Matrimonio

Sintonia

Matrimonio

matrimonio

 

In questo periodo storico l’umanità sembra pronta ad intraprendere un percorso di revisione del proprio legame con l’elemento trascendente. Cosí, anche il vincolo del matrimonio sembra da un lato soggiacere ad un processo di “dissolvimento dell’ovvio”, per cui sarebbe giusto – per una serie di ragioni – non sposarsi piú, oppure ad una “varia­zione di significato” per cui sarebbe giusto – ad esempio – sposarsi soltanto dopo una collaudatissima convivenza (ci sono intellettuali che parlano di trent’anni di convivenza), oppure sposarsi per offrire una festa priva di particolare significato, una sorta di ponte solidissimo tra due rive inesistenti.

 

 

“Tutto passa, ma tutto rimane”

 

Ogni azione umana genera storia. E la storia che generiamo non si cancella ma resta inscritta nel mondo, nel cosmo, anche se noi non ne siamo consapevoli.

 

Le sorti dei bambini i cui genitori affrontano un divorzio non sono diverse da quelle dei bambini i cui genitori si dividono senza problemi perché non soggiacenti a vincoli di natura legale. La storia scritta dai genitori si imprime in una storia piú generale e travolge i piccoli, i nonni, gli insegnanti e le figure che dovranno ammortizzare quella divisione. Il matrimonio ci ricorda dunque che inscri­viamo la nostra storia nei caratteri generali del mondo, e il concetto di divorzio non implica il concetto spirituale di separazione, giacché in molti casi il destino di coloro che divorziano non si risolve, bensí si complica e infittisce. Il reale destino di tali unioni si svela proprio nel momento in cui l’azione individuale vorrebbe sciogliere quanto precedentemente unito.

 

 

“Se tutto un infinito ha potuto raccogliersi in un corpo, come da un corpo disprigionare non si può l’immenso?”

 

Se il Tutto è già contenuto nell’Uno, allora ragionevolmente il matri­monio non dev’esser con­siderato come una forma di cauta partecipazione al destino dell’altro. Occorre celebrare l’inizio e non la fine: poiché la storia individuale si imprime da subito nella storia generale e dunque cele­brando l’inizio vi inscriviamo la compiutezza della fine e ne incoraggiamo il compiersi, poiché il compimento della storia individuale è il compimento della storia dell’umanità. Vi è un tempo che agisce da una prospettiva che è contraria alla nostra abituale concezione lineare del tempo.

Adesso

 

Giova ricordare, tra i tanti, il lavoro meri­torio di Richard A. Muller, un fisico statuni­tense che nel 2016 ha pubblicato un libro dav­vero interessante: Adesso – La nuova fisica del tempo.

 

Segreti dello spazio e del tempo

 

Massimo Scaligero dal canto suo ha scritto un libro immenso sull’argomento, intitolato Segreti dello spazio e del tempo.

 

Non saremmo liberi come esseri umani se non avessimo la possibilità di tradire il senso stesso delle nostre scelte, dei nostri impegni, di tradire la nostra fedeltà “all’essenza stessa della fedeltà”.

 

A volte è proprio il ‘tradire’ (dal latino tradĕre – consegnare) a farci provare l’illusione della libertà. Ma cosa tradiamo? Tradiamo il senso di un accordo assunto liberamente, ‘consegniamo’ di fatto la nostra stessa libertà nell’illusione che l’operazione del consegnare potrà restituirci ciò che nell’atto del tradire realmente consegniamo.

 

Per questa ragione, Antoine de Saint-Exupéry, nella sua opera postuma, Cittadella, scrive: «Non si può essere fedeli in un campo e infedeli in un altro. Chi è fedele è fedele sempre».

 

La fedeltà riguarda l’Io non l’altro, ed è per questo che “chi è fedele è fedele sempre”.

 

 

“Beata solitudo, sola beatitudo”

In mezzo a loro

 

È ragionevole credere che si stia meglio soli perché, come dice il proverbio: “Chi fa da sé fa per tre”. Il Cristo però aggiunge qualcosa a questa beatitudine perfetta realizzata nella solitudine. Egli infatti dice: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lí Io Sono in mezzo a loro». E questo “Io Sono” si esprime nel mistero dell’incontro, della comu­nione, della reciprocità e dell’esercizio che tale relazione comporta.

 

Viviamo in un’epoca nella quale si manifesta con sempre maggiore evidenza una sorta di ‘autismo sociale’ caratterizzato da una generale apatia nei confronti dell’incontro con l’altro, di relazioni improntate all’indifferenza, all’assenza di calore.

 

Attraverso questa nuova prospettiva si finisce col credere che l’in­contro profittevole sia quello che diletta e dà piacere: incontri da aperitivo, per intenderci, prima di ripiombare nelle proprie solitudini.

 

Si dimentica che l’incontro umano, per assurgere alla qualità del canto, ha bisogno di prove, di esercizio. Questa è la vera umanità: qualcosa che si esprime e realizza attraverso la relazione.

 

Si finisce per demonizzare il matrimonio perché porta al confronto, alla prova, alla discussione. E la discussione oggigiorno è bandita dall’organizzazione sociale, perché presuppone l’esercizio della coscienza individuale che invece dev’essere mortificata.

 

È un po’ come se dei musicisti decidessero di suonare da soli perché le prove in duo comportano ovvie discussioni, confronti… e un generale riadattamento delle proprie egoità a favore di una economia musicale piú ampia.

 

 

Il “Campo della Morte”

 

In Graal, Massimo Scaligero, scrive: «Occorre attraversare un vasto campo disseminato di scorie di lealtà frantumate, di accordi distrutti, di macerie di donazioni mancate, di chiusure tragiche nell’ego. …Occorre attraversare un campo che è detto “Campo della Morte”: figurazione simbolica di una zona in cui naufraga ogni amore umano, incapace di essere veramente donato, in quanto incapace di attingere al proprio elemento di eternità, anche se recitante l’attitudine della donazione e dell’eternità».

 

Che oggi non si avverta la necessità di superare questo Campo della Morte” è chiaro. Si con­fonde, come dicevo in apertura, l’inizio con la fine, e dunque, questo “Campo” non rappresenterebbe la fine bensí l’inizio. Si crede quindi di essere arrivati al capolinea, di essere arrivati alla fine, mentre è vero il contrario. Questo “Campo” rappresenta difatti la fine per la nostra comfort-zone, per le nostre ‘chiusure tragiche nell’ego’.

 

È pur vero che molte coppie, soprattutto in passato, decidevano di metter tenda in questa zona e, confondendo questo “Campo” per un campeggio, finivano per immiserirsi entro relazioni impron­tate alla menzogna o alla litigiosità.

 

 

Continuità e speranza

 

Vi è da aggiungere che nell’elemento ipercriticato della festa che succede alla celebrazione (la festa con tutti gli amici e parenti tirati a lustro) vi è ancora la possibilità di scorgere tracce di una coscienza resi­duale collegata al tema della speranza.

 

Jean-François Millet «L’Angelus»

Jean-François Millet «L’Angelus»

 

Ci si ‘ricompone’ e ci si mostra sorridenti nel giorno della festa (scrive Sergéj Aleksándrovič Esénin: «Nelle tempeste, nei temporali, nella gelida vita, nelle perdite gravi e quando sei triste, apparire semplici e sorridenti è l’arte piú sublime al mondo») non per ipocrisia, quanto perché il senso della nostra impresa individuale è riposto nella scoperta che le forze della speranza nascono dal confronto con l’angoscia e si vivificano, portando frutto, attraverso il mistero della continuità dei destini umani.

 

Altri seguiranno il nostro percorso individuale e continueranno la nostra impresa: la speranza viaggia nel senso silenzioso di questa opera di trasmissione trasmutatrice. La prova del “Campo della Morte” – che dovrebbe venir affrontata nella vita di coppia e che invece si rifugge – è posta in silenzioso equilibrio rispetto alla prova sociale – da Massimo Scaligero indicata come Terza Prova – che oggi pesa sulla coscienza di ognuno.

 

La coppia che lavori silenziosamente al “Campo” in accordo con l’Io Sono in mezzo a loro – opera a beneficio della Terra stessa.

 



Le parole di Massimo Scaligero

 

«Chi guardi con occhio rischiarato, riconosce nel mondo della necessità – fisica o psichica – nel passato e nella natura, ciò che rende inevitabili il male, la malattia, la morte. È ciò che, venendo scambiato per vita, in quanto costituisce le basi della ordinaria esistenza, porta l’es­senza della vita alla contraddizione radicale con l’essere, ormai passivamente accettata e persino organizzata scientificamente, ma ogni volta riemergente nella sua tragicità attraverso quella misura del reale che è il dolore e la morte.

 

Iniziazione e Tradizione

 

Questa contraddizione giunta collettivamente al limite, ormai per la seconda volta, nell’at­tuale secolo, conoscerà la sua istanza risolutiva nei prossimi decenni quando si presenterà la terza prova: la quale è virtualmente cominciata e pesa ormai su ciascun essere umano, come segreta angoscia, come segreta paura, come senso d’inutilità e senso di impotenza.

 

L’ora presente è grave: non è una espressione retorica, questa. Chi conosce come realmente stiano le cose, sa che quei pochi che hanno una qualunque responsabilità interiore, non dovrebbero ormai perdere piú un minuto di tempo, non dovrebbero piú rimandare di un attimo la loro deci­sione per questi superamenti che in segreto essi veramente conoscono di quale natura debbano essere.

 

Compiti del genere ormai non possono piú essere rimandati. Occorre nella calma decisione realizzare quella stessa forza che è stato possibile evocare in taluni momenti decisivi, quando, per lo schianto di ogni resistenza umana, sembrava che dovessero venir meno le basi della vita.

 

Si è alla vigilia di eventi che possono essere gravemente distruttivi per l’uomo o preludere a una rinascita nel segno dello Spirito» (Iniziazione e Tradizione, Tilopa).



 

Nicola Gelo