Chi ha paura del reddito di base?

Economia

Chi ha paura del reddito di base

Reddito di base

 

Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un video nel quale il noto psichiatra Alessandro Meluzzi indicava la questione delle emissioni monetarie come quella decisiva, sottostante ad ogni conflitto e attorno alla quale si sta giocando il futuro dell’Umanità: o per sempre schiavi della finanza internazionale o di nuovo sovrani della propria moneta.

 

Ciò che sfugge a Meluzzi e alla grande maggioranza delle persone è di riflettere sul criterio con cui viene emessa la moneta, affinché si possa giudicare se quello attuale sia corretto o meno. Ci si concentra sull’ente emittente e non sul principio di emissione.

 

Non basta dire che si vuole togliere la prerogativa a soggetti privati di emettere moneta a debito per restituire la sovranità di emissione agli Stati nazionali, in modo che avvenga finalmente a credito dei cittadini. Per concludere il ragionamento in modo conseguente, bisogna poter dare una risposta ad una domanda piú specifica: qual è il criterio piú equo affinché venga emessa moneta a credito di ogni singolo cittadino?

 

Meluzzi e gli altri non portano invece i loro pensieri fino al punto che li condurrebbe a tale domanda cruciale. La motivazione di un altrimenti inspiegabile tentennamento di questo genere risiede con tutta probabilità nel risveglio di un tabú. Tabú è con tutta evidenza il contenuto della sola risposta possibile, vale a dire un reddito base uguale per tutti.

 

Il reddito base in generale è un argomento proibito per due principali motivi. Da un lato la settorializzazione dei saperi va a braccetto con la diffusa pigrizia di pensiero per la quale si tende a delegare ai cosiddetti esperti o specialisti la formulazione degli unici giudizi ritenuti degni di autorevolezza. In questo caso il timore reverenziale verso i massimi sistemi della macroeconomia offusca la capacità di concepire perfino l’equazione elementare reddito base = emissione monetaria.

 

Dall’altro lato l’espressione “reddito base” evoca, a sproposito, o la minaccia del Grande Reset di Davos o la caricatura annacquata e già sperimentata del provvedimento firmato 5 Stelle.

 

Davos mira ad un reddito base per tutti purché collaborazionisti e condizionato alla medicalizzazione dei corpi, fino alla cessione di ogni proprietà privata e di ogni privacy: che sarebbe la nuova e onnipervasiva forma di schiavitú esercitata dalle solite élites finanziarie globali.

 

I 5 Stelle d’altro canto hanno realizzato un reddito base ugualmente subordinato all’esibizione di condizioni di merito, il cui giudizio insindacabile spetta alle Istituzioni. Davos vuole un mondo di automi, i 5 Stelle perseverano nel credere giusto uno Stato Etico, dove di nuovo solo una ristretta élite di “saggi” decida ciò che è meglio per tutti gli altri (chi merita concessioni e chi no). Ed ovviamente chi pensa in questo modo si ritiene qualificato per accedere a questo “consiglio dei saggi”. In entrambi i casi il reddito base diventa un’arma di ricatto per consolidare l’élitarismo oligarchico che prospera da dietro le quinte delle cosiddette democrazie.

 

Queste due concezioni di un reddito base costretto ad adattarsi all’attuale modello piramidale della società si rivelano degli spauracchi inconsistenti una volta meditato sulle caratteristiche che deve avere un reddito base sano, vale a dire coincidente con il nuovo criterio di emissione monetaria. Queste caratteristiche sono la non condizionalità, l’universalità e la durata vitalizia.

 

La non condizionalità significa che il reddito base equivale al riconoscimento del diritto alla vita, il quale non è negoziabile. Chiunque sia dotato di comune buon senso ed umanità non vorrà opporsi al fatto che tale diritto sia di tutti gli esseri umani incarnati (universalità). Poiché si mangia finché si vive, il reddito base dovrà essere pure vitalizio. Va da sé che l’entità di tale emissione varierà nel tempo a seconda della bilancia commerciale della Nazione.

 

Solo se si è mossi da pregiudizi moralistici e/o dalla paura di pensare l’impensato, si può rifiutare il reddito base piú sopra caratterizzato. Ma tale rifiuto porterà a soluzioni incoerenti e perciò fallimentari in campo sociale, con tutte le funeste conseguenze del caso.

 

 

Lorenzo Marinoni