La funzione dell'arte

FiloSophia

La funzione dell'arte

Raffaello Particolare Sposalizio della VergineUn’arte vera, che superi il contingente e non soffra limitazioni di carattere spaziale o temporale, ma nello spazio e nel tempo sappia ritrovare vie di sbocco nel permanente e nell’autentico spirituale, è anzitutto il portato di una civiltà superiore. La grande arte ha sempre avuto alla base la realtà di una cultura, di una tradizione: non è stata mai emanazione di una civiltà decadente o di un periodo di disgregazione: ha sempre voluto esprimere lo stato di pienezza spirituale di un popolo, il punto felice di un calore di vita trascendente la vita stessa, ed è stata perciò sempre una sorta di fiorente simbologia di una vicenda, di un tempo, dell’emergere di una stirpe, intessendosi da prima come mito, come rappresentazione cosmico-religiosa e culminando con motivi di regalità, di matura potenza, di arbitrio delle cose e delle forme, per poi involversi, rettoricizzarsi e decadere.

Per noi, dunque, prima dell’arte c’è la vita, prima dell’artista, l’uomo. L’arte non sta a sé, non è a-umana, ma nasce dall’uomo: non prescinde dalla vita, ma nasce dalla vita, è una forma di superiore vita: può fare a meno di un contenuto obiettivo, rimanere “astratta”, ma non può essere staccata dall’artista che la crea, ossia dall’uomo, ossia dalla vita che è la vita dell’uomo.

Ecco dunque che essa è come un indice di una “umanità” che si conosce e si contempla nell’individuo artista. Si stabilisce un rapporto tra l’essenza umana dell’artista e la sua creazione, che, per quanto velato e profondo, è sempre un segno sicuro del valore di una personalità e del suo autosuperamento: la esistenza di un tale rapporto è motivo essenziale per giudicare la verità di una creazione.

Quando manchi un legame intensivo tra l’attività estetica e la vicenda umana di un artista, si può senz’altro considerare falsa la sua opera: la sua posizione è meramente dialettica, campata fuori di una reale esperienza dello Spirito: la sostanza della sua opera non è vissuta attivamente, in senso creativo, ma rettoricamente, come astrazione che finge a sé una realtà non conosciuta, non posseduta, non animata.

Ora, finché rimanga una scissione tra mondo dello Spirito e vita, non è possibile arte vera. Non già che la grande arte debba esclusivamente contenere la materia di una esperienza vitale, umana, semplicemente meccanica: ma essa, essendo universalità, moralità, ascesi e potenza, non può essere se non emanazione di uno Spirito che abbia sperimentato in sé, conosca, presenti i caratteri della universalità, della moralità, dell’ascesi e della potenza, e ciò anche prescindendo, come si è detto, da un contenuto obiettivo e facendo, come suol dirsi, dell’ “arte pura”. Noi, anzi, crediamo in un’arte pura, in una poesia pura, sempre a condizione, però, che questa sia l’indice di una profonda vita, la chiarificata e aereata trasformazione di una conquista reale, di una conoscenza ulteriore, di una prova superata.

Il poeta che, mentre voglia giungere col verso ad animare un mondo tramato di purità e di imagini sovrammateriali, sia invece nella vita un immorale ‒ naturalmente non nel senso della ‘moralina’ conformista nella quale è decaduta ogni concezione dell’etica ‒ non può essere un vero poeta: il suo verso scazonte o tribaco, tradizionale o libero, non è che dialettica artificio, mera abilità di mestiere.

È molto semplice, quasi elementare, ma difficile a realizzarsi e a conoscersi, quanto noi poniamo in rilievo. L’arte, prima di essere esperienza estetica, deve essere una reale conquista dello Spirito: ciò che nella creazione artistica emerge come bellezza e come forza, è anzitutto una esperienza profonda, di natura originaria, nell’anima di colui che crea; il quale, sí, crea, ma potrebbe anche non creare e tradurre invece questo suo originario impulso alla bellezza e alla forza, in armonia di azione, in conquista essenzialmente reale.

Per noi, all’origine dell’arte vera, compiutamente spirituale, della cultura feconda e di ogni armonia creativa che educhi gli uomini e costruisca in essi il senso positivo della civiltà, è una dignità umana che riunisce ethos e autocoscienza.

L’arte vera, poi, si sa, è sempre morale, non perché l’artista si preoccupi di riuscire morale, ma perché, non costretto da vincoli materialistici ed essendo un autentico idealista (meglio forse di chi professi l’idealismo filosoficamente), non può che esprimere un mondo di pura spiritualità e di alta educazione dell’anima, qualunque sia il genere della sua opera, epico o lirico, mistico o drammatico, plastico o architettonico.

 

Massimo Scaligero


Sezione da: «Diorama quindicinale», 18 gennaio 1935.