La posta dei lettori

Redazione

La posta dei lettori

letterinaUna volta, molti anni fa, si parlava di alienazione. Adesso il vocabolo, stranamente, non viene piú pronunciato. Io credo che sia perché una volta la cosa appariva strana, particolare, ma adesso alienati siamo tutti, nessuno escluso. Viviamo in un mondo che non ci rappresenta, siamo esclusi da esso, e se vogliamo accettarlo dobbiamo diventare multicolori, sessualmente e mentalmente deviati, materialisti, ansiosi per il clima ecc., insomma, siamo alienati se ci escludiamo dal pensiero corrente, ancor piú alienati se ci adeguiamo.

 

Rodolfo T.

 

 

Il termine “alienazione” è stato utilizzato in maniera massiccia nel secolo scorso, rilanciato in particolare da Marcuse, ma fu usato all’inizio da Hegel, il quale l’ha usato giustamente, mentre altri se ne sono appropriati utilizzandolo in maniera contraria. Nella Fenomenologia dello Spirito Hegel spiega che l’uomo, attraverso l’errore, il contrasto, il dolore, l’infelicità, perde se stesso, si aliena dalla propria individualità, ma arriva a riconoscersi come ragione, come coscienza individuale, e in tal modo cerca progressivamente di raggiungere il sapere assoluto. Anche Rudolf Steiner parla di alienazione in Filosofia della Libertà, affermando che nel momento in cui pensiamo un oggetto, non possiamo pensare a noi stessi, e quindi il pensiero ci fa immergere in una oggettività che è una temporanea alienazione. Si tratta in questo caso di un significato profondo, positivo, considerando l’alienazione un mezzo per sentire la potente impersonalità del pensiero. Il significato che invece è stato attribuito al vocabolo ha un aspetto fortemente negativo, come possibilità di una persona di essere strappata fuori dalla sua stessa natura, con una coscienza oscurata. In questo senso è molto giusta l’osservazione che attualmente tale alienazione sembra realizzata, osservando come tanti subiscano in maniera acritica, con una coscienza di tipo sognante, i dettami di un pensiero unico che stravolge ogni parametro di vita civile conquistato nei secoli. Noi però dobbiamo cogliere il positivo del termine, e rigettare quello negativo. Le deviazioni che oggi vengono suggerite come liberatorie avranno vita breve, perché escono dal piano karmico dell’evoluzione umana.

 




 

letterinaCome conservare la purezza nel sentire durante la vita di tutti i giorni, quando ci si sente continuamente invasi da simpatie, antipatie, desideri, avversioni, passioni e odi profondi? Non parliamo di quando si fa un esercizio, ma durante la vita pratica. È veramente possibile? Non dovrei dirlo, ma non lo vedo realizzato neppure in persone che seguono l’Antroposofia da tanti anni. Come posso riuscirci io che seguo da poco piú di un anno?

 

Teresa L.

 

 

Questo è un tema che ci riguarda molto da vicino. Promuovere un sentire puro è sapere di appartenere alla natura, e viverla anche per brevi momenti, ridestando questa connessione in noi con tutti gli esseri del mondo. Vorrei fare l’esempio di qualcosa che mi è accaduto nel tempo di ferragosto. Quella mattina mi ero alzata, come sempre, molto presto e mi ero affacciata alla finestra. Il cielo era roseo per l’aurora che indorava il grande albero e gli oleandri rosa fra le due palazzine di fronte alla mia finestra. Davanti, il marciapiede della città era vuoto e silenzioso per l’ora e il periodo vacanziero. Dalla direzione di piazza San Giovanni arrivava un prete, con una lunga tonaca nera, cosa insolita, dato che oggi vestono quasi tutti in clergy man. Il prete si è fermato e ha guardato l’ora, evidentemente aspettava qualcuno che tardava. Poi ha preso un libro, forse un libro di preghiere, un breviario, e ha cominciato a camminare lentamente, avanti e indietro,  leggendo, fermandosi nello stesso punto, alzando gli occhi, forse guardando con ammirazione i fiori rosa, forse meditando quanto scritto nel libro, senza fretta, senza evidente irritazione per il ritardo. Il grande albero e i fiori, accesi dalla prima luce, sembravano dire: noi ci siamo, siamo presenti qui sulla terra. E anche quel sacerdote, tranquillo nella sua attesa, con il suo breviario, sembrava far parte del paesaggio, era una nota armoniosa. Questo mi ha fatto sentire un senso di grande comunione con quell’essere, che sembrava un operatore dello Spirito nel mondo. Poi si è fermata una macchina e lui è salito. Il marciapiede è tornato vuoto, ma io ero a quel punto in relazione con l’armonia del creato, con i riflessi del sole sulle foglie del grande albero, con i colori della natura, che sono dei simboli. Come quando guardiamo il fuoco: anche se non ne vediamo la controparte spirituale, ci dà la sensazione del bello, sentiamo quella verità occulta che una volta possedevamo e che dobbiamo ritrovare. Cosí i colori, le forme e i fenomeni della natura sono, come ci insegna l’Oriente, una maya, un velo che vuole farci ricordare qualcosa che sentiamo intimamente, ma che non riusciamo a portare a coscienza. È come stare all’ingresso di un edificio nel quale dovremmo entrare e non entriamo. Questo sentire che si attiva per rari momenti, ci pone in comunione con entità spirituali. Poi, nel quotidiano, la purezza del sentire scompare e ci ritroviamo assaliti dall’alternarsi di attrazione e repulsione. Però, se coltiviamo la disciplina con serietà e costanza, quei momenti di rara beatitudine possono tornare e calmare l’astrale in perpetua agitazione nella vita ordinaria. Non importa se si è cominciato da poco, importa l’intensità con cui attiviamo questo puro sentire.

 




 

letterinaVorrei sapere se c’è un organismo, come “La Crusca” o un’associazione simile, che decide di lanciare una parola, o una frase, che tutti poi ripetono, come alcuni anni fa “un attimino”, che era sulla bocca di tutti. Ne nascono sempre di nuove, ma chi lo stabilisce, e come? E perché tutti decidono di seguire questa indicazione sorta all’improvviso?

 

Martina S.

 

 

Un’altra interessante lettera che riguarda le parole. È come la moda: sembra che siano gli stilisti a lanciarla, ma a guardare le sfilate non si direbbe che poi le persone seguano le stravaganti creazioni presentate. Però, quando tutte le ragazze portavano ai piedi gli “zatteroni”, c’era sicuramente dietro una buona organizzazione, dato che in tutte le vetrine erano posti in primo piano, mentre le scarpette delicate con il tacco erano in ultima fila. Con le parole sarebbe interessante saperlo. Forse qualcuno ne coglie al volo una strana, originale, o che “suona bene” e la ripete, e altri ancora la ripetono, fino a fare un giro da voce a voce, oggi piú velocemente attraverso internet e i vari tik tok. Un giorno Massimo mi disse che lui, durante una riunione, aveva definito “eversione” un certo tipo di rivoluzione sociale (si stava preparando quella del ’68), un’espressione non utilizzata fino ad allora. Dopo qualche tempo aveva sentito quella espressione ripetuta da amici, e infine fece la sua comparsa sui giornali. Da allora quella parola si è “stabilizzata”, ed è diventata espressione comune. In quegli anni non c’erano i social, era accaduto semplicemente con il passaparola. Un interessante esempio che si può fare, a proposito del passaparola,  è quella delle “arance”. Nella mia infanzia, e fino agli anni Settanta, a Roma tutti gli agrumi erano definiti al maschile: gli aranci, i limoni, i mandarini, i mandaranci, i pompelmi ecc. Molti altri frutti erano declinati al maschile, come i fichi, i cachi, i lamponi, i mirtilli, i cocomeri, i meloni ecc. Ma improvvisamente gli aranci divennero “le arance”. Non si sa come, da un giorno all’altro, al mercato cominciarono a scrivere “arance”. Però i tarocchi rimasero al maschile, forse “le tarocche” era troppo azzardato. I clementini divennero “le clementine”, ma i mandaranci restarono tali. Perché, e chi lo decise? Non credo che si possa imputare alla prestigiosa Accademia della Crusca una simile decisione, forse si limiterà a prenderne atto, e anche noi ne prendiamo atto, restando con i nostri perché.