Gita alla Madonna del Sorbo

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Gita alla Madonna del Sorbo

La Madonna del Sorbo dall'alto

 

Quella domenica mattina Massimo Scaligero mi chiese di essere accompagnato in un luogo diverso dal Guadagnolo, dove di solito ci dirigevamo. La località gli era stata consigliata da un amico, che ne era rimasto entusiasta: era la Madonna del Sorbo, un santuario nel parco di Veio. Diversa la direzione, questa volta non la Prenestina ma la Cassia, verso Formello. Era una fredda giornata di febbraio, e un pallido sole si affacciava ogni tanto dalle nuvole cercando di mandare qualche raggio tiepido sulla natura intirizzita. Una volta giunti ai piedi della rocca che si ergeva imponente, lasciammo la macchina per percorrere a piedi la salita tra l’ampia e fitta vegetazione che ricopriva tutta la zona.

 

Pecore al riparo

 

Avevamo percorso un breve tratto di strada, quando sentimmo provenire da una fatiscente costruzione alla nostra sinistra un concerto di belati. Ci avvicinammo e vedemmo all’interno di uno stanzone una gran quantità di pecore ammassate. Avevano di certo passato la notte lí, per ripararsi dal rigore invernale. In un angolo c’era il pastore, verso il quale si diresse Massimo, che iniziò con lui una fitta conversazione. Il dialogo era probabilmente interessante, perché proseguí a lungo con evi­dente soddisfazione di entrambi. Non mi sentivo molto a mio agio cosí circondata da quel gran numero di pecore belanti, ma cercavo di non mostrarlo.

 

Pastore con pecore

 

Finalmente il pastore decise che era l’ora di muoversi, e il cane, che era stato tranquillo fino a quel momento, cominciò, abbaiando, a spronare le pecore verso l’uscita. In poco tempo tutte furono all’esterno e il pastore si diresse verso l’aperta campagna, salutando calorosamente Massimo e con un cenno di saluto a me.

 

A quel punto mi accorsi di un fastidioso formicolío alle gambe, e chinandomi a guardarle rimasi impietrita: erano completamente ricoperte di pulci! Anche Massimo aveva i pantaloni carichi di neri insetti, ma non ne sembrava preoccupato, e mi rassicurò sorridendo. Si rivolse a loro con molta gentilezza e le pregò di liberarci della loro presenza. Subito le nostre gambe furono completamente libere, neanche una rimase su di noi, e Massimo le ringraziò. Lo avevo visto parlare amichevolmente con molti animali: con le mucche maremmane dalle lunghe corna, che al tramonto, proprio a Formello, tornavano alla stalla, e persino con il serpente che andava a bere ogni mattina al fontanile della casa dell’Olgiata, dove lui aveva passato un’estate, ma non pensavo che potesse parlare anche agli insetti e che da loro fosse ascoltato! Immagino che egli si rivolgesse in particolare agli esseri elementari che governano quelle creature.

 

La salita non era troppo ripida e la strada era piacevole da percorrere, perché piena di una grande varietà di piante comuni e medicinali. Massimo le conosceva tutte e le nominava, aggiungendo le qualità e i benefíci di ognuna. Sapevo che leggeva la “segnatura” delle piante, e diceva che l’uomo in futuro avrebbe riconquistato quella virtú perduta dal passato: la capacità di cogliere, attraverso la forma, il colore e il profumo, il loro utilizzo ai fini terapeutici. In primavera avevamo colto insieme l’equisetum, da cui avevo tratto, dopo lunga bollitura, un liquido rosso che lui considerava un ricostituente, che conservavo nel piccolo frigo di via Cadolini, e di cui prendeva un cucchiaino al giorno.

 

Cascata della Mola

 

A tratti costeggiavamo il fiume Cremera, che nel suo percorso forma delle cascatelle e una piú imponente: la cascata della Mola. Giunti sulla cima arrivammo al santuario, che trovammo però chiuso. Ci dispiacque molto, perché avremmo voluto vedere il quadro della Madonna miracolosa. La leggenda diceva che quell’immagine era stata trovata su un albero di sorbo da un guardiano di maiali, mutilato della mano destra, che pascolava una mandria in quel bosco ricco di ghiande. Una delle scrofe si allontanava ogni giorno per tornare piú tardi. Il giovane decise allora di vedere dove si dirigesse, e la trovò sotto un albero sul quale era posto un quadro della Vergine. La Madonna apparve in sogno al ragazzo e gli disse di chiedere agli abitanti del paese di costruire nel luogo un santuario. Per convincerli avrebbe compiuto un miracolo. Davanti a tutti il giovane mostrò la sua mano ricresciuta. Il miracolo convinse tutti gli abitanti e il santuario fu costruito.

 

Madonna del Sorbo

 

Il quadro è tuttora custodito al suo interno, e nel tempo tanti altri miracoli gli sono stati attribuiti.

 

Le ampie arcate all’esterno della chiesa offrivano un buon riparo se fosse venuta la pioggia, cosí decisi di fermarmi lí e di non proseguire. Massimo invece si allontanò per trovare la zona piú adatta per la sua osservazione della natura e per l’esercizio, per lui fondamentale, della percezione pura.

 

Tornò piú tardi, rinvigorito, e consumammo sotto i portici il pranzo al sacco che avevo portato.

 

Santuario del Sorbo

 

Il tempo non era migliorato, e sotto una pioggerellina leggera tornammo alla macchina. Durante il percorso di ritorno Massimo parlò della vita libera, in natura, del pastore, che veniva dalla Sardegna, d’inverno in pianura, d’estate in montagna. Nessun accenno al suo “discorso agli insetti”, né io osai piú accennarvi…

 

 

Marina Sagramora