Picnic

Poesia

Picnic

 

Diversi anni dopo la gita alla Madonna del Sorbo con Massimo, di cui ho parlato nel precedente articolo, decidemmo con mio marito Fulvio e gli allora bambini Shanti e Glauco di ripetere la gita in quel luogo che ricordavo solitario e incontaminato. Nel tempo la località doveva essere diventata ben cono­sciuta, perché trovammo diversi gruppi di persone disseminati lungo le zone aperte dei prati ai lati della salita al Santuario e lungo le rive del fiume Cremera. In particolare una famigliola deve aver attirato l’attenzione di Fulvio, perché al ritorno scrisse questa poesia, ben in contrasto con l’atmosfera rarefatta che ricordavo dalla prima visita.

 

M.S.

Cremera2

 

Arriva una famiglia numerosa

completa di nonnetti stagionati:

sbarcano da un furgone turbodiesel

insieme a un bric-à-brac di masserie,

pentolame ed un grill con carbonella.

Zittiscono gli uccelli tra le fronde,

smettono il cra-cra-cra le raganelle,

se la svigna il torrente tra i lentischi,

alberi ed animali stanno all’erta

di fronte a un gruppo tanto rumoroso

di gente assatanata di natura,

vogliosa di tornare ai giorni lieti

godendo dei piaceri saporosi

di cibi e vini non adulterati,

in un ambiente senza inquinamento.

Passano in lontananza pecorelle

che brucano la ruca e la mentuccia,

cavalli bradi sgroppano felici

ed un pastore zufola una nenia

da un piffero di canna presso il gregge.

Sembra l’Arcadia fine Cinquecento,

o lo scenario della Grecia antica.

Dura poco l’incanto ché il vecchietto,

riscoprendosi scaltro fungarolo,

con un rastrello sarchia il sottobosco,

rovinando genziane e ciclamini.

La mamma spezza rami di mirtilli

per la tisana della buonanotte

e il babbo con l’accetta cava legna

potando un sorbo dalla cima al fondo.

I piccoletti vanno nel ruscello

a catturare rane per un fritto

che si prospetta raffinato e ricco,

senza spendere un soldo, che non guasta.

La sorellina con la vecchia nonna

spoglia la valle di cicoria e malva,

di corbezzoli, more e nipitella.

Avanzano lasciando la campagna

orfana d’ogni traccia di verzura,

come fanno in Namibia le locuste.

Viene alla fine l’ora del banchetto

e gli orchi si raccolgono al bivacco,

spolpando il pollo arrosto e le braciole,

trincando a garganella vino in fiaschi.

Si spandono per tutta la vallata

versi scomposti, sghignazzate e lazzi,

mentre cartocci coprono la terra

insieme alle lattine, ai tappi, agli ossi.

Appena cala il sole se ne vanno.

Resta avvilita e spoglia la radura,

offesa dallo sfregio che ha subíto.

 

Folletti e rifiuti

 

A notte fonda, al lume della luna,

escono due folletti da una quercia:

tentano di sanare le rovine

riportando armonia nella natura.

Uno di loro sospirando esclama:

«Ma quanto durerà questo regime?

Io sono stufo d’acconciare i danni

di questi bambinoni senza garbo,

corti di mente e tanto sporcaccioni!».

«Pazienza ‒ dice l’altro ‒ ci vuol tempo

perché la verità venga alla luce.

Un giorno, sono certo, capiranno».

«Sarà come tu dici ‒ fa il collega. ‒

Per me non dura molto la cuccagna.

Di questo passo capiranno, forse,

ma mi domando cosa mangeranno!».

 

 

Fulvio Di Lieto