Vento fisico, eterico, astrale, spirituale

Socialità

Vento fisico, eterico, astrale, spirituale

Caffè in piazzetta

 

Abbiamo spesso sentito, soprattutto quando passeggiamo in natura, ma anche girando l’angolo di una via in città, una folata di vento sul viso. Quel vento ci porta fresco d’estate, libera gli alberi delle foglie secche d’autunno, ci fa rabbrividire d’inverno, reca l’aroma del caffè al mattino dal bar nella vicina piazzetta, un acre profumo di lavanda quando ci sfiora, superandoci, l’azzimato professore che si avvia a dispensare la pedantesca erudizione ai suoi studenti.

 

Il vento ci porta i suoni di una tempesta che si avvicina, o di una festa lontana di cui ci giungono smorzate le grida d’allegria.

 

Ci scuote quando apriamo la finestra al risveglio e guardiamo l’alto cielo sopra di noi. È un compagno di viaggio che asseconda la nostra camminata spingendoci, o ci contrasta rendendo difficile un’andatura sostenuta.

 

Fiori del tempio

 

Ricordo il vento dal calore soffocante che entrava nell’aereo all’apertura del portellone all’arrivo in India: un vento che nelle strade si caricava di aromi di spezie, dei fiori preparati con arte davanti ai templi, pronti ad essere offerti, ai quali era vietato avvicinarsi per sentirne il profumo, dedicato solo alle divinità venerate nel grande santuario o nella piccola edicola all’angolo di un vicolo.

 

E il vento di montagna, quando finalmente si era arrivati in cima, dopo ore di camminata e l’ultima faticosa arrampicata: un vento con il sapore della vittoria per la conquista della vetta raggiunta.

 

O il vento della brezza marina, quando con la barca si andava tanto al largo da non vedere piú la riva e ci si rendeva improvvisamente conto di non sapere da che parte indirizzare la prua per il ritorno: il sole a picco, alto nel cielo, non dava indicazioni sufficienti. Avremmo ritrovato la costa o saremmo andati alla deriva senza una bussola o un portolano a farci da guida?

 

Coppedè

 

Di quel vento fisico noi profani deduciamo con una certa precisione la direzione con il galletto di ferro posto sul tetto delle antiche case. Le stazioni meteo utilizzano le maniche a vento, e per calcolarne la velocità si servono di anemometri o di sofisticati strumenti tecnologici.

 

Poi c’è il vento dei boschi, con una forte componente eterica, umido sulla pelle del viso, carico di muschio, di odori di funghi, di foglie disfatte a tappeto sotto i piedi, carico di segreti di ninfe, gnomi e folletti, che si intravedono sbucare tra i rami, dietro un tronco, tra le nodose radici di una quercia gigante.

 

Nascondino

 

C’è anche un altro vento, che possiamo definire astrale. È un vento che ci coglie all’improvviso: il vento dei ricordi, avvivato a volte da un profumo, da un suono, da una musica, ed ecco che siamo riportati a un momento dell’infanzia, a un luogo che era sparito dalla nostra mente ma invece è lí, presente, come se non se ne fosse mai andato. Ci riporta l’alito di quel cortile dove giocavamo a nascondino, e la voce della mamma, dall’alto, che ci chiamava perché era l’ora di tornare a casa.

 

Primo giorno di scuola

 

Ci fu il vento della preoccupazione del primo giorno di scuola: un mondo sconosciuto che si apriva davanti a noi, l’odore degli astucci nuovi, dei quaderni ancora immacolati, che avremmo poi macchiato abbondantemente alla ricerca della giusta grafia.

 

E il candore del vento astrale della Prima comunione, l’odore dei gigli di cui era piena la chiesa, quel misticismo infantile troppo grande da vivere e da capire, ma che è stata la base di quello che avremmo cercato in seguito di far rivivere in maniera piú consapevole.

 

E un vento attanagliante ci ha accompagnato fino al portone della scuola, con il timore di affrontare l’esame finale, il termine degli studi prima dell’entrata all’Università, o nel mondo del lavoro: un passaggio fondamentale, accompagnato da un senso di liberazione ma anche di trepidazione per il futuro.

 

E poi quel vento astrale ci ha portato un giorno un profondo turbamento, mai piú provato in seguito, quando abbiamo incontrato due occhi che con lo sguardo ci hanno detto quello che avremmo voluto sentire una intera vita.

 

Neonato

 

E ancora il vento astrale dell’emozione di quando per la prima volta abbiamo preso in braccio il nuovo nato, con tutto il carico di responsabilità che ne derivava, che lo rendeva pesantissimo, pur nella sua levità.

 

Infine il vento astrale piú importante, che non ci ha solo sfiorato ma ci ha colto con una folata che ci ha quasi sollevato da terra, è quello di quando abbiamo intravisto per la prima volta una Via da seguire e abbiamo capito che era quella giusta, la vera. Un vento che ci ha spinto, senza forzare, verso la meta che intendevamo e ancora intendiamo raggiungere.

 

Ma c’è anche la possibilità di percepire un altro vento, quello spirituale. È un vento che ci libra in altezza durante una meditazione, una concentrazione o una preghiera per una persona che necessita di aiuto o di consolazione. È la risposta al nostro operare, una conferma che Qualcuno ci ha ascoltato, e forse vorrà esaudirci.

 

«Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va: cosí è di chiunque è nato dallo Spirito» (Giovanni 3,8).

 

Il vento del cambiamento è quello che Rudolf Steiner è venuto a portarci. Non possiamo restare ancorati a una visione del mondo sclerotizzata. Tutto va trasformato: nella scienza, nell’arte, nell’ordina­mento giuridico, nell’economia, nella politica, nella medicina, nell’agricoltura, nella pedagogia, nella disciplina interiore. In ogni aspetto dell’attuale civiltà è necessario un vento di rinnovamento, partendo dal singolo individuo.

 

Massimo Scaligero ha colto quel vento, l’ha ulteriormente scandagliato, e con l’esempio di quanto ha saputo raggiungere, ci ha dimostrato a quale punto ognuno di noi, lavorando su di sé, può arrivare a trasformarsi.

 

Riguardo al difficile tempo che stiamo vivendo, scrive Massimo in una delle lettere pubblicate sulle nostre pagine, nella rubrica Accordo, dal titolo “Il sentiero della Redenzione”: «È necessario capire l’apice che ogni volta, dal basso, dal massimo dell’oscurità divenuta livello quotidiano, occorre raggiungere per ritrovare il senso della vita: perché la vita abbia un volto e una luce. Quest’opera deve essere compiuta anche quando sembra che svanisca il suo significato nella opposizione della demonicità quotidiana, per ritrovare il senso, la direzione, la volontà: conoscere che cosa significa, per l’umanità del tempo, Resurrezione!».

 

Sia questo vento di Resurrezione quello che ognuno di noi vorrà impegnarsi a suscitare per la necessaria trasformazione dell’intera società.

 

 

Marina Sagramora