Per non perdere l’occasione

Marco Monaldi

PER NON PERDERE L’OCCASIONE

Il volo

 

Rudolf Steiner e Massimo Scaligero ci hanno sempre esortato ad evitare l’alcol se pratichiamo la concentrazione e la meditazione.

 

Potrebbe sembrare, ad una lettura superficiale, una prescrizione analoga a quella di determinate confessioni religiose, ad esempio quella dei Testimoni di Geova, ma, se leggiamo attentamente quanto scrivono al riguardo, ci possiamo facilmente rendere conto che si tratta fondamentalmente di una questione meramente tecnica e non certo di un dettame moralistico.

 

La Scienza dello Spirito non è sicuramente da noi considerata un passatempo fra i tanti od un modo per sentirsi piú originali e magari far bella mostra di sé in società; Essa è quanto di piú importante, di piú sacro, oserei dire, ci sia stato donato; si tratta di ascesa di conoscenza intesa nel senso di trasformazione di noi stessi, e pertanto si configura come una scelta totalizzante, che richiede precise condizioni e tecniche.

 

Sotto questa luce penso si debba inquadrare il problema.

 

Coma etilico

 

L’alcol è una sostanza che viene metabolizzata dal nostro organismo non in relazione a particolari esigenze, come ad esempio i nutrienti, ma con il solo fine di neutralizzarlo e di eliminarlo. Quando, in rapporto alla quantità assunta, il metabolismo e l’escrezione non sono sufficientemente efficaci, iniziano i quadri dell’intossicazione alcolica, che possono variare da una semplice euforia ad un vero e proprio stato di coma.

 

Già con un tasso alcolemico di 0.2 g/litro, per via dell’azione dell’alcol sui neurotrasmettitori, possono insorgere euforia, loquacità, perdita del controllo delle normali reazioni istintive, compromissione della capacità di giudizio e della memoria, rilassamento.

 

Possiamo da questo semplice e pur incompleto elenco vedere come si abbiano ripercussioni su pensiero, sentimento e volontà.

 

Se in modiche dosi può avere qualche effetto benefico su determinati apparati (si pensi agli amari eupeptici che venivano prescritti sino a qualche decennio fa per stimolare l’appetito e la secrezione gastrica in modo da preparare lo stomaco ad accogliere e digerire il cibo), questo non vuole dire che l’alcol sia innocuo e non danneggi invece in altro senso; infatti gli effetti tossici su pressoché tutti gli organi e apparati (cirrosi alcolica con possibilità di evoluzione in senso carcinogeno, tumori del pancreas, tumori del cavo orale, neuropatie ecc.) sono ben noti e non certo lievi.

 

Ad ogni modo se una persona non segue la Scienza dello Spirito, l’assunzione di un bicchiere di vino ogni tanto non penso configuri un chissà quale rischio; diverso invece è per chi pratica gli esercizi nel senso indicato da Rudolf Steiner e Massimo Scaligero.

 

Assumere alcol, anche saltuariamente ed in piccole quantità, confligge con la disciplina occulta.

 

 Lo sviluppo occulto

 

Nel Manuale pratico della Meditazione nel capitolo “La dieta” Massimo lo spiega chiaramente riportando, fra gli altri, anche passi tratti dal ciclo di conferenze Lo sviluppo occulto dell’uomo, (O.O. N° 145) di Steiner, ove è ben chiarito cosa si verifica allorquando introduciamo dell’alcol nel nostro organismo: con l’alcol in pratica veniamo ad immettere nel sangue un vero e proprio antagonista dell’Io, che va ad eliminare l’attività dell’Io stesso sul nostro sangue.

 

Esercizi spirituali ed alcol non possono andare d’accordo; è come se ci mettessimo a costruire una casa di giorno per poi abbatterne i muri la notte.

 

Rimando direttamente al capitolo citato dell’opera di Scaligero.

 

Veniamo ora al problema dell’assunzione di psicofarmaci, questione che sta assumendo una rilevanza sempre maggiore per il crescente numero di persone che vi fanno ricorso ad ogni minima difficoltà esistenziale, data la tendenza a medicalizzare, spesso a sproposito, qualunque problema si presenti.

 

Si tratta di farmaci che agiscono a livello di pensiero, sentimento e volontà. Negli ultimi decenni la psicofarmacologia ha scoperto molecole sempre piú potenti.

 

Van Gogh

 

Alla fine del diciannovesimo secolo e ancora per la prima metà del ventesimo, quando la terapia farmacologica non era arrivata ai livelli odierni ed il trattamento degli alienati mentali si basava essenzialmente su misure di tipo fisico e contenzione, i malati psichici conservavano, negli intervalli fra le crisi, una personalità ancora quasi del tutto intatta; si pensi a Vincent van Gogh, a Gaetano Donizetti, al più recente Antonio Ligabue, che, pur nella malattia, hanno saputo creare capolavori.

 

Si vada oggi in una qualsiasi istituzione psichiatrica e si vedranno persone tranquille ma come svuotate, zombie che camminano; del resto con i moderni farmaci la contenzione non è più necessaria, come del resto la psicochirurgia; gli effetti sono pressoché sovrapponibili.

 

Questo per farci intendere come tali preparati non vadano assunti a cuor leggero. Come a nessuno verrebbe in mente in compiere su di sé un atto chirurgico per un banale problema senza prima aver consultato uno specialista, cosí nessuno dovrebbe ritenere innocua e benefica l’assunzione spensierata di simili sostanze, soprattutto per problemi non medici, legati cioè a quelle che sono le vicissitudini della vita (delusioni amorose, insuccessi sul lavoro ecc.).

 

antidepressivi

 

Si assiste ad un vero e proprio abuso di assunzione di ipnotici, antidepressivi e simili, specie in quest’epoca in cui si persegue il miraggio di una serenità e tranquillità a buon mercato.

 

Certo, in una situazione dolorosa, di fronte a problemi che ci tolgono il sonno può divenire quasi irresistibile la tentazione di risolvere il problema, se non altro per avere un sollievo di qualche ora, con una pastiglia. Se però riusciamo a riflettere per un attimo ed a considerare quanto i nostri Maestri ci hanno detto, possiamo arrivare senza troppe difficoltà a qualche conclusione. Posto ed assodato che il disagio psichico non sia la spia di una qualche alterazione fisica, il problema va affrontato non con un provvedimento farmacologico ma cercando di impegnarci piú seriamente nella nostra disciplina interiore.

 

Tanto Steiner che Scaligero ci spiegano come sia necessario e si debba essere indipendenti dalle oscillazioni fra la gioia sfrenata e l’afflizione; dovremmo arrivare al punto di essere sempre in equilibrio tanto da poter dire non: «Oh, come soffro!», ma: «Così parla la sofferenza», non: «Oh, come sono contento!», ma: «Cosí parla la gioia».

 

Penso possa essere utile, se ci si riesce, guardarci in quella determinata situazione come dal­l’esterno, come se si guardasse oggettivamente un’altra persona. L’assumere psicofarmaci di fronte alle normali difficoltà esistenziali, tanto piú se autoprescritti senza alcuna cognizione in materia, è un controsenso per chi ambisce a seguire la Scienza dello Spirito.

 

Mi permetto, prima di concludere queste brevi e senz’altro lacunose considerazioni, di riportare un passo tratto da L’Iniziazione di Rudolf Steiner, la lettura del quale mi è stata sempre di aiuto e conforto in situazioni difficili. Nel capitolo “I gradini dell’Iniziazione”, allorquando parla della prova del fuoco il Dottore scrive: «Per molti uomini già la vita abituale è di per sé un processo piú o meno incosciente d’Iniziazione attraverso la prova del fuoco. Si tratta di coloro che passano attraverso esperienze di genere tale che la loro fiducia in se stessi, il loro coraggio e la loro fermezza crescono nella direzione giusta, e che imparano a sopportare con grandezza d’animo, e soprattutto con calma e forza costante il dolore, la delusione e l’insuccesso delle loro imprese. Chi ha attraversato esperienze di questo genere è già spesso, senza esserne chiaramente consapevole, un Iniziato, e poco piú occorre perché gli si dischiudano gli occhi e gli orecchi spirituali in modo da diventare chiaroveggente».

 

La vita è una scuola: la saldezza ed un intento di fedeltà verso la disciplina, unitamente alla certezza che quanto ci viene incontro è determinato in alte sfere al fine del nostro progresso interiore, penso possano essere i pilastri su cui basarci soprattutto nei momenti difficili, quando la tentazione di risolvere il tutto facilmente, magari ricorrendo all’ausilio della chimica, potrebbe diventare irresistibile, ma cedendo alla quale, nella migliore delle ipotesi, si perderebbe l’occasione (e non è detto che la stessa si ripresenti poi nel corso della medesima esistenza) di una crescita interiore.

 

 

Marco Monaldi