La risonanza emotiva

Pedagogia

La risonanza emotiva

Qualche parola sulla volontà

 

La volontà e il pensiero, nel bambino, sono essenzialmente forze di fantasia. La fantasia crea ciò che ancora non esiste ma che esisterà prima o poi, in qualche parte dell’incompiuto, organizzando e dando forma (Basta saper immaginare un’isola perché quest’isola incominci realmente ad esistere – scrive Silvano Agosti); pertanto le forze di fantasia collegano il bambino con il futuro. Quando il bambino ascolta una storia, ‘muove’ la sua fantasia: ricrea interiormente i personaggi, ne caratterizza le qualità associando autonomamente quelle famose emozioni che oggi gli psicologi si prodigano a insegnare con la stessa solerzia con cui un tempo i pretini insegnavano la dottrina.

 

Castello di sabbia

 

Nella volontà vivono forze di simpatia in grado di realizzare la comunione con il mondo. Il mondo diventa ‘mio’, diventa patrimonio della mia esperienza: è in questo spazio che si realizza l’identità tra me e il mondo. La mia umanità, attraverso la volontà, crea un legame con il mondo. Una spiaggia non sarà piú una spiaggia qualsiasi se un bambino ci costruirà sopra un castello. Il castello potrà essere anche di sabbia – questo non importa davvero – ma l’operazione compiuta è degna di un re. La sabbia e il mare non sono piú due elementi tra gli elementi, diventano i miei elementi: ho creato un ca­stello con le mie forze, ho assistito al suo declino, alla resa della sabbia alla forza del mare. Un bambino crea interi uni­versi muovendo unicamente dalla sua fantasia che diviene volontà.

 

Quando un bimbo ascolta una storia, ne ricostruisce in­teriormente il paesaggio: i bambini ricordano minuziosa­mente i dettagli delle fiabe che raccontiamo loro: guai a dimenticarli o a cambiarli! E li ricordano perché li ricreano interiormente: il processo con cui creano un cavallo bianco non è lo stesso con cui creerebbero un cavallo nero! La volontà è movimento o percezione nel suo senso originario: pĕr-capĕre, prendere, afferrare. Il bambino percependo afferra il mondo e lo fa suo: celebra cosí la sua comunione.

 

 

Adulti e bambini e la sintonia con le forze del passato e del futuro

 

Il bambino vive in questo eterno presente che è dato dalla dimensione di comunione con il mondo. A mano a mano che avanzerà nella vita, si lascerà dietro questo stato paradisiaco (di cui il Paradiso Terrestre è immagine) e inizierà a ricordare, a sviluppare la memoria, ad avere esperienza delle cose. Se ho esperienza di come andare in bici, utilizzerò questa esperienza per salirvi su: non dovrò rifondare quoti­dianamente la mia esperienza attraverso tanti tentativi. Attraverso il ricordo vive quello che non c’è piú: rivive il giorno in cui ho imparato ad andare in bici, quello in cui ho imparato a fare le sottrazioni o a suonare Per Elisa. Quando il fornaio mi dà il resto, io attingo la mia capacità di far di conto proprio dalle forze del passato. Diventando adulti, la fantasia si ritrae e iniziamo a basare il nostro pensiero sulla memoria. La forza di fantasia dei bambini è qualcosa di molto diverso da ciò che come adulti possiamo immaginare. Dovremmo riconsiderare quale alta scuola di formazione per i bambini, il gioco. Attraverso le forze di fantasia il tempo futuro trapassa nel tempo presente, e attraverso la memoria il tempo passato trapassa nel tempo presente.

 

 

Volli sempre volli. Qualche riflessione sulla volontà

 

La percezione è un atto di volontà per il bambino poiché mette in moto un movimento interiore. Nell’etimo di ‘percepire’ è contenuta già questa forza volitiva: afferriamo e prendiamo quando percepiamo.

 

L’imitazione nei bambini è una percezione raffinata: i bambini è come se si muovessero interiormente con quanto osservato. Guardando un cavallo diventano un po’ cavalli ed allora imitano il cavallo: non vi è ironia nelle loro imitazioni, non fanno cabaret, sperimentano con tutte le loro fibre l’essere del cavallo.

 

Seduto al banco

 

Questa capacità proteiforme non va insegnata al bambino: il bambino è bambino in quanto ‘condannato’ a vivere in questo stato fusionale con il mondo. I bambini si separano dalle cose nella misura in cui riescono ad imitarle. Gli adulti possono aprirsi e chiudersi alle impressioni del mondo, i bambini no, ne sono esposti. Ecco perché occorrerebbe aiutare i bambini a ‘respirare’. Parlo qui di una respirazione neurosensoriale: i bambini devono venir educati ad aprirsi e chiudersi alle impressioni. Non lo facciamo sicuramente se costringiamo il bambino a rimanere seduto su una sedia per otto ore al giorno con l’obbligo di rimanere attento. Questo vuol dire creare bambini ‘asmatici’, con una difficoltà a gestire il respiro neuro­sensoriale.

 

Quando lascio il bambino davanti alla televisione a vedere i cartoni animati, quando lo lascio davanti allo smartphone perché magari non voglio essere disturbato, uccido in lui quelle forze di fantasia che sono – come abbiamo visto – forze di volontà. Esagero?

 

Ogni albero presente nei videogiochi o nei cartoni animati, ogni casetta, ogni personaggio dei cartoni animati è una forza di fantasia uccisa nel bambino, perché già realizzata da qualcun altro. Quando rac­conto una storia, il bambino deve immaginarla, deve ricostruirla, deve esercitare la volontà per edificare il suo mondo di fiaba… ma quando guarda quella stessa fiaba in un film d’animazione (magari bellis­simo) quella attività costruttiva non ci sarà piú, non si renderà piú necessaria! Allora la fantasia non avrà piú un carattere volitivo, sarà una fantasia apatica.

 

smartphone bimbo

 

La mia affermazione di prima non sarà esagerata conside­rando che da una recente indagine promossa dal Ministero della Salute e realizzata dall’Istituto Superiore della Sanità (che ha intervistato oltre 35mila mamme di bambini fino a 2 anni di età), il 22,1% dei bimbi tra i 2 e i 5 mesi passa del tempo davanti a tv, computer, tablet e telefoni cellulari con un range territoriale tra il 13,6% e il 30,3%. I livelli di esposizione sono direttamente proporzionali all’aumentare dell’età in tutte le regioni e, tra i bambini di 11-15 mesi, le quote che passano almeno 1-2 ore al giorno davanti a uno schermo arrivano a variare tra il 6,5% e il 39,3%. A questa esposizione cor­risponde un’assenza pressoché totale di libri: ai bambini non viene letto né raccontato nulla, e adesso noi conosciamo il significato che rivestono le immagini per la formazione della volontà nel bambino!

 

 

Psicoapatici: immense tare morali

 

Il mondo immaginario dei ragazzi che fantasticano fumandosi le canne rappresenta una metamorfosi di questa fantasia apatica, di questa fantasia che non è in grado di volere. La fantasia è per sua natura volitiva, è desiderio; sprovvista di volontà essa diventa vacuo fantasticare.

 

Il problema è che per educare la volontà dobbiamo partire dalla fantasia, dall’offrire al bambino la possibilità di accedere alle forze di fantasia. Fino a qualche anno fa i bambini ci riuscivano naturalmente, per una loro strutturazione naturale, mentre oggi questo accesso non è piú scontato e lo sbarramento lo creiamo noi adulti.

 

Quando Umberto Galimberti dice che “i sentimenti si apprendono” non vuol dire che essi debbano venir inculcati o insegnati, ma che essi si ‘prendono’ ossia si percepiscono (pĕr-cĕpere). Se l’attività percettiva nel bambino è davvero un’attività volitiva, allora il bambino ‘prenderà’ l’essenziale da ogni percezione (sana o malata che sia).

 

Bambino svogliato

 

Dovremmo, a questo punto, chiederci se effettivamente la scuola educhi alla volontà, se la nostra attuale organizzazione sociale abbia rispetto per le forze di fantasia del bambino.

 

«È svogliato», «Potrebbe fare ma non vuole»… queste frasi, adesso che abbiamo gettato una nuova luce sulla volontà, si illuminano di un bagliore sini­stro. Nessuno vuol riconoscere che alla crescente mancanza di volontà corrisponda una sistematica di­seducazione delle forze di fantasia: riconoscere que­sto vorrebbe dire ripensare la scuola e lo spazio so­ciale attorno al bambino. Ci limitiamo a creare nomi nuovi per classificare i nuovi e ‘misteriosi’ disturbi che affliggono bambini e giovani.

 

 

Un esempio

 

L’interscuola, nelle scuole dell’obbligo a tempo prolungato, non è né piú né meno che un’ora d’aria. Ogni tanto i maestri ti dicono che non devi far capriole, non devi saltare, non devi raccogliere pietre, non devi correre, non devi farti male: questo è un dramma per la formazione della volontà, perché il bambino non ‘apprende’ ciò che realmente vorrebbe, non può creare un con-tatto con il mondo. I materiali con cui si gioca sono essenzialmente di plastica e al pomeriggio, quando tutti sono stanchi, l’insegnante magari accende la L.I.M. per guardare un bel filmetto tutti insieme!

 

Smartphone dell'insegnante

 

Gli adulti vivono in una relazione simbiotica con lo smart­phone: questa è una situazione davvero grave. I bambini si abituano sin da subito ad avere a che fare con degli adulti un po’ zombie: i maestri e le maestre a scuola, i genitori e i parenti a casa: persone che credono di poter essere multitasking e che invece hanno deficit profondi nella coscienza, nell’attenzione: rispondono alle domande dei bambini senza capirle davvero e continuando a fissare i loro telefonini. Adulti che sviluppano una reattività emotiva che si sostituisce alla sana facoltà di pensare. Nella maggior parte dei casi le attività di giudizio negli adulti-zombie, di arbitrio, vengono soppiantate da giudizi mediati da moti di simpatia o antipatia: un po’ come fanno i tronisti televisivi o i giudici dei talent.

 

Il pedagogista Marco Tonin ha sintetizzato questo concetto in un pensiero molto interessante: «Laddove il pensiero si meccanicizza, il volere si istintualizza e il sentire si addormenta slacciandosi dal suo essere al mondo».

 

Nelle scuole dovrebbero vietare l’utilizzo degli smartphone agli insegnanti e infliggere pene severe ai trasgressori. I genitori dovrebbero sapere che dopo un certo numero di ore passate quotidianamente al telefono non ci si può piú definire genitori: si dovrebbe perdere il diritto alla genitorialità, in quanto non è pensabile educare neppure un cane dipendendo dallo smartphone. Si parla della dipendenza dalla Rete – di Sindrome da Disconnessione – associandola prevalentemente ai giovani. Questa forma prolungata di relazione con lo smartphone crea flotte di rimbambiti che vagano per le strade intessendo relazioni virtuali mentre i loro figli o i loro alunni avrebbero bisogno di calore per crescere!

 

 

Balocchi e profumi: forze del vuoto.

 

Questa asetticità, quest’assenza di con-tatto si trasforma inevitabilmente in una lacuna morale, in una tara morale, poiché il bambino percepisce con ogni fibra del suo essere e crea ‘vuoti’ laddove la perce­zione gli porta incontro il nulla, ossia la menzogna.

 

Quando un bambino gioca al parco e grida orgoglioso alla mamma: «Mamma hai visto che salto ho fatto?» e la mamma risponde: «Bravo, bravo tesoro mio» continuando a chattare con le amiche, non è presente a se stessa e non è presente al bambino. Porta a spasso il bambino ma con la coscienza è altrove, pronuncia frasi carine ma svuotate di ogni calore, di ogni partecipazione animica. Il bambino queste cose le percepisce e le porta in sé; non può capirle coscientemente ma diventano il suo alimento. Un alimento fatto di abbandono raffinato poiché avente l’aspetto della cura e dell’attenzione.

 

Bambina che guarda un cavallo

 

La realtà virtuale è l’opposto della fan­tasia: è una fantasia inversa. Pensiamo al touch screen alla luce delle considerazioni sulla percettibilità del mondo mediata dal tatto. I bambini non possono imitare quel­lo che vedono nei cartoni animati o nella realtà virtuale, perché non possono imi­tarne il ‘movimento interiore’. Imitando il cavallo, il bambino imita interiormente il cavallo, ma un personaggio virtuale non ha una interiorità, non ha linee di forza da ripercorrere interiormente, e il processo imitativo del bambino (che è un processo percettivo e dunque volitivo) si blocca. Un bambino che passa le sue dita su uno schermo, non conosce alcunché, non crea alcun con-tatto: anziché creare una dimensione identitaria con il mondo, anziché afferrare il mondo, percepirlo, farlo suo, se ne allontana tragicamente.

 

 

Imitazione pervasa di fantasia e imitazione pervasa di forze di rappresentazione

 

Quando i bambini provano ad imitare qualcosa di virtuale in realtà – e lo si può constatare con assoluta facilità – cercano di liberarsi da un contenuto che non possono metabolizzare. Le loro sono piuttosto rappresentazioni ‘rigide’, sprovviste di fantasia.

 

Pugni

 

Un mio alunno di una classe prima ha continuato per oltre un mese, quest’anno, a tirare pugni. Pensavo stesse passando un momento difficile e invece cercava di liberarsi dal contenuto di un videogioco di lotta. Si muoveva in modo meccanico, robotico e cosí, dopo un po’ di tempo, gli ho chiesto se avesse qualche nuovo gioco a casa: «Sí maestro! Ho un nuovo gioco al computer!» è stata la sua risposta.

 

Qualcosa del genere capita anche a noi, fateci caso. Ci sono personaggi dei libri che ci affascinano a tal punto che la nostra curiosità ci spinge a ‘fonderci’ con la loro im­magine, ad imitarne il modo di pensare… e allora senza farlo apposta li imitiamo. Vi è mai accaduto? Ecco, questo succede anche quando si vede un bel film e c’è un per­sonaggio che ci piace, che ci tocca. Però qualcosa cambia tra i due tipi di imitazione. L’imitazione involontaria del personaggio del libro è piú fluida, quella derivante dal film è piú ‘rigida’. È come se determinati atteg­giamenti del personaggio ci rimanessero incollati e attraverso l’imitazione involontaria il nostro essere tendesse a scrollarsi di dosso quei contenuti troppo rigidi.

 

Le forze che il bambino incontra ‘percependo’ il mondo virtuale, o adulti rintronati dalle dipendenze da smartphone, sono le forze del nulla.

 

 

Henning Köhler e la triplice perdita della creatività

 

Scrive Henning Köhler: «In questo campo di forze … si compie quella che potrei definire la triplice perdita di creatività: irrigidimento della fantasia (morte del pensiero), meccanizzazione dei rapporti (morte del sentire), subordinazione dell’agire a uno scopo (morte della volontà). Ciò porta – consi­derando la società nel suo insieme – non solo a rendere desolante il paesaggio delle attività “educative”, … bensí anche al fatto che venga accumulato e usato un materiale sempre piú distruttivo, volto a produrre effetti esplosivi, destrutturanti, derealizzanti (H. Köhler Non esistono bambini difficili, Ed. Natura e Cultura).

 

 

Nicola Gelo (2. Fine)