolavano per difendere le multiformi diversità di genere. Il negozio cinese sulla strada ostenta anch’esso una bandiera con scritto “pace” a grandi lettere: una pace da 2,50 euro.
Si organizzano incontri e cori per “cantare la pace”. In rete si sono subito organizzati per immagini da scambiarsi come saluti mattinieri, “Buongiorno di pace!”, o con cartelli di “Pace nel mondo” con preghiera di far girare, tipo catena di Sant’Antonio. La gente abbocca e condivide.
La pace naturalmente verrà quando riusciremo a sconfiggere il nemico di turno, che cambia ogni volta, ma è sempre infame, degno di essere eliminato dalla faccia della terra, come Saddam Hussein, il dittatore iracheno, che nascondeva armi chimiche letali, mai ritrovate, ma fu deciso che meritasse comunque la morte. O come Mu’ammar Gheddafi, osannato e ospitato con tutti gli onori prima, ma poi braccato, trovato e trucidato da “ribelli” ed esecrato da tutto il mondo “civile”. La differenza di vita fra il “prima” e il “dopo” degli Stati di cui i due erano leader – pardon, dittatori – rende bene l’idea degli scopi che volevano essere raggiunti. Potremmo continuare, elencando altri nemici giurati, mostri da combattere fino alla loro meritata fine. Oggi è la volta di Putin, e domani sarà qualcun altro a venir additato per i “due minuti d’odio”, minuti che saranno prolungati fino ad estinzione del mostro da sopprimere. Odio da far poi rinascere e crescere per il nuovo esecrando di turno.
Nell’androne del palazzo incontro un condomino che mi racconta della riunione appena tenuta, alla quale, come affittuaria, non posso partecipare. Mi addita una signora che passa, lancia in resta, senza salutare. Mi dice che è stata battagliera e si è imposta per non attuare i cambiamenti che sembravano già decisi, forte delle deleghe di persone anziane che “si fidano” di lei. Ancora una volta quei miglioramenti auspicati da tanti non potranno essere realizzati. Nel cortile, alla sua finestra, sventola una bandiera della pace. Dell’Ucraina, naturalmente, ma quella è tutt’altra cosa.
Come possiamo chiedere la pace se non la possediamo dentro noi stessi? Come farla rispettare alle nazioni, ai capi di Stato, se non la riusciamo ad attuare con il vicino del pianerottolo, o con il confinante del nostro terreno? Maître Philippe compiva il miracolo di guarigione, ma chiedeva in cambio al risanato di ritrovare la pace con i vicini, la rinuncia a ripicche e conflitti andati avanti per anni, a sterili diatribe che avvelenano il corpo, la mente e l’anima.
Come potremo chiedere la pace ai governanti se non riusciamo a conquistarla noi, a volte persino nelle mura della nostra casa? I piccoli litigi si trasformano in grandi drammi. Nessuno vuole cedere. Perché proprio io dovrei farlo? Ho ragione da vendere! Si è dimenticato, o non si è mai compreso, che è chi cede a vincere realmente. Ristabilire l’armonia intorno a noi, anche a costo di rinunciare a un “diritto”, è la vera vittoria.
Francesca ha litigato con Marco, per via di un mancato weekend all’Argentario, da lei organizzato, con tanto di babysitter per i due angioletti di casa, da lasciare “in buone mani”. Lui non se l’è sentita di fare questa breve vacanza, tanto sognata dalla moglie, lasciando a casa i figli di cinque e otto anni. Meglio sarebbe, secondo lui, andare tutti insieme, si divertirebbero sicuramente anche loro al mare! Ma Francesca ribatte che non ne può piú di stare appresso ai pargoli, che ha bisogno di cambiare aria, pure se solo per due giorni. È comprensibile, ma lui non cede: o con loro o niente. La controversia degenera. Lei tira fuori tutti i sacrifici che ha dovuto fare in questi anni per stare dietro alla famiglia, rinunciando a un lavoro che le avrebbe dato le soddisfazioni che le sono mancate. Lui ribatte che si è caricato di lavoro per far andare avanti tutti dignitosamente con un solo stipendio. I toni si alzano. La lite prosegue per giorni. Lui dorme sul divano in soggiorno. La bandiera multicolore si straccia. Lei decide di chiedere la separazione, pretende la casa di famiglia e il mantenimento per sé e per i bambini. Una piccola discussione è degenerata in un dramma insanabile. Non ci sono le bombe, i cannoni e le mitragliatrici delle guerre fra Stati, ma le ferite sono le stesse: sanguinano gli animi di genitori e figli, soprattutto di questi ultimi.
Però vogliamo la pace. Non riusciamo a chiederla a noi stessi, ma la chiediamo al mondo. La consideriamo irrinunciabile, imprescindibile, ma alimentiamo le baruffe chiozzotte ad ogni piè sospinto, in casa, negli ambienti di lavoro, persino negli ambienti antroposofici… Sí persino in quelli, che dovrebbero essere lo specchio della civiltà che vorremmo costruire, secondo un ordinamento tripartito, un’educazione Waldorf per i piú piccoli, una coltivazione biodinamica per i cibi in tavola, una medicina antroposofica per la cura del corpo, una psicoterapia a orientamento antroposofico per la cura dell’anima, un approccio all’arte secondo la pittura steineriana, l’euritmia artistica, pedagogica e terapeutica. Tutti aiuti che in ogni campo dell’umano scibile ci ha donato il Maestro dei Nuovi Tempi, Rudolf Steiner, il cui sviluppo consideriamo indispensabile per l’odierna società. Per questo ci adoperiamo, spendiamo parole e scritti, divulghiamo in ogni modo all’esterno. Ma all’interno di noi?
Quello individuale è il lavoro piú duro da affrontare. Sappiamo bene come gli altri debbano comportarsi, quanto sia necessario cambiare la società in cui viviamo. Ma cambiare noi stessi è un compito troppo arduo da affrontare. Anche in questo, anzi soprattutto in questo, ci viene incontro l’aiuto di Rudolf Steiner: gli “esercizi”, quel lavoro di trasformazione che si ottiene con la ripetizione quotidiana di semplici regole per lo sviluppo interiore. Come scrive Massimo Scaligero nel prezioso libretto La Via dei Nuovi Tempi, che stiamo inviando in PDF a tutti gli amici che ne fanno richiesta: «La Scienza dello Spirito, di cui gli esercizi sono espressione, non è una religione, bensí un metodo di conoscenza, che dà modo al religioso, cristiano o buddista o islamico ecc., di ritrovare le fonti vive della propria religiosità, e al tipo agnostico o ateo di questo tempo di riconoscere da sé i processi interiori da cui il suo sentimento ateo muove. La Scienza dello Spirito lascia gli uomini liberi, non cerca proseliti: non ha nulla da dire a coloro che sono paghi della propria verità: parla solo a coloro che avvertono la contingenza della propria verità».
In particolare l’esercizio del pensiero puro è quello su cui Massimo insiste, come in queste illuminanti parole del libro Dallo Yoga alla Rosacroce: «Il pensiero non cessa mai di pensare, ma appunto il metodo recato da Rudolf Steiner ai cercatori di questo tempo, consiste nel liberare la continuità scorrente del pensiero dal vincolo all’oggettività sensibile o alla sua eco astratta, cosí che torni ad essere il fluire della Luce: recante l’iniziale presenza del Principio della Luce. La quale ha bensí la forma del fluire ininterrotto, in quanto scaturisce da un mondo d’incessante creatività, ma è profondamente posante in sé: ha in sé la pace abissale del fondamento, la scaturigine della calma inalterabile».
È questo il vento di pace che dobbiamo far sorgere in noi, e intorno a noi, la bandiera non ostentata da sventolare segretamente all’interno delle famiglie, nei luoghi di lavoro, in ogni ambito sociale di cui facciamo parte. Non abbocchiamo all’amo dell’avversione da indirizzare contro il nemico attuale o quello del passato, sempre rispolverato, ossessivamente, per renderlo presente e minaccioso, non cediamo alla propaganda degli infiniti minuti d’odio da donare all’Ostacolatore, che se ne ciba. L’ascetica rinuncia ad avere ragione a tutti i costi, la serena ricomposizione delle controversie, l’armonia che regnerà intorno a noi, sarà la testimonianza che molti vorranno imitare: per far “scoppiare la pace”.
Marina Sagramora