Libertà Fraternità Solidarietà

Considerazioni

Libertà Fraternità Solidarietà

colori dei partitiVolendo immaginare un modello perfetto di gestione e amministrazione della cosa pubblica, una specie di non plus ultra fra i molti tipi di regime di cui abbiamo avuto esperienza, si affacciano parecchie ipotesi. Con un cri­terio diverso da quello in uso presso gli studiosi del set­tore, si possono scoprire alcune tipologie fondamentali e ricorrenti, che la storiografia ha evidentemente fin qui trascurato. A punti di vista insoliti corrispondono prospet­tive diverse.

La politica in quanto lotta ideologica tra correnti che aspirano al potere, la storia connessa alle loro vicissitudini, la nascita e il tramonto di partitini e partitelli, le pause, i vuoti e il dissolversi dei loro propugnatori, non hanno qui la minima importanza. L’assunto fondamentale della no­stra breve escursione nella dinamica sociopolitica del pae­se, è quello di far emergere, in modo chiaro e semplice, l’atteggiamento interiore da parte dei componenti la popolazione, nei confronti di chi, in modo piú o meno democratico, si è alternato alla guida della collettività.

A grandi linee credo sia possibile operare un primo distinguo identificando tre modelli, o forme di governo base: chiamiamo A la forma espressa da una popolazione che ha voluto concedere ad un unico soggetto, o ad un ristretto numero di cittadini, la facoltà di promulgare le leggi e di farle rispettare; B sarà invece la forma in cui gli aventi diritto, pur non partecipando ai lavori, saranno presenti attraverso larga rappresentanza a ciò che riguarda la conduzione pubblica, e quindi alle decisioni che lo Stato dovrà prendere, sia per le questioni interne che per quelle estere; infine, la terza, che chiameremo C, in cui, come principio unico di scelta, prevale quello di “competenza e merito”: ovvero la popolazione darà specifico mandato alle proprie categorie di professione, di cultura e di mestiere, per stabilire, entro i precipui settori, le regole, nonché le scelte del gioco, specifiche ai gruppi d’origine; le vorrà armonizzate con quelle degli altri, in modo che esse non collidano creando soprusi o equivoci, ma funzionino adeguatamente avendo come orientamento l’esclusivo benessere della collettività, concepito cosí attraverso diversi punti di vista, tutti con­correnti all’unico scopo comune.

Anche se nessuno di noi può definirsi un opinionista politico, un esperto statista o un emerito costituzionalista, sono convinto che la maggior parte si troverà d’accordo nell’indicare la terza delle tre forme come quella appropriata alle esigenze degli esseri umani dell’epoca attuale, ovunque stiano di casa e qualunque sia il colore epidermico.

Di primo acchito, essa sembra rispettare il principio di libertà, democraticità e, se lo vogliamo dire, anche di fraternità, fra membri di una determinata collettività, coincidente, nel caso in esame, con quella mondiale.

Il dittatore

La dittatura

Andiamo a vedere queste forme consociative un po’ piú da vicino, tenendo presente che si tratta di rapporti piuttosto complessi, mobili, dove le modalità del personale approccio alla vita svolto dai singoli, si frammischia inevitabilmente alle correnti attitudinarie di massa, ove preval­gono psicologie e strategie i cui denominatori differiscono non poco dal pensare-sentire-volere espressi dalle unità componenti. Anche i “sistemi isolati” possono dar vita a “sistemi entropici”; in particolare, il sistema-uomo fa da esempio.

Basti riflettere sul fatto che mentre il comportamento di un individuo non è quasi mai preve­dibile, anche conoscendo bene la sua storia e il suo modo di pensare, il comportamento di un numero sufficientemente grande di persone è invece, in date circostanze, prevedibile al punto da essere oggetto di appositi studi scientifico-statistici e di prognostica.

Torniamo ai modelli pratici: nel primo caso A, risalta con evidenza che l’azione dell’affidare pieni poteri ad un monarca, o ad una oligarchia, rappresenta, da un punto di vista strettamente so­stanziale, l’incapacità e l’indifferenza (ma non sono poi troppo lontane tra loro) dei cittadini a darsi da fare nel settore della pubblica utilità. Ci si affida pertanto a chi sembra, sul momento, il migliore, o il piú qualifi­cato al compito, e lo si fa arrivare attraverso una serie di procedure, spesso complicatissime, in quanto basate sui gradi della reciproca diffidenza, al vertice delle istituzioni. Non di rado tale percorso alla conduzione del paese è stato abbreviato in modi poco ortodossi, se non brutali; tuttavia i relativi fatti storici, pur rien­trando nella serie dei casi-limite, non inficiano il sus­sistere di tale modello, anzi, tendono ad avvalorarlo.

Potere popolare

Le rivendicazioni

Nel secondo, modello B, si comprende che il piano di cui sopra presenta aspetti rischiosi comportanti eccessive smagliature, che nel tempo si trasformano in falle non piú colmabili. Ne deriva una spiacevole serie di eventi, per non dire catastrofi, e pertanto ci si accorge, o ci si dovrebbe accorgere, nel giro di alcune generazioni (i popoli in genere, in quanto organismi maturandi, procedono a carbura­zione lenta), che è opportuno creare dei ritocchi al sistema verticale società-paese. Tali correttivi devono controbilanciare l’autorità dei piani alti in favore dei mezzanini e dei piani inferiori (con voce giornalistica definibili come “base popolare”), per arrivare ad un piú giusto equilibrio tra la signoria dell’eletto, o degli eletti, e il volere degli elettori.

La cooperazione internazionale

La cooperazione internazionale

Nella terza ed ultima ipotesi, modello C, siamo di fronte ad un mutamento radicale negli usi e nei costumi. Gli uomini hanno appreso dal loro passato una lezione storicamente importante; hanno capito che non è possibile “dare le perle ai porci” o, per dirla meno sfacciatamente, non si può concedere il potere agli inetti, agli incapaci, agli avventurieri, i quali, spinti da bramosia e cupidigia, si spintonano, si azzuffano nella corsa al primato, capaci di qualunque efferatezza pur di entrare nella cabina di regia dello Stato, chiudervisi dentro e metter mano alle leve.

Mi accorgo di aver dato all’ultima frase un tono infelice, adoperando una foga discorsiva contraria al senso dell’analisi. Rettifico immediatamente, con il dire che non si può concedere il potere a quanti non risultino adeguatamente preparati e non sappiano riconoscere nella conduzione di un popolo la piú elevata azione d’amore, a volte anche sacrificale, verso il prossimo. Un prossimo che non può venir circoscritto dai con­fini geografici della nazione. Questo deve essere detto e ri­badito. Messa cosí la frase non ha piú bisogno di epiteti, quali inetti, incapaci, avventurieri, o terminologie pesanti come spintonano, azzuffanno, efferatezza ecc., perché sarebbero giudizi morali che non spetta a me proferire, in quanto la mèta proposta nel redigere questo scritto tende ad altro fine.

spezzare l'egoismoA chiarire poi il concetto di azione d’amore (dato che ne sono stato richiesto), ovvero quando essa debba ritenersi sacrificale o meno, desidero solo precisare che, se di vero amore si tratta, esso non può non essere anche sacrificale. In quanto sorto da libertà individuale, il sacrificio non è mai condizione, semmai è una scelta che spezza le catene dell’umana egoità. In tal senso la sacrificabilità sta all’amore quanto il colore azzurro a un cielo limpido.

Detto questo, ci possiamo chiedere: qual è l’elemen­to che si distingue, si pone in luce, in primo piano, dopo aver passato in rassegna le tre modalità descritte nel tentativo di estrarne un senso compiuto?

I guai nascono sempre dall’aver demandato ad altri, per pigrizia, quello che avremmo dovuto fare noi, con le nostre risorse, esponendoci in prima persona. Nel corso del tempo, l’abdicazione è stata mascherata in mille modi e con altrettante voci: disinteressamento, abulia, distrazione, curtimiranza, ingenuità, sfiducia in se stessi. Abbiamo delegato, delegato, delegato. L’insoddisfacenza generale del risultato non deve sorprenderci.

Se l’aspirazione ad attuare il modello C, il terzo, è apprezzata e sincera, allora non resta che rimboccarsi le maniche e partecipare ogni giorno, coralmente, alle ondate di problemi che si sus­seguono incalzanti, evitando la reazione immediata (e comoda) della contestazione e del contrasto, cercando di offrire in tutti i casi quell’apporto di senno, fantasia e intuizioni, che ognuno possiede in gradi diversi e che fin qui ha usato finalizzandolo a direttive personali o di parte. Non certo a tutela dell’interesse generale della collettività.

Anche se la smentita a questa accusa è diventata un classico nella linea di difesa sostenuta da ex plenipotenziari rinviati a giudizio, l’istantanea che ne deriva è sconfortante. Ma dall’insieme di molti sconforti può al momento opportuno scaturire la decisione buona per un cambiamento radicale.

Chi ha partecipato alle assemblee di condominio, conosce un po’ l’umano, quando tenta goffa­mente di costruire pezzo dopo pezzo un accordo di misura, nell’intento dichiarato di tutelare il benessere comune, ma in realtà privilegiando il proprio. Le riunioni in appartamento, in garage o nell’ufficio dell’amministratore non sono diverse da quelle che si tengono a Bruxelles, a Londra o nei Palazzi di Vetro, nei quali si cerca per l’ennesima volta una “quadra” per la concertazione di molteplici interessi.

Botte da orbi, strette di mano, con sorrisi e foto di gruppo finali; ancora una volta la quadra resta un quadretto da appendere al muro dei ricordi impersonali. “Tutto sbagliato!” strillerà qual­cuno. forse ha ragione, diciamo che, per ora, di giusto c’è ben poco. Ma in qualche modo si deve pur cominciare; la strada per la libertà è ancora lunga.

TripartizioneLa validità della terza ipotesi è quindi ampiamente riconoscibile per quanti abbiano messo a frutto l’esperienza di vita che di solito si indica col “senno di poi”. Del resto non ci è possibile conoscere veramente le cose se non dopo che sono accadute, e a volte nemmeno basta; esse devono ricadere, naturalmente con aspetti e forme non neces­sariamente analoghi alle precedenti, per poter poi venire finalmente com­prese e accolte nell’intimo della nostra interiorità.

Da oltre un secolo, una moltitudine di lettori, almeno in Europa ma non solo, è stata messa in condizione di accedere ai pensieri di Rudolf Steiner dedicati al tema della società umana, alla sua formazione e al suo corretto sviluppo. Il possibile realizzo della “Tripartizione dell’Organismo Sociale”, nelle sue tre grandi sfere (Culturale, Economica e Giuridica) nonché la regolazione dell’inevitabile intreccio delle competenze reciproche, costituisce un tema vasto e importante da molto tempo stu­diato e meditato da quanti, dopo aver letto e appreso, si sono assunti anche la responsabilità di promuovere l’intuizione spirituale che ne è tuttora l’essenza portante.

Naturalmente tra varie campane che suonano si possono udire rintocchi diversi. Ci sono caduto anch’io, ed è stato uno scivolone da cui non sento di aver ancora totalmente recuperato, ma come ho piú volte ammesso, sono tutt’altro che lesto nell’afferrare le grandi idee e ancor meno nel­l’innamorarmene. Fin dalla tenera età devo aver subíto il contagio della “carburazione lenta” (anzi, datosi che in quel lontano periodo postbellico il mio territorio veniva amministrato dalle Forze Alleate, la indico col termine esotico di “slow carburation”). Il fatto, in seguito, mi ha procurato delle difficoltà in alcune circostanze, tra cui, per l’appunto, saper cogliere il succo della Tripartizione.

UtopiaL’obiezione piú elementare, e pertanto piú difficile da sfatare, tenendo davanti a sé l’indirizzo steineriano per una società umanamente armoniosa, è nota: «È un’idea buona, bella, grandiosa ma irrealizzabile, perché utopi­stica. Sostenerla è come voler affermare che se al mondo ci fossero soltanto persone brave e corrette tutto andrebbe per il meglio».

È vero, la logica orizzontale suggerisce cosí. Esige ri­sposta al «Come si fa?». Non si pensa abbastanza che se sapessimo “come si fa”, non saremmo ora nella necessità di cercarlo. Non si può fingere di non vedere l’inghippo. Ma se questa deve essere l’unica risposta che ci possiamo dare, allora vuol dire che davanti alla Tripartizione ci sia­mo posti la domanda sbagliata. Una conseguente valuta­zione, ancorché giudicata vana e inconsistente, lo è perché vana e inconsistente è stata l’assunzione dell’ipotesi; ciò tuttavia non intacca la tesi né tanto meno la dimostrazione.

Le domande sbagliate, le ipotesi, le opinioni, le cri­tiche che vengono spesso portate contro un’idea allo scopo di demolirla al suo sorgere, fanno parte della nostra natura. Quella che tuttavia noi non conosciamo e continuiamo a non voler conoscere. Anche se oggi ne abbiamo la piena possibilità. L’epoca dell’anima cosciente coincide con il vedere in trasparenza come eravamo e capire il perché.

Rudolf Steiner ci vuole far pensare. Pur di spronarci in tal senso non esita a metterci davanti un progetto che, ovviamente, non può venir attuato se non da uomini completamente trasformati, ri­spetto a quelli che invece per secoli hanno intessuto e ricamato il problema sociale in modo tal­mente scriteriato e irresponsabile, da farlo giungere ai nostri giorni con l’effetto di una bomba ad orologeria innescata sul Terzo Millennio.

La domanda quindi che, secondo me, ci si dovrebbe porre, dopo aver afferrato l’idea della Tri­partizione, piú che una domanda è un conciso discorso da fare con se stessi nella propria interio­rità, magari in un momento in cui le controforze del mondo vengono messe a tacere. Cosa piut­tosto insolita ma fattibile. Radio, televisione, computer e telefonini possono rimanere spenti anche per piú di dieci minuti, senza che succeda nulla di grave. In tutti i casi, qualsiasi cosa dovesse accadere, sarà sempre meno grave dell’averli mantenuti accesi.

Potremmo dircela cosí: sono convinto che la situazione odierna in cui si trova l’uomo sia da porsi in relazione diretta con l’avvenuto oscuramento in lui d’ogni barlume di retaggio spirituale. Oggi l’uomo, quand’anche si dichiari pio e devoto, quand’anche si comporti in modo consequen­ziale dando prova di quanto afferma, non compie nulla di utile perché chi parla, afferma e agisce in lui, non è piú lui, ma un qualcosa che lentamente, giorno dopo giorno, vita dopo vita, lo ha sostituito interiormente, impossessandosi della sua anima.

Senza averne avuto preciso sentore, una latente, incessante opera di mitridatizzazione alla rove­scia, lo ha indotto a credere nel potere delle Tenebre; che la Luce sia, di conseguenza, una semplice momentanea mancanza di oscurità, scientificamente ovviabile, e che il soddisfacimento delle ne­cessità biologiche rappresenti l’apogeo sul quale modellare i finalismi esistenziali.

Ora, se uomini di tal fatta si consorziano, si mettono in testa di realizzare i modelli migliori di wellness planetario, affermando di voler porre rimedio a tutti i torti del mondo, e non capiscono che tali sono stati generati dal progressivo distacco delle anime dal Regno dello Spirito, per adorare e servire il Mondo della Materia, qualsiasi sarà la ricetta, essa servirà soltanto a ultimare la disfatta in corso, azzerando il valore e il compito della vita stessa, intesa come unica distinzione, possibile e specifica, tra il portare l’immensità del sovrasensibile nelle angustie della natura sensibile e il restarvi impigliati dentro, alimentando la rete del disumano.

Fisico-eterico-astraleCiò che dapprima ostacola la comprensione del pensiero steineriano rivolto al moderno tessuto sociale, sta nascosto nel fatto che di norma paragonare l’organismo dell’umanità intera ad un unico organismo vivente uguale al proprio, non convince; appare come un’assurdità, una valutazione spropositata, per cosí dire, tirata per i capelli.

Rudolf Steiner medesimo ci insegna come superare l’impasse. A tal fine, l’Antroposofia offre degli schemi semplici ma anche molto efficaci. Partendo dal fisico, l’uomo si compone di testa, cuore e membra, sedi del pensiero, del sentimento e della volontà, corrispon­denti al polo psicologico. A queste suddivisioni si affiancano quelle metafisiche di Spirito, Anima e Corpo (eterico/fisico); ad esse con­vengono pure le disposizioni riguardanti il senso del Vero e/o del Giusto, del Bello e infine del Buono, giacché lo Spirito-Pensiero è la Verità, l’Anima ha nel Bello il suo eterno riferimento e la Volontà entra nella pienezza quando cerca il Bene non soltanto per sé. In so­stanza si tratta di solidarietà.

Basta meditare per poco tempo, ma ripetutamente, sugli elementi costitutivi dell’umano, riflettere a fondo sui possibili collegamenti, e vedere come s’intrecciano presentando ora la prevalenza di uno, ora dell’altro, per comprendere che ogni centro si relaziona con gli altri due, e la sua funzione si esprimerà al massimo grado, quando potrà agire di conto proprio, senza subire condizionamenti, ma contempo­raneamente beneficiando dell’apporto e della collaborazione amo­revole dei restanti che, in quel momento, non gestiscono in primis la partita, ma s’impongono la funzione di affiancarla e di sostenerla con le loro forze.

Anche nel singolo organismo, la Tripartizione nasce dall’unitarietà. La divisione non è mai se­parazione, come accade per la materia inerte, è invece fiducia totale che delega ad ogni parte la funzione che le spetta. Cosí gli occhi vedono, i nasi fiutano, le orecchie sentono, e braccia e gambe si muovono. Un organismo non impedito da cause esterne, non pone dubbi al proposito.

Si può camminare, si può studiare, si può amare; ma in ogni azione, un elemento costitutivo avrà il primato: nel camminare varrà il volere; nello studio il pensare; nell’amare sarà l’anima con i suoi sentimenti a sostenere il ruolo principale. Rimane tuttavia evidente, che per ciascuna applicazione le due forze costitutive, per cosí dire, di seconda linea, daranno in qualche misura il loro apporto, Si provi a camminare senza saper dove andare, o a studiare senza un briciolo d’interesse per quel che si apprende, oppure vivere un sentimento d’amore in modo distratto e controvoglia.

Mancando l’assunto iniziale di unitarietà, ogni parte tenderà ad andare per conto suo e si stabilirà egemonicamente a scapito delle altre. Rapportare all’umano un simile misfatto è un paradosso di immaturità.

Teoricamente i paradossi esistono, l’uomo è libero di procurarseli, di gestirli e di restare pure nel disordine interiore che ne deriva; ma deve sapere che non è questo il terreno sul quale poter seminare. Creare deliberatamente, o favorire, una commistione negativa tra pensare-sentire-volere, per non esser poi obbligati a giustificare la propria condotta davanti a se stessi e al mondo, è come affermare che nelle creature viventi il muscolo cardiaco nulla abbia a vedere con la circolazione del sangue.

La coscienza umana accetta talvolta il paradosso; ma non può farlo con la menzogna, senza subire danno.

Se però allarghiamo i numeri del nostro modello organico e lo andiamo a riferire, tanto per fare un esempio, aderente alla realtà odierna, al rapporto in atto tra Stato e Regioni di una stessa nazione, in un clima particolare, come si suol dire, di allarme sanitario, allora si vede immediatamente che l’armonia artefatta sparisce, la condivisione sul come, quando e quanto, si eclissa ed emergono gli accenti personalistici e discordi. Le anime acerbe, specie se sotto pressione, reggono fino a un certo punto.

Uniti insiemeDi fronte alla povertà di questo quadro, rivelatore di un rapporto logorato intaccante la credibilità del tessuto sociale, se ne crea tuttavia un altro di una qualità incredibilmente superiore, il quale compie – portentosamente – un contrappeso non misurabile col decimetro da tasca e neppure col rilevatore elettronico di intensità energetica. Lo Spirito, quando opera, non chiacchiera, né tanto meno litiga o cerca l’alterco. Nel piú completo silenzio, e anche nel totale anonimato, centinaia di medici, infermieri e collaboratori sanitari si sono volontariamente offerti sul campo per aiutare quanti necessitavano (e necessitano tuttora) di soccorso.

Le anime consapevoli che l’unico, vero organismo vivente sulla terra è quello formato dall’umanità stessa, sanno che la fraternità e la solidarietà sono gli elementi che unificano e guariscono. Gli altri ri­medi, vaccini, antidoti, medicinali e terapie varie, indicano soltanto che non conosciamo il male, perché l’ uomo ha smesso di conoscere se stesso.

Di conseguenza domina nella cultura occidentale la convinzione che il male provenga sempre da una causa esterna con la quale noi non c’entriamo mai, e che come tale debba essere trattato: in pratica un nemico da respingere e distruggere.

In tale maniera funziona la logica del mondo, che è la logica del Potere. Adesso non vado qui a distin­guere i poteri cosiddetti “forti” dagli altri. È  tempo perso: tra un Oxyuranus e un Anaconda c’è la medesi­ma pericolosità che passa tra un diavoletto e un satanasso. In entrambi i casi, è bene fare attenzione.

Con il motto degli antichi greci «O uomo, conosci te stesso» si indicava fin d’allora l’impor­tanza di comprendere quale sia la nostra natura, come sia strutturata la nostra interiorità, di quali parti specifiche risulti composta e le funzioni a queste attribuibili. Non è forse incredibile e stupefacente questo monito giunto da cosí lontano, che viene da noi considerato superficialmente al punto di ridurlo mera “curiosità” del vintage filosofico?

Conoscendo l’intimo aspetto di un singolo organismo si accede al segreto di ogni organismo della medesima specie. Si giunge a comprendere quanto vi è in comune tra gli esseri viventi e in particolare come la totalità degli uomini possa venir riassunta in un concetto unico esprimente sull’umano quella veridicità che – per limite interno al pensare non esercitato – fin qui non era ancora comparsa in lampante chiarezza.

A questo punto l’insegnamento della Tripartizione dell’Organismo Sociale diviene un apprendi­mento del tutto consequenziale; nulla può esservi di misterioso o utopistico nel voler coralmente realizzare una società di esseri fraternamente legati l’uno con l’altro nella comunione dello Spirito.

Pure le sottodivisioni in sfera Economica, Giuridica e Culturale appaiono ora nella loro evi­denza logica: non logica di terra, di cui abbiamo già fatto la nostra scorpacciata e che ci ha condotto dritti dritti alla situazione presente, non a caso aggravata da pestilenze; ma logica dello Spirito, del Divino, logica dell’Evoluzione umana, che alla fine può venir espressa da ogni suo rappresentante in grado di anteporre l’idea del benessere generale a quello egoico privato.

Nessuno può essere talmente ingenuo o impreparato da credere che un ordine sociale possa davvero venir formato da uomini non formati; da uomini che devono ancora smaltire le stagioni dell’anima; non realizzanti lo Spirito della Libertà e quindi non ancora individui.

I primi passi per l’attuazione della Tripartizione dell’Organismo Sociale tengono ben presente la mèta finale, ma considerano spregiudicatamente anche il punto e la situazione odierni dal quale prendere le mosse.

Rudolf Steiner non si illude né ci illude; è fermamente consapevole che l’uomo ce la può fare, pur partendo con notevole svantaggio sui tempi evolutivi. Nell’idea della Tripartizione vive e palpita lo Spirito umano capace di superare tutti gli ostacoli e di esprimere la forza originaria dell’Amore eterno-infinito dal quale discende.

Verrà un giorno in cui l’economista saprà dare il meglio di se stesso nel settore di pertinenza senza subire interferenze esterne; dirà quali regole seguire e quali lasciare, affinché lavoro, merci, transazioni pecuniarie e rapporti tra divise diverse vengano regolamentati e calmierati in modo equo ed uniforme, dai poli all’equatore.

In queste ore l’indice del W.T.I. penalizza il petrolio greggio americano, addossandogli un contro­valore fino a ieri impensabile, che avrebbe lasciato senza fiato lo stesso suo fondatore, Mr. Jean Paul Getty. Da questa débacle, per effetto domino, gli analisti prevedono imminenti sfaceli borsistici e finanziari sull’intero pianeta.

Come si è reso possibile che la caduta verticale della domanda di un idrocarburo possa tra­sformarsi in una minaccia economica, e quindi d’impoverimento, per tutti i paesi del mondo?

Crollo di BorsaÈ accaduto (anzi, è potuto accadere) per il fatto che abbiamo attribuito alla fonte energetica e alla sua contropartita dollaresca due automatismi completamente astratti. Avulsi da ogni realtà, li ab­biamo fatti esistere, li abbiamo dotati di forza propria: hanno continuato a rapportarsi, numericamente parlando, anche travalicando i limiti di quell’umano interesse che li aveva voluti. Ovvero, il mer­cato che li aspettava, ha cominciato ad alterarsi, ad interagire otre il limite della domanda e del­l’offerta, senza il quale (limite) un mercato non è piú tale ma diventa uno “tsunami”; forza incon­trollata di devastazione.

Siamo arrivati all’assurdo per cui la contra­zione della domanda obbliga il venditore a pagare il compratore purché proceda all’acquisto. È l’inversione che può verificarsi solo in un mer­cato infetto nel quale all’antichissimo e sano principio di scambio, o baratto, non corrisponde piú la logica del buon senso da cui scaturí il rapporto.

L’hanno ipotizzato in molti modi, gli autori di catastrofi fantascientifiche; abbiamo messo in funzione un meccanismo perverso, gli abbiamo concesso di automatizzarsi, e adesso, non essendo piú in grado di governarlo, ci si rivolta contro.

Con la Tripartizione dell’Organismo Sociale un simile evento non sarebbe potuto accadere: la Tripartizione non nasce per essere particolarmente astuta e lungimirante, nasce perché vede nel­l’uomo lo Spirito realizzato a livello individuale e di conseguenza anticipa la visione di una uma­nità fatta da spiriti individualmente liberi, consapevoli di essersi voluti incarnare.

Verrà un giorno in cui il giurista saprà applicare le leggi facendole aderire di volta in volta al caso in esame; non scordando mai il principio di riferimento ma conservandone intatto il senso ideale nel penetrare i fatti nella loro peculiare concretezza.

Qualcuno ritiene che tale condotta sia normalmente recepita e applicata in via ordinaria anche nella difficoltà del momento attuale, ma non è cosí.

EvangelistiSarà una infelice eccezione, eppure proprio ieri ho sentito la notizia di un artigiano che, costretto a chiedere il sussidio economico previsto dagli ultimi accorgimenti governativi (ha dovuto chiudere l’attività lavorativa a seguito delle restrizioni sanitarie), si è visto respingere la domanda con la motivazione di essere già titolare di altro contributo assistenziale. In effetti, la persona in questione rientra tra quelle che le nostre leggi classificano come “portatore di handicap”. Tali leggi, anche se non lo dicono apertamente, considerano dunque un lavoratore disabile, degno soltanto della sua infermità, e non riescono a vedere in lui l’uomo che sa e che può ancora rendersi utile nel proprio settore, condizioni permettendo. Evidentemente il principio giuridico non prende atto della solidarietà, perché ancora non riconosce in essa l’elemento fondante il rapporto umano, privo del quale un rapporto, ammesso che ci sia, non è piú umano.

Non mi va di giurarlo, ma sono certo che la Tri­partizione creata da Rudolf Steiner avrebbe saputo tro­vare – immediatamente – il modo di dare a Cesare quel che è di Cesare. Certo, per farlo, senza indugi, tenten­namenti, o pressioni scan­dalistiche dei media, prima di tutto necessita di voler rendere a Dio quel che è di Dio; ovvero necessita del­lo Spirito: che nei Vangeli, ai tempi di Matteo, Luca, Marco e Giovanni (anche se il riferimento è attribuibile ai primi tre) scorreva in abbondanza. Oggi, molto meno.

Abbiamo dato una pennellata di colore alla parte economico-sociale, legandola alla Solidarietà; una seconda a quella giuridico-politica, in cui è ravvisabile il riferimento alla Fraternità; ora resta da illustrare l’ultima parte: la Sfera detta, nella traduzione italiana, della Cultura, e vedere in quale modo possa connettersi con la Libertà, già espressa nel titolo di questo scritto, ma rimasta per il momento fuori contesto.

Nonostante l’indicazione quasi limitativa del nome, nella Tripartizione il valore della sfera Culturale si estende ben oltre il primo significato. Essa ha a che fare con la creatività dell’uomo, con la sua capacità innata di andare oltre il contingente, per inventare e scoprire cose nuove, qualche volta meravigliose, altre volte un po’ meno, ma tutte nate nella libertà dell’ideare senza condizionamenti, avulse dai grovigli reali del vissuto, anche se questi spesso concorrono alla formazione del processo generativo; aiutandolo con la loro negatività, senza vincolarlo.

Questa terza Sfera (sicuramente non ultima per importanza) riassume in sé quanto cerchiamo di indicare con le voci di Religione, Spiritualismo, Ricerca Metafisica, Arte, Educazione, Fantasia, Estetica, Immaginazione e quant’altro riguardi questo vasto settore dell’anima umana.

Mi accorgo di essermi qui messo nei guai con le mie stesse mani, perché a questo punto mi correrebbe l’obbligo di portare un ulteriore esempio, o richiamare un fatto, in conformità alle riflessioni svolte sulle altre sfere, che possa, in qualche modo, centrare il significato di questo “polo culturale” e renderne ragione nel senso voluto dall’Antroposofia.

L’argomento però diventa talmente grande che rischio di smarrirmici dentro. Tuttavia, dando un’occhiata al calendario, mi rendo conto di essere capitato bene (per dire cosí): siamo nel periodo della Pentecoste, che quest’anno capita il 31 maggio.

Mi sembra quindi giusto, a conclusione di questo articolo, richiamare il senso della Pentecoste, facendolo coincidere con il significato che sono in grado di attribuire alla Terza Sfera della Tri­partizione. Mi auguro che sia cosí, di saperlo fare in modo semplice e ordinato. Il nesso da creare mi pare di estremo interesse; un’occasione buona e bella, da cogliere senza indugi.

Tutto ciò che attiene alla Sfera Culturale può – a mio avviso – venir riassunto con un’unica parola: Conoscenza.

Non è immaginabile tentare di capire cosa siano la fede, la religione, le filosofie, le culture, i moti dell’anima, se non si ascrivono all’impulso umano che volge al conoscere. Sinceramente non credo di dover illustrare con maggior dovizia tale considerazione.

La Filosofia della LibertàCos’è nella sua essenza, cosa rappresenta l’impulso al conoscere? La Filosofia della Libertà è la risposta forte e concreta a questa domanda. Il libro che Rudolf Steiner scrisse nel 1894, è in tal senso uno specialissimo “testo unico”; mette in riga gli infiniti movimenti di pensiero che si sono susseguiti nei secoli, dall’avvento della ragione in poi; li sfronda delle parti inutili, li integra con il suo personale apporto di creatore d’idee; d’intelletto d’uomo che pensando ama e amando pensa, senza mai dimenticare quelli che ancora non sanno, non possono o non vogliono intraprendere la Via; ma anzi, a costoro per primi, dedicando l’opera e l’impegno.

Vi è un ulteriore elemento a consolidare il nesso “Cultura-Conoscenza”, elevandone il valore che, in tal caso, dall’atipico può giungere al glorioso: lo troviamo nel passo evangelico «Conoscerete la Verità e la Verità vi renderà liberi».

È incontestabile il rapporto tra quanto Rudolf Steiner ci indica come essenza della Cultura nella sua Tripartizione, e la Libertà stessa, cui l’umano, cosciente o incosciente, sembra agognare. È un rapporto immediato: acculturarsi, imparare, non per sapere ma per apprendere, per cogliere la Verità, è conoscere. Conoscere è diventare liberi, l’inevitabile punto d’arrivo, l’eterno richiamo.

Se tutto questo sembra ancora convincere poco, se non accende l’anima indirizzandola ai grandi traguardi che le spettano, se proprio non si riesce a vedere cosa c’entri la Libertà con la Conoscenza, volgiamoci allora al pensiero della Pentecoste; ricordiamo, fra tanti riferimenti possibili, che Massimo Scaligero volle interpretare tale ricorrenza definendola «l’incontro del Fuoco con la Luce».

Qui le nostre parole devono per forza cessare.

Ai lettori dell’Archetipo la gioia d’incontrare quel Fuoco e quella Luce!

 

Angelo Lombroni