«Mi venne in sogno una femmina balba,
ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
con le man monche, e di colore scialba.
Io la mirava; e come ’l sol conforta
le fredde membra che la notte aggrava,
cosí lo sguardo mio le facea scorta
la lingua, e poscia tutta la drizzava
in poco d’ora, e lo smarrito volto,
com’amor vuol, cosí le colorava».
Dante, Purgatorio XIX, 7-15.
Nei precedenti articoli abbiamo posto l’attenzione su alcuni aspetti fondamentali del presente che riguardano il tema dell’amore e della figura femminile. Andrebbe specificato che non v’è tema piú frainteso, tuttavia è possibile parlarne, per sommi capi, cercando di comprenderlo piú in profondità.
Vero è che l’attuale civiltà è costruita su forme mentali insufficienti ad accogliere un concetto di amore in senso superiore, essendo che la conoscenza è decaduta in forme del sapere, secondo un sistema chiuso di dati e valori assunti esternamente, o internamente cercati nella propria natura, che è natura animale-razionale. In sostanza, si parte da ciò che si è e mai si esce da tale condizione; si ama pure come si è, con quel tanto che si è. Il canone si fissa cosí su modalità che ripetono la natura e chiudono alla possibilità spirituale.
“Amare l’altro per com’è”, “essere se stessi”, “non cambiare l’altro” sembrano i comandamenti scolpiti nella pietra della moderna società in tema di relazioni. Comandamenti invero sacri, tuttavia destinati a realizzare l’opposto della loro essenza aurea, se assunti come ‘dogmi naturali’, spogli di rapporto cosciente.
Non si tratta ovviamente di incapacità di accettazione altrui, o di concepire un rapporto idealizzato e subdolamente pretenzioso, in cui si cerca continuamente di modificare ciò che non ci piace dell’altro: va senza dire che queste sono espressioni malsane del rapporto. Piuttosto concepire che l’altro non è quello che mi si presenta: che la sua essenza sta oltre la sua apparenza fisica e caratteriale.
Dobbiamo iniziare a far abitare stabilmente in noi l’idea che l’uomo è un essere invisibile, come esperienza di pensiero dell’altro come essere sovrasensibile.
Perciò amare l’altro per quello che è significa amarlo nella sua realtà, ma di una realtà che nell’uomo è il suo Io. Ignorando l’Io dell’altro non potremo che recitare l’amore.
Questo è drammatico, in quanto la coscienza non avverte di fingere, non sospetta di aver preso parte ad una recita: ha accettato un ruolo che profondamente non vuole. Soffre e non lo sa. Si crede autentica nella sua finzione: lotta per tutelare il suo teatro.
Per uscire da questa condizione la connessione all’Io dell’altro deve essere incarnazione del proprio. In altri termini, solo se il proprio Sè Spirituale inizia a irradiare l’astrale e l’eterico nel pensiero sarà possibile riconoscere la realtà dell’altro.
Abbiamo altresí parlato di una certa azione terapeutica che l’essere femminile può operare nei confronti del corpo lunare. Si è ricordato come la Donna operi come una medicina del rapporto corrotto tra l’eterico e l’astrale, nello stesso senso in cui si muove la Via di reintegrazione umana: riproducendone il moto. Questa azione guaritrice deve passare attraverso la funzione equilibrante dell’opposizione luciferico-ahrimanica, la cui presa demonica nell’uomo è operata, come ricordato, dal Doppio.
Questo non è un dato neutrale, in quanto tale scoperta intesse lo splendore femminile di una maglia oscura, secondo un ordito cangiante, i cui fili rivelano un intreccio inestricabile, che forza l’uomo alla percezione meta-dialettica immaginativa del rapporto tra oscurità e luce: la compresenza, nell’immanenza, di princípi antagonisti.
Qui possiamo intuire qualcosa che può esser detto solo a metà: la Donna e il Doppio sono la medesima cosa. Non lo sono ontologicamente, ma tecnicamente.
Una paziente meditazione sul fatto che il Doppio è un Angelo custode inverso, ci porterà a penetrare questo mistero. L’angelicità della figura femminile è al contempo la sua demonicità.
È molto importante qui non pensare questi concetti in senso morale, ma ascetico. Collegarsi all’Io della donna reale, concreta, comporta una immersione altrettanto concreta nel suo aspetto infero, e perciò nel proprio, data la commistione delle forze kamiche dei corpi astrali dei due: significa trovarsi di fronte a se stessi, nella possibilità di progredire verso l’Angelo, o di regredire verso la Bestia. Si tratta di esserne coscienti.
Consideriamo ora il fatto che l’evoluzione verso una coscienza angelica è occultamente detta Giove. La regressione verso l’animalità è Luna, secondo una cosmogonia della storia spirituale dell’uomo. Perciò connettersi alle forze terapeutiche raffaellite per operare sul Doppio in vista di una angelicizzazione della coscienza, si può indicare operativamente come un agire mercuriale sulla Luna inferiore distillando Giove. Il simbolo alchemico di Giove è una falce lunare equilibrata da una croce: Ꝝ. Lo stato di coscienza di Giove è una ripetizione della coscienza lunare compenetrata dalla coscienza dell’Io (+).
Su Giove l’uomo attraverserà il grado angelico, realizzando la figura dell’Acquario come compimento dell’umanizzazione e dominio dell’acqua astrale, simbolo della potestà manasica. L’èra dell’Acquario è inoltre la sesta epoca di Filadelfia come inizio del trascendimento dell’elemento cosciente verso il Sé.
Non è inoltre trascurabile il fatto che la Terra sia detta Marte-Mercurio e che quest’ultimo indichi la sua fase di riascesa spirituale. Questo nome indica, tra le altre cose, la liquefazione dell’elemento ferreo-marziale, come resurrezione delle forze del Movimento interiore nella cristallizzazione fisica. Perciò è possibile pervenire a questa verità: che ogni conflitto con la Donna è una lotta con se stessi e che il volto di Lei oscilla, trasfigurandosi ora in una figura di Luce, ora in un essere spaventoso, umbratile e orribilmente deforme.
Questa doppiezza del femminino è pure indicata al Canto XIX del Purgatorio, quando Dante sogna la femmina balba, la terribile Sirena del mondo antico, deforme e mostruosa, a cui si contrappone la donna santa e presta che è appunto Beatrice. Perciò in altra forma, secondo un sentire proprio del suo tempo,
Dante intuí artisticamente questo mistero, da penetrare oggi in forma cosciente. Infatti, non era possibile cogliere questa rivelazione durante il medioevo.
Oggi vi è una responsabilità dell’uomo in merito a questo tema.
È essenziale non psicologizzare questo mistero e non ridurlo ad una simbolica della psiche raccontata per temi mitologici tratti dal mondo ebraico-cristiano. Ogni tentativo in tale direzione porterebbe fuori strada. L’incontro con l’Io Superiore della Donna è la scoperta del proprio Io inferiore nella sua vera immagine: è al contempo sperimentare una entità reale, sempre presente, che portiamo con noi ogni momento e ci rammenta senza sosta la nostra imperfezione: una figura spettrale, un guardiano severo, una versione angosciante del nostro Io.
La Donna perciò può incorporare la luce di Raffaele o riflettere l’oscurità di Ahrimane. Il carattere iulio, legato alle forze della coscienza angelica di Giove, deve essere realizzato nella pratica quotidiana, secondo la via di Filosofia della Libertà e il rito della Concentrazione, con l’essenzialità dell’esercizio della Rosacroce, che è sintesi di quanto andiamo esponendo: l’equilibrio della croce è di per sé raffaelita, in quanto laddove la corrente verticale dell’Io incontra l’astrale della corrente orizzontale vi opera sempre una forza di guarigione. Questa preparazione è un preambolo all’incontro karmico con l’essere femminile destinato al compito.
Il lato della Luna oscura è una terribile possibilità, ma anche un viatico, non potendo realizzarsi lo stato iulio senza sperimentazione o incontro col Doppio.
La Donna ha perciò due volti: il volto della Donna Iulia, ricettacolo delle forze dell’entità Raffaelita e quello della Donna Ecate che manifesta l’aspetto infero Lunare.
La vita sulla Terra deve essere sempre piú sentita come una scuola di Volontà, in cui esercitare le forze del coraggio e della dedizione: fino alla prova definitiva, che è l’incontro con la propria Morte. In questo senso vi è un Campo della Morte che va camminato, che sul piano metafisico è l’incontro col proprio demone, come porta alla Donna Celeste o Angelo di Giove.
Cosí nel VI Cielo di Giove, sede degli Spiriti Giusti, pianeta temperato, non rosso come Marte e non freddo come Saturno (Conv. II, 13), il cui colore “pareva argento lí d’oro distinto” (Paradiso XVIII 95-96) , allude alla purificazione delle forze lunari.
In questo Cielo, nel Canto XVIII del Paradiso, Dante vede il volto di Beatrice, qui incontra la luce dei suoi occhi ed il suo volto splendente che invita a ‘mutar pensier’ perché è vicina al divino (‘pensa ch’i’ sono presso a colui ch’ogne torto disgrava’).
Questo lavoro spagirico è co-essenziale allo sviluppo dei germi superiori che sono connessi alla missione dello Spirito del Popolo italiano, germi le cui infiorescenze possono sbocciare solo dall’aprirsi cosciente delle individualità a questo karmicamente predisposte.
La missione dei Fedeli d’Amore si è storicamente esaurita. Adesso una nuova missione ci attende, perché possa tornare un impulso di resurrezione, irraggiante dall’Arcangelo, che contrasti le forze di Klingsor, che trasfiguri la donna demonica e faccia ancora splendere il volto di Beatrice.
Italo D’Anghiere