L’idea della reciprocità

Critica sociale

L’idea della reciprocità

Lo Stato politico può anche essere sincero quando sostiene di essere l’unico custode della socialità, ma agisce, in pratica, condizionato da un inarrestabile spirito antisociale, avendo impedito, o per lo meno limitato, soprattutto avendo ignorato completamente l’importanza del fiorire di una libera vita spirituale. Una vera socialità, un’autentica fratellanza non possono che nascere da una nuova esperienza spirituale. Una soluzione sociale che si appella alla sola assunzione razionale dei fatti, non può poi pretendere di mutare o di costruire nulla; non può che registrare, e quindi subire, una realtà umana e sociale già determinata e muoventesi secondo un divenire spontaneo.

 

Lo Stato unitario, lo Stato socialista, le stesse istituzioni democratiche, in quanto prodotto razionale, patiscono tutti lo stesso limite. Solo un mutamento cosciente delle condizioni interiori dell’uomo può cambiare la società. Solo da una evoluzione spirituale può discendere verso l’economia una fratellanza sincera, mediata dalla esperienza di un pensare libero.

 

«Amatevi gli uni con gli altri» Pietro e Paolo

«Amatevi gli uni con gli altri»
Pietro e Paolo

 

L’amore autentico, la socialità, la reciproca tolleranza, il piú grande comandamento cristico: «Amatevi gli uni con gli altri», non si realizzano mediante appelli sentimentali o buone intenzioni dottrinarie. Solo un pensare che abbia superato ogni soggettivo condizionamento esteriore o psichico, può assumere l’oggettività dei fatti economici, recepire oltre alle proprie le altrui necessità, guardare agli eventi senza lo schermo della propria egoità e quindi al loro vero significato. Si può avanzare l’ipotesi che pensiero e moralità attingono a una stessa fonte. Pensare puro e autentica fratellanza, alla luce dell’esperienza gnoseologica di Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner, sono due aspetti di una identica esperienza spirituale dalla quale l’economia attende di essere vivificata.

 

La divisione del lavoro ha rappresentato la forza travolgente mediante la quale il contributo imprenditoriale ha trasformato l’antica economia artigiana e agricola nello sviluppo produttivo attuale. A nostro avviso la scienza economica non ha considerato in profondità che l’essenza di questo impulso va ricercata nell’idea della reciprocità. Non appena gli operatori economici (dagli operai agli industriali) rinunciano a una parte delle loro funzioni per affidarli ad altri, superano la vocazione innata all’egocentrismo; riconoscono l’importanza di capacità diverse dalle loro; si manifesta in quel momento una potenza economica sconosciuta alla modesta divisione del lavoro dell’uomo antico. Una forza che tanto piú è positiva quanto piú è fondata sulla responsabilità e sulla consapevolezza di ogni uomo.

 

Se l’uomo fosse distolto dalla sua normale attività per procurarsi il cibo, per cucirsi gli abiti, per costruirsi un tetto, non potrebbe dedicare se stesso al compito che gli è affidato. La divisione del lavoro all’interno di una azienda è resa possibile dalla sua generalizzazione in tutta la società. In tal modo, pur essendo tutti convinti di lavorare per il proprio benessere e quello della propria famiglia, per la propria carriera, per poter andare in ferie, dimentichiamo che lavoriamo per gli altri e che non potremmo esaudire nessun desiderio se altre persone non ci donassero i frutti della loro opera.

 

Nel momento in cui la necessaria immersione nella materia si andava compiendo, un primo aiuto spirituale, una grandissima forza d’amore, un impulso cristico si sono manifestati al livello piú basso: quello economico, attraverso il principio della divisione del lavoro, indicando alla potenziale libertà dell’uomo la via del futuro.

 

 

Argo Villella

 


 

Selezione da: A. Villella Una via sociale Società Editrice Il Falco, Milano 1978.