Belvedere

Poesia

Belvedere

Panorama

Primavera ha un residuo fiato acerbo:

dai reclusi giardini dove ardono

tra fiamme verdi ripudiate rose,

s’alza, vapora il delicato incenso

lungo il velario di navate arboree,

poi svanendo si perde oltre nell’etere

per divenire essenza d’universo.

Chiaro sui tetti in voli e transumanze

di nubi sparse e diamantini abbagli

un vasto cielo s’apre al desiderio

dell’anima che sogna mutamenti,

scioglie dentro la luce rinnovata

incanti per il cuore solitario.

Nel gioco di sfuggenti prospettive

ammaina il giorno vivide bandiere,

combusti gonfaloni, torri e nembi,

smerlature confuse all’orizzonte.

Emergono dal fulgido marasma

campanili in altere solitudini,

vi si frangono aerei fortunali

che tranquilli, solenni, biancheggianti

galeoni di cupole, sospese

chiglie sul mare dei terrazzi, sfidano

caracollando: gloria, squilli, piume

tese nel vento umido o frementi

al riparo tra foglie. Estremi palpiti.

Stemperando i suoi toni, le sue linee

lentamente sfocando alla distanza,

lo scenario raggiunge poi la soglia

dove la terra e il cielo si confondono,

scivola superando quel confine,

vibrante sfaglia l’ultima radianza

e cede al buio in un fermento d’oro.

Cosí spenta ogni voce si dilegua

lontano da quest’epoca, dal mondo,

con la città che ansima là in basso

spingendo il suo pesante macchinario

verso il nulla, ché altro non promette

il tempo consacrato alla materia

se non partenogenesi incessanti

dei cloni di se stesso. Quanti fiori

s’immolano all’incendio che si smorza,

trafitti dalle spade dell’acanto,

mentre i pini combinano misture

di resine e le bruciano al crogiolo

dell’incipiente estate. Ormai vincente,

giugno prepara teneri sepolcri

di margherite bianche in zone d’ombra:

primavera morente vi si adagia,

memoria d’erba è l’ultimo respiro.

 

 

Fulvio Di Lieto