La storia di questo splendido fiore, carico di simboli e miti, e del quale, ogni anno, possiamo vedere la fioritura a maggio, affonda le radici in millenni trascorsi, quando l’uomo ancora vedeva gli Esseri che vivevano nei fiori, nelle piante e negli alberi, e dei quali una Scienza sempre piú materialista ha chiuso ormai l’accesso.
Almeno cinque sono le specie di Asfodelo presenti in Italia, tra cui le piú note sono l’Asfodelo bianco, o montano, piú comune da osservare, e quello giallo, l’Asphodeline lutea dei botanici. È una liliacea, pianta perenne, le radici sono tuberi lunghi e stretti, i fiori stellati, di un giallo splendente, i frutti sono capsule lucide di colore verde intenso, che contengono semi neri a sezione triangolare. Cresce in luoghi aridi e sassosi fino a quote di 1.700 metri.
Il nome asphodelos, dal greco antico, significa che non vacilla, che perdura, luteus in latino indica il colore giallo oro, con riferimento ai fiori di un giallo sgargiante.
Prima di addentrarci nei suoi aspetti legati al Mito e alla Tradizione, vogliamo descrivere gli usi di questa pianta. Plinio il Vecchio nella sua Historia Naturalis cita l’Asfodelo bianco ricordando che: «Sono particolarmente gustosi i suoi semi abbrustoliti o i bulbi arrostiti nella cenere e poi conditi con sale e olio; diventa una leccornia se pestato insieme ai fichi».
Inoltre la pianta veniva seminata vicino alle porte delle case come rimedio contro i sortilegi. Sempre Plinio riferisce che l’Asfodelo si chiamava pure “hastula regia” cioè “scettro”, per manifestare la sua potenza superiore.
Piú tardi, nel 1585, Castore Durante, il medico, botanico e poeta di Gualdo Tadino, cosí scrive dell’Asfodelo nel suo Herbario Nuovo: «I fiori della cima sono spicati e bianchi, quantunque se ne trovi una specie che fa i fiori gialli a modo di stella, ….da’ miglioramento ai veleni della scolopendra e dello scorpione, la radice, bevuta, fortifica gli appetiti di Venere, giova al trabocco di fiele e caccia fuori le pietre dai reni». Vengono da lui citate altre proprietà: emolliente, rinfrescante e decongestionante per pelli irritate, per gli eritemi e scottature solari. Era impiegato anche come diuretico e anticatarrale, una sua preparazione, instillata nell’orecchio, ne curava i problemi. Il carbone ottenuto dai fusti della pianta infine ha una funzione assorbente utile nelle terapie tossicologiche. Molte di queste proprietà sono pure riconosciute dalla medicina fitoterapica di oggi.
In Sardegna ha radici molto antiche la preparazione ad intreccio dei cesti fatti con le foglie dell’asfodelo.
In Puglia le foglie fresche sono impiegate per avvolgere la tipica “burrata”, perché ne conservano la freschezza e conferiscono al prodotto una particolare nota aromatica.
Oltre all’impiego di questa pianta in medicina e nella tradizione popolare, un argomento interessante e suggestivo è quello che della mitologia e delle leggende ad essa legate.
Nell’antica Grecia e poi a Roma, l’Asfodelo era associato al culto dei defunti, sacro all’Ade e a Persefone.
Omero nella sua Odissea, canto IX, narra: «Là dove gli Eroi sono caduti, i prati sono cosparsi di asfodeli, e accompagnano le loro anime nell’Ade». E nel Canto XI, quando Ulisse evoca lo spirito dei defunti:
…Dissi; e d’Achille alle veloci piante
per li prati d’asfodelo vestiti
l’alma da me sen giva a lunghi passi,
lieta, che udí del figliuol suo la lode.
[Traduzione di Ippolito Pindemonte].
A Roma Porfirio racconta che questi fiori venivano posti a dimora sopra i sepolcri, e già prima, per le popolazioni Italiche, l’Asfodelo era messo in rapporto con Saturno, il Crono dei Greci, il dio autenticamente italico.
Saturnus, in origine divinità essenzialmente agricola, era il dio dei campi seminati, protettore delle messi, datore di benessere e prosperità. Suo il mito della Saturnia Tellus, la Terra di Saturno, identificata con l’Italia tutta, la fertile e sacra terra cantata da Virgilio.
A Saturno è collegato il simbolo della falce, strumento agricolo ma pure significante ciò che taglia, pone termine. Esso gli fu attribuito poiché, come scrive Macrobio nei “Saturnalia”: «…il tempo tutto miete, taglia e ferisce».
I Romani consideravano Saturno il padre della Verità, perché nella favolosa Età dell’Oro, quando Saturno regnava, non esisteva la menzogna.
Da qui anche il collegamento con le Parche, le Moire dei Greci o le Norne per i popoli del Nord. Le tre Parche erano Cloto, colei che fila il filo della vita, Lachesi, che lo misura, infine Atropo che lo recide.
Qui termina il nostro percorso sui sentieri dei Miti dove l’Asfodelo fiorisce, dove gli Esseri ancora vogliono parlare al cuore dell’uomo. Sappia egli ascoltarli.
Davirita