Oltre il mito della normalità

Pedagogia
Oltre il mito della normalità

PER UN’OSSERVAZIONE DEI BAMBINI – II parte

Io guardo ogni cosa come se fosse bella.

E se non lo è, vuol dire che devo guardare meglio.

 

Franco Arminio, La cura dello sguardo

 

 

genitori e insegnanti

 

Se ogni essere umano è unico e irripetibile dob­biamo allora cercare, di volta in volta, una via verso un’unica e irripetibile modalità di comprensione.

 

Dobbiamo creare dei luoghi in cui permettere a genitori e insegnanti di scambiarsi sguardi sul bambino e non giudizi o supposizioni: osservazioni poetiche in grado di cogliere l’essenziale delle percezioni.

 

Ogni sguardo gettato sul mistero del bambino arricchisce o impoverisce la vastità del suo essere. Abbiamo bisogno di spazi fondati sulla comunione dello sguardo.

 

Possiamo dire che il bambino è estremamente sensibile all’ambiente che lo circonda, alle aspetta­tive che quell’ambiente ha su di lui, ai pregiudizi nutriti su di lui. Il bambino può arrivare a diventare la somma dei nostri pregiudizi e timori. Tutto quel che avviene tra il bambino e l’ambiente avviene in una dimensione comunicativa. E se si accetta questo pensiero, se si ritiene cioè che il bambino non è conformato dall’ambiente ma è sensibile all’“atmosfera” che c’è nell’ambiente, allora è possibile anche prendersi cura di lui partendo dalla qualità del nostro osservare, del nostro sguardo. Lo sguardo che cura è lo sguardo che non giudica, lo sguardo che sa divenire spazio di ascolto, di comunicazione. Ciò che ci introduce in questo spazio è l’attenzione e il desiderio di incontrare il bambino senza alcuna finalità specifica, senza nessuna necessità analitica, ma per il solo desiderio di incontrarlo. Non dobbiamo aver la pretesa di aggiustare o cambiare le sue unilateralità. Rimaniamo attenti a ciò che del bambino vuole rivelarsi.

 

Il bambino ha le sue buone ragioni per manifestarsi in un certo modo anche quando le sue modalità ci appaiono incomprensibili. Permettiamo al bambino di legittimarsi nell’incomprensibilità. I suoi comportamenti possono risultare come dei geroglifici che nessuno decifra ma che tutti possono leggere. L’entusiasmo e l’attenzione per il bambino – non subordinati ad un scopo specifico, alla necessità di “aggiustare” i problemi del bambino – ci permetteranno di incontrare il suo mistero. L’attenzione libera da pregiudizi è la piú alta forma dell’intelligere umano.

 

Ma a cosa dobbiamo prestare attenzione? L’attenzione dobbiamo rivolgerla alle piccole cose, ai piccoli gesti, all’impercettibile manifestazione dell’essere del bambino che interrompe la continuità dei suoi comportamenti. L’essere del bambino si manifesta attraverso un processo di discontinuità.

 

Quando giudichiamo il bambino sulla base di impressioni o esperienze passate, sfavoriamo l’agire di quelle forze che – riscaldate dalla nostra fiducia – diverrebbero forze di coraggio e permetterebbero al bambino di superare particolari situazioni di crisi.

 

 

Marco e gli altri. Un esempio

 

Bambino

 

Marco, sette anni, è sempre in movimento; si muove in con­tinuazione da un punto all’altro della stanza. Apparentemente i suoi movimenti sembrano dettati dalla frenesia. Concede poco spazio agli sguardi e parla in modo essenziale. È sempre sor­ridente, pallidino, la sua pelle è delicatissima, quasi trasparente: le ramificazioni delle sue vene si osservano in modo distinto lungo le braccia, in prossimità delle tempie, sulle guance. Il suo continuo movimento non ne inficia l’attenzione. Anzi. Marco sembra captare nell’aria tutto quello che accade attorno a lui.

 

Quando la classe tende alla concentrazione, Marco diventa ancora piú irrequieto. Cerca di far ridere gli amici, si comporta da clown. Giorni fa un uccellino si è posato poco distante da lui, sull’erbetta del prato. Marco è riuscito ad avvicinarsi con rara delicatezza ed ha sussurrato qualche parola all’uccellino arrivando addirittura ad accarezzarlo. Non avevo mai notato la sua delicatezza, la sua particolare sensibilità, la sua armoniosità nei movimenti. Quando l’uccellino è andato via Marco, dopo un istante di silenzio, ha ripreso a vorticare qua e là.

 

Qual è il motivo che orienta il movimento di Marco? Come è possibile che questa frenesia non escluda l’attenzione del bambino?

 

Per Marco ho appuntato questi pochi versi:

 

Precedere i tuoi sguardi

è saperti già altrove,

dove vola un sorriso

quando inciampa

in un nuovo stupore.

 

 

È l’ineffabile a rivelarci l’essere del bambino. Per cogliere l’ineffabile abbiamo bisogno del linguaggio dell’arte. Ecco perché occorre parlare del bambino attraverso l’arte, con l’arte e artisticamente.

 

Se provassimo a descrivere a un amico la persona di cui siamo innamorati, cercheremmo parole poetiche, prenderemmo in prestito frammenti di liricità da qualche canzone o poesia, mai ci sogne­remmo di esibire la sua cartella clinica, di parlare delle sue transaminasi.

 

I bambini ‘problematici’, invece, si tende a concentrarli, a comprimerli, incasellarli entro perimetri diagnostici. La conoscenza della diagnosi – quando c’è – non implica la conoscenza del bambino.

 

 

L’Imitazione

 

Come può, il bambino, afferrare la bontà del mondo, in questo tribolato periodo e nelle attuali condizioni sociali? Cosa è davvero degno di imitazione, ossia di esperienza interiore?

 

nonno alla finestra

 

Il bambino si esprime attraverso un processo che chiamiamo imitativo: egli è l’imitatore. Il bambino abita le forme, inverandone processi e linee di forza interni. Nel bambino – ancora immesso entro un’atmo­sfera edenica – vita e conoscenza non sono separate. Egli imitando diviene la neve, il candore della neve e la sua levità; diviene il nonno che osserva quieto il paesaggio alla finestra e diviene tanto la quiete del nonno quanto il paesaggio alla finestra. Questo è il processo imitativo del bambino: non un solo imitare suoni, parole o le espressioni facciali della mamma e del papà. L’imitazione è un atto creativo, restitutivo. Cosí come il poeta scrive una poesia dopo aver osservato intimamente il fiume, il bambino imita qualcosa dopo aver sperimentato intimamente la forza operante in tale cosa ed esprimentesi attraverso un gesto.

 

Quando la mamma è triste il bambino lo avverte: il suo imitatore interiore (la sua straordinaria abilità di abitare le forme) ha già tastato la qualità del sentimento della mamma, ma non ha un nome per definire ciò che avverte. Per questo occorre che la mamma dica al piccino (e senza troppi senti­mentalismi): «Oggi la mamma è un po’ triste: passerà presto». Il bambino allora si acquieterà poiché avrà trovato il nome per quel nuovo sentimento: “La mamma è triste ma mi vuole bene. Io sono tranquillo e gioco con i miei pupazzetti accanto a lei”.

 

 

I Media: o delle immagini deteriori

 

mela di vetro

 

Ci sono immagini, impressioni e percezioni deteriori. I bambini si confrontano con esse. Cosí come non potremmo ingerire e metabolizzare una mela di vetro, allo stesso modo il bambino non potrà imitare immagini prive di vita. Il bambino può imitare la vita, non la sua assenza. E per assenza intendo il nulla.

 

La realtà digitale non rende possibile l’inverarsi del processo imitativo. L’essere del bambino non può afferrare le cose dall’interno. Tali cose non hanno realtà interiore. I bambini di oggi sono sempre piú disposti alla relazione con la tecnologia, sono sempre piú pronti al confronto con questo elemento. Lasciare tra le mani di un bambino di pochi anni uno smartphone con il proposito – neanche troppo inconscio – di rabbonirlo, significa agire in modo subdolo. Lo smartphone non è un carillon e l’effetto che suscita è quello di rimbabire ed eccitare, sovrastimolare.

 

La sovrastimolazione della sfera imitativa, in caso di un eccesso di stimoli esterni (si pensi al continuo essere immessi nella realtà digitale, al partecipare costantemente a mille attività extra­scolastiche senza aver tempo per riposare, ad una relazione continua e frequente con impressioni non imitabili…), produce frenesia, poiché quando le immagini, le esperienze sensoriali sovrabbondano, il processo imitativo interiore dapprima si blocca (e lo vediamo nel caso dei bambini che restano imbam­bolati davanti allo smartphone di mammà) e poi, per ripristinare la sua funzionalità “deve darsi uno scossone”, deve opporre a quella paralisi una controforza in grado di ristabilire la normale processualità. Le manifestazioni di rabbia o nervosità di bambini e ragazzi quando un adulto intima loro di smettere di utilizzare lo smartphone, il computer o la Tv, sono collegate a questo motivo: sono “scossoni”, shock che l’organismo infligge a se stesso.

 

L’essere del bambino, bloccato davanti allo schermo (si perde infatti la concezione del tempo di fronte agli schermi) deve riavviarsi, ma non vi è alcuna volontà: la volontà è come paralizzata. Allora occorre uno scossone per liberarsi dal blocco.

 

Piú è profondo il blocco è piú forte sarà lo scossone che il bambino o il ragazzo dovranno infliggersi.

 

 

Immagini di fantasia e rappresentazioni

 

Il bambino a cui viene raccontata una storia, deve ricreare con la sua capacità immaginativa il con­tenuto della storia. La storia raccontata – e pensata per essere raccontata a dei bambini – non potrà ferire l’essere del bambino. Sarà il bambino, con le sue stesse forze, ad immaginarsi il lupo cattivo. Il bambino posto di fronte ad un cartone animato verrà sempre e comunque sopraffatto dal contenuto di una rappresentazione che non è costruita a misura del proprio essere e che, inoltre, condannerà l’imitatore interiore del bambino all’assoluta immobilità.

 

L’immobilità conoscitiva dei giovani è una metamorfosi dell’immobilità imitativa del bambino. L’immobilità imitativa atrofizza le forze di creatività nel successivo sviluppo della vita.

 

Ci sono bambini la cui immobilità imitativa rappresenta quasi una chiusura al mondo. Il mondo sopraffà l’essere estremamente sensibile del bambino. Tali bambini e ragazzi compiono questo gesto di chiusura poiché la loro sensibilità è tale da porli costantemente in uno stato fusionale con le altre persone. Colgono l’essere dell’altro con straordinaria sensibilità. Gioie e dolori altrui agiscono in loro in modo straordinariamente potente: è come se perdessero temporaneamente il confine tra l’Io e il Tu.

 

La manifestazione di chiusura è sempre la stessa: un cappuccio calato sulla testa, sguardo basso, mani nelle tasche, cuffiette negli orecchi. Dietro ad una stessa maschera però vi sono esseri estrema­mente diversi. È fondamentale per genitori ed educatori evitare di formulare giudizi sui propri ragazzi sulla base di patologie sociali generalizzate.

 

Gesti pieni di senso (il contadino che semina il grano, il maestro che dirige il coro, la dottoressa che cura chi ha bisogno di aiuto…) e parole colme di significato, si trasformeranno, col tempo, in impulsi di coraggio con i quali incamminarsi oltre i confini della propria infanzia.

 

 

Nicola Gelo (2. Fine)