Genesi e Apocalisse

PhiloSophia

Genesi e Apocalisse

Giovanni Pico della Mirandola

Giovanni Pico della Mirandola

 

Illuminate gli occhi miei,

o spiriti ultramondani,

e contemplerò i miracoli

della Città vostra,

dove Dio collocò, per quanti

avevano timore di Lui

le cose che l’occhio non vide,

l’orecchio non percepí,

la mente non pensò.

 

Heptaplus

 

Giovanni Pico della Mirandola

 

Quel gran genio cristico del conte Giovanni Pico della Mirandola ci presenta una singolare concezione della Genesi.

 

Con finissima ironia ci informa che il sommo Padre, una volta compiuto il lavoro della creazione, desiderando «che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un’opera sí grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità», si trovò a corto di Archetipi: per cosí dire, il magazzino era vuoto. Ma anche i tesori erano esauriti e mancava persino il posto dove collocare «codesto contemplatore dell’universo». Il sommo Padre stabilí allora che «a colui, cui nulla poteva dare di proprio, fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri».

 

Le parole che il sommo Padre rivolse alla sua creatura sono vertiginose: «Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu le determinerai, da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui podestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché, di te stesso quasi libero e sovrano artefice, ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine».

 

Invero intere biblioteche non basterebbero a commentare simili passi.

 

Con la necessaria modestia si può però tentare di esaminarne un aspetto per noi importante, quello dell’uomo come essere in evoluzione.

 

Dai remotissimi tempi della Genesi ad oggi ed oltre, fino ai tempi dell’Apocalisse, l’uomo è chiamato al compimento della sua missione. «Io ero presente alla creazione»: affermazione perentoria e sconvolgente di Maître Philippe, ma chiarificatrice in questo contesto, giacché come sarebbe possibile intendere quanto sopra senza possedere, in termini cristici, i concetti di Karma e reincarnazione?

 

Senza di essi il concetto di evoluzione dell’uomo viene meno e l’abisso si spalanca.

 

Non è qui né il luogo né il caso di approfondire il perché e il come tali concetti siano rimasti nascosti e sottesi in tanti pensatori nei vari secoli, ma è indubbio che ora vi è l’urgenza che essi divengano un lume nella ricerca spirituale e nella vita.

 

L’Antico Testamento si apre con la Genesi, il Nuovo termina con L’Apocalisse, il circolo dell’evoluzione dell’uomo si completa.

 

G. Alvi La necessità degli Apocalittici

 

Rudolf Steiner indica l’Apocalisse come il documento piú importante del vero cristianesimo ma esso rimane piuttosto misconosciuto, incompreso e frainteso; certo è che esso è inafferrabile ad un pensiero cerebrale e dialettico. (Vorrei qui segnalare l’eccellente lavoro di Geminello Alvi, La necessità degli apocalittici – Marsilio editore).

 

Giustamente è stato fatto osservare che l’Apocalisse rimane ostica e distante al pensiero orientale e tuttavia proprio i concetti di Karma e reincarnazione, visti ora in termini scientifico-spirituali, sono quelli che possono definitivamente risanare tale distanza e introdurre, facilitare il cammino verso Filadelfia.

 

Volendo, in modo ardito ed un po’ presuntuoso, sintetizzare i concetti di Karma e reincarnazione, si potrebbe dire: non accusare nessuno, non dare la colpa ad alcuno. Né uomini, né poteri, né governi, né partiti, né malattie, né altro, ma ricondurre tutto alla propria responsabilità, in sostanza al proprio Io reale, qualora si sia riuscito a percepirlo o almeno ad intuirlo.

 

Solo cosí l’uomo «da nessuna barriera costretto, né terreno né celeste, né mortale né immortale» può di fatto compiere “fiat voluntas tua”, evolvendosi verso il divino.

 

Tuttavia va detto che l’eroico e tragico sacrificio di Nietzsche non deve rimanere vano. Interpretare i suddetti concetti in termini mollicci, misticheggianti, avolontari e passivi può essere esiziale.

 

Purtroppo in ambito spirituale, antroposofico o no poco importa, su questi concetti si sono spesso accumulate sciocchezze, dilettantismi fino al ridicolo ed oltre, ma di ciò non ci occuperemo, perché sappiamo che al mondo c’è posto per tutti.

 

Ci torna utile e illuminante il nostro Pico: «E per certo è disonesto e temerario lo studio di colui che ancora ignaro di sé, non sapendo ancora se può sapere qualcosa, aspira tuttavia con tanta audacia alla conoscenza delle cose che sono tanto lontane da lui».

 

Una grande e significativa difficoltà sorge perché è assolutamente necessario, nel trattare di tali concetti, distinguere con chiarezza i diversi piani su cui operano. Semplificando: spirituale, animico, corporeo. Essi si articolano e si intersecano, certo, ma in un movimento fluido e complesso.

 

Ignoranza, presunzione e pressapochismo hanno spesso condotto a risultati demenziali, ostacolando di fatto una loro perlomeno iniziale accoglienza da parte di operatori, certo non numerosi, qualificati culturalmente ma sensibili al rigore negli studi e nella esposizione.

 

Se sono comprensibili obiezioni da chi è ai margini di un contesto spirituale, va tenuto fermo che in primo luogo va conquistato uno stato interiore che possa accogliere quanto sopra detto, ma che sempre rimangono intatte le esigenze animiche e quelle comportamentali cosí come le esigenze e le necessità giuridiche pratiche, perché poi anche esse fanno parte del Karma individuale e collettivo.

 

Il drago nell'Apocalisse di Bamberga

Il drago nell’Apocalisse di Bamberga

 

Si sente spesso parlare di “immergersi nella pelle del Drago”. È questa una difficilissima impresa, cui però tutti siamo chiamati: immergersi e tornare su vittoriosi nelle piccole e nelle grandi cose sempre col massimo rigore. An­drebbe tenuta presente la tentazione di crogiolarsi entro le rivelazioni della Scienza dello Spirito, sentendosi al sicuro entro qualcosa che si presenta necessariamente in prima istanza comunque sempre come un pensato, sia pure elevatissimo, ma che ognuno di noi deve comunque non ripetere meccanicamente e all’infinito, ma aprirne i sigilli in modo vivo, facendone cosí un’arma affilata e spre­giudicata verso i prodotti culturali e spirituali del passato e del presente, che karmicamente ci riguardano tutti.

 

Nel nostro Eone, nella particolare nostra epoca in cui ci crediamo vivi e perlopiú siamo morti, sorge un’ulteriore difficoltà: distinguere fra la produzione di un mentale alterato e quella di un mentale sano: la dialettica e un pensiero cerebrale operano per l’annichilimento.

 

Come afferma Steiner, siamo arrivati al punto che due affermazioni o scritti possono essere quasi uguali eppure di essi uno sarà vero e l’altro falso, a seconda di chi lo pronuncia o lo scrive.

 

Di fronte all’attuale disastro apocalittico, se si vuole essere responsabili sul piano spirituale non si possono volere regole rassicuranti, codici di comportamento, un esperanto logico e semantico che liberi dalla responsabilità di pensare attingendo alla coscienza di sé come chiaramente indica Scaligero.

 

Purtroppo assistiamo costernati ad un profluvio di analisi e documenti, per lo piú provenienti da oltre oceano, che saccheggiano i doni preziosi lasciatici dalle guide spirituali, presumendo interpretare attualità e situazione politica nazionale e internazionale con costanti e precise citazioni sempre accompagnate dalle proprie opinioni personali distorcenti e forzanti quelle. Hanno la stessa funzione che avevano le interpretazioni su Nerone nell’Apocalisse. Ma va detto che anche questo riguarda il nostro Karma.

 

La lotta è senz’altro senza quartiere, ma è una lotta principalmente interna a noi per l’Io reale e dell’Io reale, e se si tiene la barra fissa su ciò, non vi sono flutti o tempeste che non si possano superare. Donare agli altri i nostri frutti è per tutti noi la massima aspirazione, ma è anche vero che possiamo donare solo ciò che abbiamo, che ci siamo conquistati con dure e lunghe lotte. Steiner ricordava di non preoccuparsi troppo di ciò ma di lavorare, secondo le proprie capacità, anche per anni con costanza e pazienza, perché cosí magari un giorno si sarebbe potuta pronunciare quella particolare frase, che avrebbe adempiuto ad un importante compito karmico.

 

E possiamo pensare con il nostro Pico: «Ma anche noi tutti, a cui per grazia di Cristo, è dato il potere di diventare figli di Dio, possiamo elevarci al di sopra della natura angelica».

 

Gelso

 


Le citazioni di Giovanni Pico della Mirandola sono tratte da:

Heptaplus, Arktos Edizioni – De Hominis Dignitate, Vallecchi Editore.