I cinque esercizi come pratica quotidiana secondo gli insegnamenti di Massimo Scaligero

Fabrizio Fiorini

Operatività spirituale oggi

I cinque esercizi come pratica quotidiana secondo gli insegnamenti di Massimo Scaligero

Fabrizio Fiorini

 

Alcuni dei relatori che mi hanno preceduto hanno avuto modo di spiegare che la maggior parte dei problemi che si verificano in ambito scientifico-spirituale provengono da una non corretta comprensione della operatività trasmessa da Rudolf Steiner e Massimo Scaligero: avremo modo di capire assieme come sia possibile operare correttamente in tal senso. I cosiddetti “cinque esercizi” (concentrazione, azione pura, equa­nimità, positività, spregiudicatezza) vennero compiutamente illustrati da Rudolf Steiner nel quinto capitolo di La Scienza Occulta, una delle sue opera fondamentali. Tali esercizi furono ulteriormente perfezionati da Massimo Scaligero, che ne diede una sintetica descrizione nel piccolo libro La Via dei Nuovi Tempi, al quale rimando per una comprensione profonda degli stessi.

 

 

LA CONCENTRAZIONE IN QUATTRO FASI

 

La tecnica di seguito descritta l’ho derivata personalmente dalle letture e dagli incontri con Massimo Scaligero. Ho iniziato a seguirla da adolescente e non ho mai abbandonato tale modalità.

 

Questa tecnica è descritta in UR vol. I 1927, nell’articolo a firma “Arvo”, alias il duca Giovanni Colonna di Cesarò, discepolo diretto di Rudolf Steiner.

 

Lo stesso Renato Dal Ponte nella sua accurata storia di tale Gruppo (Julius Evola e il magico gruppo di Ur, Ed. SEAR) identifica chiaramente “Arvo” con il duca Colonna di Cesarò: la stessa cosa sostenevano altri ricercatori come Pio Filippani Ronconi, Enzo Erra e Romolo Benvenuti.

 

Questa fase preparatoria ha lo scopo di sgomberare la mente dalle impressioni, emozioni, sentimenti ecc. della giornata.

 

Tale fase preparatoria diventa assolutamente indispensabile nel caso di incontri rituali.

 

Fase Uno (preparatoria): Rilasciamento-Silenzio

 

Posizione del meditante

 

Il meditante assume la cosiddetta “posizione del Faraone”: seduto con la schiena dritta, le mani poggiate a piatto sulle ginocchia, il capo lievemente inclinato, gli occhi chiusi o semichiusi, la lingua appoggiata sulla parte superiore del palato.

 

Il meditante inizia dunque a prendere coscienza del respiro, ovvero si limita ad osservare, a prendere coscienza, del respiro, dell’aria che entra ed esce dalle narici. Quindi, iniziando dal capo, egli immagina che tutti i suoi muscoli siano rilassati e distesi. Il meditante immagina di sottrarre ogni forza dai suoi muscoli, dal­l’alto (capo) verso il basso, fino a giungere ai piedi.

 

Per rafforzare tale processo egli può utilizzare l’immagine di un blocco di ghiaccio che posto su una stufa arroventata si scioglie in acqua. Poi egli dice a se stesso: tutti i miei muscoli sono distesi. Io sono completamente disteso, io sono calmo, disteso, profondamente in me. Tutto in me è calma, pace infinita. Io sono libero, sono calmo. Il meditante percepirà in tal modo uno stato di profonda quiete corporea ed animica e tale sensazione di quiete potrà essere ulteriormente rafforzata con alcune immagini plastiche e viventi: calma, come in una tomba lontana, profonda, dimenticata; calma, come sul fondo di un trasparente lago alpino; calma, come in una notte siderea; calma, come in una città addormentata e deserta in un caldo e assolato pomeriggio estivo.

 

Fase Due: Concentrazione

 

cucchiaio

 

Il meditante concentra tutta la propria attenzione su un oggetto piccolo e costruito dall’uomo come ad esempio, uno spillo, una matita, un bottone, un cucchiaio ecc. L’oggetto deve essere non simultaneamente percepito ma esclusivamente evocato. Esso deve rimanere al centro della coscienza per almeno 5 minuti. Si considerino tutte le proprietà, caratteristiche ecc. dell’oggetto evocato: il peso, le dimensioni, il colore, il materiale da cui è costituito, l’uso che ne viene fatto ecc. La funzione dell’esercizio è quella di consentire al meditante la ricostruzione del pensiero sintetico originario, attraverso le diverse rappresentazioni che si verificano nel­l’esercizio di concentrazione dell’oggetto. Ogni pensiero estraneo all’oggetto, ogni altra immagine che dovesse sorgere, deve essere con decisione allontanata, riprendendo ad effettuare la concentrazione sull’oggetto.

 

Fase Tre: Concentrazione Profonda

 

ll meditante consegue la sintesi finale dell’esercizio di concentrazione che gli starà davanti obbiettivamente. Si tratta, in realtà, di vedere davanti a se un quid che simboleggia la Forza-Pensiero evocata dal meditante, cogliendo cosí e di conseguenza percependolo, il Pensiero nel­l’atto precedente, pre-dialettico, al suo formarsi. Tale quid, tale “segno-simbolo”, può essere util­mente rappresentato da un punto luminoso localizzato internamente, all’altezza della radice del naso, nel punto in cui le sopracciglia si avvicinano tra loro. A tale immagine va simultaneamente evocata la sensazione interiore di fermezza. Quindi da tale punto luminoso si diparte una corrente luminosa che percorre la colonna vertebrale arrestandosi a livello del coccige: a tale immagine va accompagnata la sensazione interiore di sicurezza. Il meditante mantiene la contemplazione del segno-simbolo in uno stato di purità silenziosa: purità che simboleggia l’assoluta indipendenza dell’Io dall’anima.

 

Fase Quattro: Silenzio Mentale

 

Vuoto Zen

 

La Forza-Pensiero viene contemplata dal meditante nella sua immobile unità. Egli percepisce il senso di verticalità di tale Forza-Pensiero e perciò egli percepirà anche il senso di verticalità dell’Io. L’Io del meditante, identificandosi con la Forza-Pensiero si identificherà con il proprio originario silenzio generando il silenzio mentale. Tale silenzio è un silenzio radicale, ove ogni cosa viene portata ad uno stato di assoluta quiete, fino a quando il meditante sentirà risuonare in sé il silenzio originario dell’universo: piú oltre, il discepolo sperimenterà quello che le antiche scuole Zen definivano con il termine di “vuoto”.

 

Le fasi tre e quattro da me esposte sono descritte da Massimo Scaligero in Manuale Pratico della Meditazione nei relativi paragrafi intitolati rispettivamente: “Concentrazione Profonda” e “Silenzio Mentale”.

 

ALCUNE NOTAZIONI

 

Da quando ho iniziato ad occuparmi degli altri (cioè da diversi anni), e non solo del mio personale sviluppo spirituale, ho sempre insegnato a coloro che mi hanno scelto come loro orientatore a fare l’esercizio in questo modo. Ovviamente non ho certamente la pretesa di proporre una sorta di “esclusività” o di “ortodossia” di metodo: esistono indubbiamente altre modalità per effettuarla; suggerirei di valutare i risultati che tali modalità hanno prodotto. Questo modo di praticare la Concentrazione sortisce due risultati piuttosto immediati:

 

 

a) consente all’operatore di entrare realmente in contatto con la propria organizzazione dell’Io, e perciò con lo Spirito di cui molti parlano ma che pochi veramente sperimentano, e di entrare direttamente in contatto con il mondo eterico;

 

b) demolisce la dialettica e l’auto-compiacimento animale, perciò fa perdere la voglia di sprecare il proprio tempo in vuote ed inutili chiacchiere.

 

Abbiamo già avuto modo di spiegare, io ed altri amici, che sia Scaligero che Mimma Scabelloni (e ovviamente lo stesso Steiner) insistevano sull’importanza di eseguire tutti gli esercizi. Il motivo di ciò è ben sintetizzato dalla seguente affermazione di Mimma a margine di un incontro avvenuto pochi mesi prima della sua morte, occorsa nel novembre del 1990: «Se il pensiero viene sviluppato a discapito del sentire, se si potenzia unicamente lo Spirito e si lascia indietro l’anima, si verranno a determinare delle pericolose unilateralità: fare soltanto la concentrazione dimenticando gli altri esercizi è un gravissimo errore, e sia Massimo che Colazza lo hanno spesso fatto presente. Bisogna inoltre ricordare che il Dottor Steiner nel quinto capitolo di La Scienza Occulta pone tutti gli esercizi sullo stesso piano di importanza». Queste furono le parole pronunciate da Mimma.

 

A tagliare la testa al toro, relativamente al fatto che i quattro esercizi di cui parleremo fra poco siano tutt’altro che “esercizi accessori”, come alcuni amici erroneamente ritengono, ma che vadano viceversa considerati sine ullo dubio come “esercizi fondamentali” assieme alla concentrazione, provvede Rudolf Steiner, che nei quaderni della Scuola Esoterica indica le seguenti corrispondenze:

 

 

concentrazione = liberazione del pensare

azione pura = liberazione del volere

equanimità = liberazione del sentire

positività = liberazione del giudizio

spregiudicatezza = liberazione della memoria.

 

Appare chiaro anche ad un esoterista alle prime armi come il liberare il pensare senza liberare realmente volere, sentire, giudizio e memoria equivalga ad un autentico suicidio spirituale! Daremo dunque alcuni consigli sul come effettuare al meglio tali esercizi basandoci su quanto riportato suo testo di La Via dei Nuovi Tempi, al quale riferirsi, e che commenterò.

 

 

AZIONE PURA

 

Cinturino

 

Fermo restando quanto affermato da Massimo nel libro summenzionato, si può, tranquillamente, se gravati da numerosi impegni quotidiani, “programmare” l’esercizio di azione pura subito dopo aver compiuto l’esercizio di concentrazione. Esempio: se abitualmente io faccio concentrazione la sera (o la mattina) intorno ad una determinata ora, posso, dopo aver compiuto l’esercizio, ripromettermi che il giorno successivo, subito dopo aver effettuato la concentrazione, compirò un gesto inutile, ovvero di nessuna importanza, come alzarmi, spostare in avanti la sedia e poi sedermi di nuovo, oppure aprire e chiudere il cinturino del­l’orologio, slacciarmi e riallacciarmi una scarpa ecc. Ciò è piú eseguibile rispetto al classico “spolverare un mobile alle quattro del pomeriggio”, perché se alle quattro mi telefonerà un paziente in preda ad una crisi di panico, io il mobile non potrò spolverarlo!

 

EQUANIMITÀ

 

Come nel caso dei due successivi esercizi (positività, spregiudicatezza) la miglior maniera di compiere l’esercizio di equanimità è quella di eseguirlo quando le condizioni lo richiedano. Avviene un determinato evento e l’operatore si sforza di sospendere la propria reazione istintiva di rabbia, di dolore, di paura ecc. Possiamo però, nella nostra “sessione quotidiana” degli esercizi, dopo aver effettuato i primi due, richiamare alla memoria un evento che ha destato in noi vivaci reazioni emotive. Guardiamo noi stessi e quell’evento come se guardassimo un film, come se quell’epi­sodio non ci riguardasse, realizzando che la parte profonda del nostro essere non ha in realtà nulla a che vedere con il nostro passato coinvolgimento emotivo.

 

POSITIVITÀ

 

Cristo e il cane mortoMassimo scrive che per mezzo di questa qualità si giunge a vedere il bello e il buono di esseri e cose, in quanto si prescinde dagli aspetti negativi, e ad esempio riporta la leggenda persiana del Cristo, che in un cane morto per la via, che a tutti faceva ribrezzo, vide la bellezza dei denti. In totale analogia a quanto abbiamo suggerito relativamente all’eser­cizio precedente, anche in questo caso possiamo operare nel silenzio della nostra sessione quotidiana degli esercizi valutando un passato (o presente) episodio che ha avuto per noi una valenza negativa. Consideriamo però come da quell’epi­sodio, apparentemente negativo, siano potute sorgere per noi esperienze importanti per la nostra crescita interiore e perciò come alla fine quell’evento apparentemente negativo si sia invece rivelato positivo per noi. 

 

SPREGIUDICATEZZA

 

Dopo aver effettuato i precedenti quattro esercizi esaminiamo un’affermazione, una tesi, una opinione con la quale non siamo concordi. Sospendiamo interiormente il giudizio ed apriamoci alla possibilità che magari siano le nostre opinioni ad essere errate, e che le persone che secondo noi sbagliano abbiano in realtà ragione. Per un attimo convinciamoci di ciò.

 

CONCLUSIONI

 

Quanto ho appena descritto discende dalla mia (e di altri amici) esperienza di 45 anni di esercizi e da consigli che sono stati dati a me dai miei Maestri: non ho la minima pretesa di rendere universale questo modo di eseguire gli esercizi, e se altri sono giunti a conclusioni diverse dalle mie non nutro alcuna velleità, interesse o voglia di convincerli! Non esiste una ortodossia nello svolgerli. La Via della Scienza dello Spirito non è una via religiosa, quindi non ha dogmi, ma promuove la libertà del singolo individuo nel suo cammino sul sentiero che conduce allo sviluppo dell’anima cosciente.