Angoscia e speranza nella relazione col bambino

Pedagogia

Angoscia e speranza nella relazione col bambino

Padre e figlio

 

Non ho bisogno di tempo

per sapere come sei:

conoscersi è luce improvvisa.

Chi ti potrà conoscere

là dove taci,

o nelle parole con cui taci?

 

Pedro Salinas, La voce a te dovuta.

 

 

 

Il bambino e la risonanza del mondo

 

Lo spazio di interrelazione generato dall’incontro dell’Io con il Tu schiude uno spazio di percettibilità, di risonanza. In questo spazio di comunione l’Io e il Tu vengono contenuti in uno spazio piú grande: uno spazio dell’Essere che contiene sia l’Io che il Tu.

 

L’Io e il Tu, nel realizzarsi dell’Incontro, sconfinano nel Logos. Sono momenti rari, nel corso della vita, spesso legati ad incontri fondamentali. Possiamo quindi comprendere le parole di Salinas: quando amiamo entriamo in comunione con l’oggetto del nostro amore mediante ‘luce improvvisa’ e non vi è bisogno di altro per sapere chi l’altro sia.

 

La vita infantile è costantemente rischiarata da questa “luce improvvisa”.

 

La vita infantile effonde questa luce conoscitiva, l’atto conoscitivo nei bambini è realmente luce improvvisa, forza di fantasia.

 

La vita conoscitiva del bambino è essenzialmente Zwischen, giacché ogni cosa viene da essa vivificata ed è attraverso questa opera che il processo conoscitivo del bambino trova nutrimento. Vivificando l’inanimato (sia esso il piccolo sasso o il pupazzetto a cui il bambino si rivolge come fosse un amico…) il bambino instaura una relazione “vivente” con l’oggetto con cui entra in relazione e questa relazione è sempre autentica.

 

Vorrei usare le parole di Emmanuel Lévinas per spiegare questo passaggio: «La relazione non può essere ricondotta a un evento “soggettivo”, dal momento che l’Io non si rappresenta il Tu, ma lo incontra. …L’incontro Io-Tu non si compie all’interno del soggetto, si compie all’interno dell’essere.

 

Il “tra-i-due”, l’intervallo tra l’Io e il Tu, lo Zwischen, è il luogo in cui si esercita l’opera stessa dell’essere».

 

Il Cristo e i bambini

 

Lo spazio che i filosofi tedeschi chiamano Zwischen è lo spazio di cui si parla nel vangelo di Matteo (Mt 18:20): «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

 

Giovanni Gentile diceva che il centro della pedagogia non è né il bambino né l’insegnante ma quello che nasce tra l’uno e l’altro.

 

Le esperienze liriche che sottendono ai nostri incontri fondamentali – cosí rari ed intensi – costituiscono, invece, il pane quotidiano della vita infantile. Perché? Perché mentre gli adulti vivono generalmente nelle prospicienze dell’Io, arrivando raramente a ‘sconfinare’ nel Logos, i bambini vivono nel Logos e ‘sconfinano’ nell’Io. Il bambino vive principalmente nel Logos, nell’Essere, in uno stato di effusione continua con tutti gli esseri e le cose, e a poco a poco tende ad ‘individualizzarsi’ (“E il Logos si fece carne”, Gv 1, 14). Da questo stato di effusione, da questa condizione paradisiaca, il bambino prende commiato attorno ai nove anni.

 

 

Sulla sensitività infantile

 

Il bambino osserva

 

I bambini hanno un sistema percettivo estremamente sensibile e diverso dal nostro. Non leggono nel pensiero – e comunque, anche se avessero il dono della veg­genza, difetterebbero in quello della coscienza: non potrebbero cioè comprenderli, i nostri pensieri. I bam­bini ascoltano la sonorità del nostro mondo interiore: una sonorità che il corpo tende a rivelare con estremo nitore. I bambini percepiscono queste sottili modifi­cazioni della nostre voce, del nostro sguardo (quando ad esempio diveniamo improvvisamente cupi) con estrema sensibilità.

 

Lo spazio di interrelazione non è uno spazio virtuale ma un luogo di percettibilità diffusa, di disvelamento. Nel momento in cui io entro in questo spazio – soprat­tutto se dall’altra parte ho un bambino – tutto quel che porto con me e in me, assumerà una valenza comunicativa, formativa, eidetica.

 

 

La malinconia nei bambini

 

Accanto alla corrente dell’angoscia collegata all’assorbimento, da parte del bambino, dell’ansia del genitore, degli adulti a lui prossimi e addirittura dell’ansia che si sviluppa nel sociale, ne esiste un’altra di cui, ad oggi, soltanto Rudolf Steiner sembra aver dato avvertimento. È un tema complesso che non può venir sviluppato in questa sede. Rudolf Steiner sostiene che esiste una correlazione tra chi entra nell’esistenza terrena e chi ne esce, tra le individualità che sono sul punto di entrare nella vita fisica e quelle che hanno appena varcato la soglia della morte. Questo incontro avviene quindi al confine della vita, nel sovrasensibile.

 

Bambino triste

 

Steiner spiega che sempre di piú si potrà osservare nel bambino piccolo un’espressione triste e malinconica, e questo sin dai primi giorni di vita. «In questa espressione – dice Steiner – vive qualcosa di un’atmosfera interiore di rifiuto ad entrare nell’esistenza».

 

Questo fenomeno è collegato, secondo Rudolf Steiner, ad un avvenimento prenatale, quello dell’incontro tra le anime che hanno appena varcato la soglia della morte con quelle che sono sul punto di entrare nella vita fisica dalla porta della nascita. «Questo incontro è responsabile dell’impulso che imprime questa malinconia particolare nei bambini. Non vogliono entrare nel mondo che questi incontri prenatali hanno fatto loro intravedere».

 

In uno dei suoi testi fondamentali, Teosofia (O.O. N° 9) Steiner descrive come l’anima, nel momento di incarnarsi acceda ad una visione prospettiva della sua futura esistenza. Attraverso tale visione essa coglie le prove e gli ostacoli che dovrà superare. L’incontro responsabile dell’“impulso che imprime malinconia” avviene dopo questa visione prospettica, quando le individualità hanno già scelto di incarnarsi.

 

La psicologia prenatale sostiene, in modo limitante, che paure, angosce e depressioni della madre durante la gravidanza, potrebbero avere ripercussioni sulla salute del bambino. Sotto questo nuovo punto di vista sarebbe opportuno chiedersi se – in virtù di questa “sfera comunicativa” – le depressioni delle madri non siano dovute, almeno in parte, alle esperienze prenatali compiute dalle anime dei bambini.

 

Dobbiamo immaginarci queste esperienze delle individualità “in avvicinamento alla terra”. Vengono colte (e non da un’angolazione soggettiva, bensí da una prospettiva piú ampia) le correnti di distruzione che operano a danno della natura e che minano l’evoluzione dell’uomo. È questo il momento in cui avviene l’incontro con le anime che hanno oltrepassato la soglia della morte e che riportano il loro messaggio da un mondo (il nostro) pervaso da forze di morte. Rudolf Steiner definisce queste forze, nel 1919 (l’anno della Tripartizione sociale), come la fede cieca nella scienza, lo sciovinismo nazionale e di partito, il modo di vivere materialistico, l’imbavagliamento confessionale della vita spirituale e religiosa.

 

Alla luce di queste considerazioni possiamo comprendere la reale forza di coraggio che pervade le anime dei bambini delle nuove generazioni.

 

 

A protezione dall’angoscia. Affinché non urga su di loro il mondo

 

Se si riuscisse a dire al bambino: «Guarda, oggi la mamma è un po’ sofferente perché ha avuto una brutta giornata», oppure: «Il papà è un po’ triste in questi giorni, perché deve sbrigare una certa faccenda sul lavoro», al bambino potrebbe venir offerto un certo orientamento nel campo emotivo, e la sua sensibilità giustificherebbe il disorientamento momentaneo cagionato da certe estraneità afferenti alla relazione con gli adulti di riferimento.

 

Papà triste

 

«La mamma è un po’ preoccupata, ma ti vuole sempre bene»: parole simili a queste potrebbero già risolvere molte condizioni impegnative. A livello sociale siamo però giunti alla conclusione che i pensieri siano simili ad aria fritta: privi di valore, sempre pronti ad essere spostati, nascosti o rimossi. Ed è proprio questo il problema che genera angoscia nel bambino: la mancata coincidenza tra le sue perce­zioni (ad es.: c’è qualcosa che non va nel papà, o nella mamma, in questi giorni) e il comportamento dissimulatorio degli adulti. Questa disarmonia pro­duce e fomenta angoscia, poiché genera una frattura nell’organismo percettivo del bambino.

 

Immaginate cosa voglia dire per un bambino vivere la crisi matrimoniale dei genitori, oppure il divorzio, con la percezione intima della ‘crisi’ a cui corrisponde, invece, la recitazione del ‘va tutto bene’! Quale dissociazione si può generare nel loro essere!

 

Pensate che questa attitudine a dissimulare nasce perché ormai si ritiene sano estraniare il bambino dalle esperienze di condivisione o di relazione con il dolore. Eppure i bambini provano dolore e contrizione. E senza la conoscenza del dolore i bambini non possono sviluppare il sentimento della compassione: la mancata conoscenza del dolore (il dolore per un ginocchio sbucciato, il dolore per la perdita del nonno…) esenta dalla condivisione del dolore altrui.

 

Per ottundere la morsa dell’angoscia che investe la sensibilità dei bambini occorre creare spazi di risonanza in cui il bambino possa riequilibrare la fiducia nel proprio organismo percettivo. È un compito importante che riguarda la pedagogia curativa e che, per essere sviluppato, avrebbe bisogno di una conferenza a parte.

 

Se lo Zwischen non esistesse, se la sfera comunicativa di cui abbiamo parlato non ci fosse, allora tutto il nostro discorso sarebbe assolutamente vano e potremmo continuare a orientare le nostre relazioni secondo prassi. Potremmo rendere ancora piú smagliante la recitazione della vita perfetta: proprio in virtú di questa finzione le cose dovrebbero migliorare notevolmente sia in noi che attorno a noi.

 

Se invece questo spazio di interrelazione ci convince, se questo luogo di disvelamento è logicamente ammissibile, allora potremmo considerare questo spazio come un luogo di verità. Quando incontriamo l’altro siamo obbligati alla verità, poiché essa, in un modo o nell’altro, salta fuori. Quello che stiamo dicendo sui bambini ne costituisce un esempio eclatante. Possiamo nascondere loro la verità, ma poi ecco che qualcosa si incrina, ecco che iniziano a non stare bene. Ed allora ci chiediamo il motivo e ci appare cosí stupido pensare che tutto sia nato da una nostra bugia detta magari a fin di bene!

 

E qui vorrei dire una cosa sulla sincerità, prima di concludere.

 

Tanti anni fa chiesi ad un mio piccolo alunno – un bambino molto fantasioso e con una certa disposizione a raccontare bugie – se fosse stato lui a compiere una determinata malefatta. Mi sentivo come uno dei commissari delle serie televisive: avevo finalmente raccolto un certo numero di prove e testimonianze: la mia ricostruzione, poi, sarebbe stata inattaccabile! E cosí, alla fine della mia arringa, dissi ad Alessandro: «Questa volta dovrai dirmi la verità. Allora, sei stato tu? Sei stato tu?!».

 

Alessandro abbassò lo sguardo e disse: «Ma se dici cosí, come faccio?».

 

Alessandro con quella frase mi stava comunicando che lui la verità la stava esprimendo con ogni fibra del suo essere, ma un’ammissione di colpevolezza non è “la verità”.

 

I bambini non hanno bisogno di prove e neppure di una verità spiattellata come fosse una notizia. Ciò che interessa ai bambini è l’esperienza pre-dialettica della verità, la sua essenza. Non dobbiamo spiegare al bambino i motivi della nostra preoccupazione, ma possiamo dirgli: «Sí, è vero quello che senti. Io però resto qui con te. Puoi giocare mentre sbrigo le mie faccende: domani sarà tutto passato». Questo dialogo ha una profonda validità per i bambini.

 

È da questi momenti che l’angoscia si mutua in speranza e genera una corrente che – come un fiume – ci permette di incontrare il tempo futuro.

 

Permettetemi di chiudere con i versi della poetessa Beatrice Niccolai. Le licenze poetiche sono legate alla forma vernacolare della poesia. Mi piace questo componimento perché rappresenta la visione di chi ha trasformato l’angoscia in speranza. Ed è bellissimo, quando non si è piú travolti dagli eventi, lasciarsi condurre dallo scorrere del tempo o da quello dell’acqua.

 

 

Fiume scorre

 

C’è un incantesimo per ogni disgrazia

che nasce senza permesso nella solitudine.

Se tu m’avessi chiesto

cosa avrei voluto dalla vita,

t’avrei detto che avrei voluto il rumore dell’acqua

che accarezza inquietudini e rimuove certezze,

che inonda e cancella rughe di tempo

in cui ha la sua eternità l’anima.

Se tu m’avessi chiesto un sogno,

t’avrei detto quanto sarebbe stato bello

ascoltare con te accanto il rumore dell’acqua,

nell’inquietudine di una vita che passa.

Di tutto quel che è stato

rimane soltanto il rumore di un fiume che scorre.

 

 

Nicola Gelo (3. Fine)